Procura, ancora fumata nera. Decisione rinviata al 2 novembre. Salvi, Tinebra e Gennaro i candidati
La fumata nera era prevedibile dopo la “rivoluzione” della sentenza della quarta sezione del Consiglio di Stato che ha inciso sui criteri di scelta degli uffici direttivi. Ma l’ennesimo rinvio per scegliere il procuratore capo di Catania ieri mattina ha spaccato polemicamente per l’ennesima volta il Csm, lasciando ancora scoperto dopo nove mesi di “trattative” un posto-chiave nella geografia giudiziaria dell’isola, fatto che ha inevitabili riflessi indiretti sulla sorte del governo Lombardo. Ieri il plenum, con 13 voti a favore, 8 contrari e 3 astenuti, ha stabilito di rinviare la decisione alla seduta del 2 novembre approvando la proposta presentata dal consigliere togato di Magistratura indipendente
Tommaso Virga, che ha chiesto di rimandare la questione all’ufficio studi di Palazzo dei Marescialli. Al posto di procuratore capo di Catania concorrono tre candidati:
Giovanni Salvi, attualmente sostituto pg della Cassazione,
Giovanni Tinebra, procuratore generale alla Corte d’appello di Catania, e
Giuseppe Gennaro, sostituto pg a Catania. Il Consiglio di Stato, con una recente sentenza di cui abbiamo dato notizia nei giorni scorsi, ha però dato il via libera a poter partecipare a incarichi direttivi superiori anche a quei magistrati che rivestono una carica da meno di tre anni. E la sentenza ha di fatto rimesso in gioco per la poltrona di procuratore capo di Catania altri tre concorrenti che erano stati esclusi nella prima fase della selezione: il procuratore capo di Siracusa
Ugo Rossi, quello di Caltagirone
Francesco Giordano e il procuratore aggiunto di Catania
Giuseppe Toscano.
«Riteniamo sia necessaria una riflessione approfondita per una soluzione unitaria che sia conforme – ha detto ieri il consigliere Tommaso Virga – ed è necessario investire l’ufficio studi al fine di un’analisi di tutte le problematiche per valutare una eventuale resistenza alla sentenza del Consiglio di Stato o se vi siano spazi ulteriori. Un parere dell’ufficio studi che verrà fatto in forma collegiale e in tempi rapidi. In questo modo si porteranno al plenum tre proposte». Il vicepresidente del Csm,
Michele Vietti ha però ricordato nel corso della seduta che la «pratica quanto a maturazione rischia di marcire», in pratica richiamando tutti gli attori di questa vicenda a far presto. Contrari al rinvio sono stati gli esponenti di Magistratura democratica. «Non credo che abbiamo bisogno di un ulteriore parere dell’ufficio studi – ha detto il consigliere togato di Md,
Vittorio Borraccetti – non c’è alcuna ragione di chiedere se ci siano rimedi a quella sentenza. Sappiamo che siamo obbligati ad adeguarci, ma non siamo obbligati a farlo in via generale a meno che non fossimo in presenza di una procedura consolidata». «La sentenza del Consiglio di Stato – ha poi precisato
Antonello Racanelli, di Magistratura indipendente – non riguarda il caso Catania, ma Latina. E ritengo sia doveroso, da parte del Csm, dare una risposta immediata ai colleghi poiché vi è una procura della Repubblica che aspetta da molti mesi la nomina di un nuovo capo». «Credo sia indispensabile – ha detto il consigliere
Pina Casella, di Unicost –, che la quinta commissione e il plenum del Csm cerchino un atteggiamento unanime su una questione rilevante per il futuro degli uffici». Per il primo presidente della Cassazione
Ernesto Lupo invece, la sentenza del Consiglio di Stato non deve influenzare i lavori del Csm: «Una sentenza che ha un contenuto confuso e non consolidato. Un orientamento che ha un effetto dirompente rispetto al nostro modo di agire. Al di là di approfondimenti, mi pare che la sentenza non debba farci modificare il nostro orientamento nel settore». A “scatenare” tutto era stata la sentenza n. 2462 con cui il Consiglio di Stato aveva “bacchettato” il Csm sui criteri di valutazione per i posti di vertice degli uffici giudiziari. Il caso concreto deciso in secondo grado, che ha confermato quanto deciso dal Tar del Lazio nel gennaio scorso, riguarda l’attuale procuratore aggiunto di Catania Giuseppe Toscano, che quando era in corsa come procuratore capo di Latina si era visto escluso dalla V commissione del Csm dalla procedura di valutazione, perché ritenuto “non legittimato” a partecipare. Questo proprio sul presupposto che nel precedente incarico direttivo non aveva ancora maturato i tre anni. Il Consiglio di Stato ha in pratica rigettato il ricorso che il Csm aveva presentato tramite l’Avvocatura dello Stato contro la decisione del Tar del Lazio, che in primo grado aveva dato ragione al procuratore Toscano, e quindi ha sostanzialmente “affermato” che in determinati casi come quello esaminato non è affatto necessario il requisito della permanenza dei tre anni.
Nuccio Anselmo - Gazzetta del Sud (20 ottobre 2011)