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Malati di ‘ndrangheta. Quando il fascino del potere criminale diventa una patologia PDF Stampa E-mail
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Scritto da Franco Cascio   
Sabato 01 Ottobre 2011 15:33

Claudio Cordova è un attento osservatore delle “cose” di ‘ndrangheta. Giornalista, autore del libro Terra Venduta (Laruffa Editore, pag.184, euro 10), un viaggio tra i disastri ambientali che hanno coinvolto la Calabria, è redattore di Strill.it. E proprio sul quotidiano on line ha pubblicato di recente un articolo su un aspetto per certi versi curioso ma sicuramente non meno inquietante: la sindrome del fascino della ‘ndrangheta.

Cordova fotografa in maniera impeccabile un fenomeno poco considerato ma che probabilmente potrebbe essere la spiegazione dell’appartenenza alle organizzazioni criminali di tanti cosiddetti “insospettabili” che, senza distinzione di classe sociale, rimangono irrimediabilmente sedotti dal potere derivante dall’adesione a un clan.

 
Cordova, davvero si può parlare di “malati di ‘ndrangheta”?

La definizione “malati di ‘ndrangheta” è molto suggestiva e sicuramente tratteggia, secondo me in maniera pregnante, l’accondiscendenza, la complicità, il rispetto e, per certi versi, la stima, che una fascia, purtroppo molto ampia di gente, in Calabria, manifesta nei confronti delle cosche. Ci sono locali alla moda di Reggio Calabria, dove ci si trova gomito a gomito con personaggi appartenenti a potenti famiglie di ‘ndrangheta. E vi posso assicurare che non si prova alcun disvalore a consumare un drink con queste compagnie. In determinati casi i “malati di ‘ndrangheta” possono corrispondere alla tanto discussa “zona grigia”: ci sono i buoni, le persone che, lavorando onestamente, non hanno nulla a che fare con il malaffare e che, anzi, tentano, con comportamenti quotidiani, di contrastarlo; poi ci sono i malvagi, i membri dell’organizzazione criminale, dediti a reati di varia natura. E in mezzo c’è la fascia più ampia, quella della “zona grigia”, che ammicca alla ‘ndrangheta e spesso si allea, esplicitamente o meno, con essa.
E non è una questione di soldi. Almeno non solo di quelli.

E’ una questione di prestigio e di potere, principalmente. E’ ovvio che prestigio e potere, spesso, facciano rima con denaro, ma credo che tanto la ‘ndrangheta, quanto chi si accorda, in vario modo, con essa, oltre al guadagno facile, ricerchi l’autorità, il fascino e l’influsso presso la gente. Tutte “doti” che portano a essere ricercati quando c’è da risolvere un problema e che ti aprono porte che altrimenti resterebbero chiuse a doppia mandata.  


Lei sostiene che la sindrome non risparmia nessuno. Non solo scapestrati in cerca di rispetto e guadagni facili, ma anche gente che magari una posizione in società ce l’ha già …

La ‘ndrangheta ricerca chi ha già una posizione perché attraverso questi personaggi è diventata una delle organizzazioni criminali più potenti al mondo. Se non fosse riuscita a entrare nei gangli vitali della politica, delle istituzioni, dell’economia, la ‘ndrangheta sarebbe rimasta una banda, magari molto numerosa, ma pur sempre una banda, di pastori con la lupara e il cappello storto. Di “garzoni”, di gente che ha la colonna sonora del “Padrino” come suoneria del cellulare, la ‘ndrangheta ne trova a decine: li arruola pezzenti e li farà morire ammazzati o marcire in carcere. Sempre da pezzenti. La ‘ndrangheta attecchisce dove c’è ristrettezza culturale e questa esiste a prescindere dal titolo di studio: potrei citare diversi ‘ndranghetisti laureati, alcuni anche con più di una laurea.


Quanto cinema e letteratura hanno influito nella costruzione di questo (falso) mito?

Il fascino del male è un artificio narrativo che esiste fin dai tempi degli antichi romani. Diversi serial killer, di ogni nazionalità, sono stati influenzati da questi “miti”. Ci sono decine di film e di fiction che mostrano un molto quasi “buono” della mafia siciliana e questi hanno, sicuramente, fatto danni seri, soprattutto sulle nuove generazioni. Non esistono, però, film sulla ‘ndrangheta e forse sarebbe ora di farne uno, mostrando, però, il vero volto degli accoscati: uccisioni tra parenti, ragazzini sgozzati e seppelliti senza che le madri possano avere una tomba su cui piangerli, stragi indiscriminate, con il coinvolgimento, spesso, di persone innocenti. Qualora si volesse fare un lavoro serio, vi sarebbe solo l’imbarazzo della scelta.


Ci spiega la differenza tra quelli che fanno parte a tutti gli effetti di una organizzazione criminale e quelli che invece, come scrive lei, “’ndranghetiano”?

 Sarebbero molto utili degli studi approfonditi di carattere antropologico: c’è chi, per ignoranza e per sentirsi “importante” si impegna nel mostrarsi ‘ndranghetista. Questo perché, soprattutto nei piccoli centri di provincia, l’appartenenza a determinati ambienti ha ancora un suo significato particolare. In città, invece, la situazione è un po’ diversa: c’è chi si sente personalmente realizzato ad accompagnarsi a rampolli di ‘ndrangheta ricchi e ben vestiti e chi presta le proprie peculiarità economiche e professionali ai clan, sperando in un vantaggio in termini di potere e di denaro. Alla fine dei conti, però, a prescindere da quale sia il motivo che spinge ad avvicinarsi alle cosche, da queste più o meno tacite “alleanze” la ‘ndrangheta, così come le altre mafie, non può che trarre un immenso giovamento.


Franco Cascio





 

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