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Così parlò Gianni Tinebra quando Scarantino era la "luce" PDF Stampa E-mail
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Scritto da Giuseppe Pipitone   
Giovedì 20 Ottobre 2011 21:44
Ecco le dichiarazioni del procuratore che per primo indagò su via D'Amelio, avallando il clamoroso depistaggio che ruotava attorno al falso pentito Scarantino. Oggi, a pochi giorni dall'inizio del procedimento di revisione per undici imputati risultati estranei alla strage, le sue dichiarazioni hanno il sapore di una clamorosa boutade.

"E' normale che la mafia si affidi ad un balordo per compiere una strage importante come quella di via d'Amelio?''
"Non ci siamo posti la domanda. I fatti, secondo noi, si sono svolti in un certo modo, Scarantino non è uomo da manovalanza".

A non porsi la fatale domanda segnalata dal giornalista è Giovanni Tinebra, allora procuratore capo di Caltanissetta e attualmente in corsa per guidare la procura di Catania. Era il 29 settembre 1992, 71 giorni dopo l'eccidio di via d'Amelio, e la procura nissena aveva appena messo le mani sul piccolo malavitoso della Guadagna, mostrandolo al mondo come l'autore della strage che costò la vita al giudice Paolo Borsellino e agli uomini della scorta. 

A leggerle con gli occhi di oggi - dopo che l'attuale procuratore generale di Caltanissetta Roberto Scarpinato ha avviato il procedimento di revisione per sette ergastolani e altri quattro condannati per la strage di via D’Amelio, in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta.  - le dichiarazioni di Tinebra hanno un sapore misto tra il comico e  il paradossale.

Nella stessa conferenza stampa in cui l'attuale procuratore generale etneo rivelò di non essersi posto dei dubbi circa l'effettiva caratura criminale di Scarantino, uno dei giornalisti chiese se per caso la famiglia dell'artigiano della Guadagna si potesse collegare in qualche modo ai corleonesi. "A questa domanda non posso rispondere" , replico' misterioso Tinebra.

Correva l'anno 1993 e con il passare dei giorni la procura nissena effettuava arresti su arresti. Prima fu il turno di Giuseppe Orofino, carrozziere di via Messina Marine che aveva denunciato il furto di alcune targhe dentro la sua autorimessa. Tinebra non aveva dubbi: per lui Orofino "sapeva che quelle targhe sarebbero state usate per l' automobile  della strage''.

Poi il 9 ottobre le manette scattano ai polsi di Salvatore Profeta, che Tinebra descrive come "il livello intermedio di Cosa Nostra che ha commissionato la strage" congratulandosi allo stesso tempo per l' impegno del nucleo speciale del Servizio Centrale Operativo della polizia, guidato da Arnaldo La Barbera, il cui nome in codice  "Rutilius" era conosciuto all'epoca soltanto negli ambienti dei servizi segreti presso cui prestava lavoro part - time. 

A quale impegno facesse riferimento Tinebra non è dato sapere, dal momento che Profeta viene arrestato senza elementi diretti che lo agganciassero direttamente alla strage. Unico indizio il fatto che è cognato di Scarantino, avendone sposato la sorella. Ma il piccolo malavitoso della Guadagna non ha ancora iniziato a recitare il ruolo di pentito. Lo farà soltando nel 1994. Sarà lui ad accusare Profeta di avergli commissionato il furto della Fiat 126 poi trasformata in auto bomba. Dichiarazioni completamente inventate, o come sospettano i pm nisseni (quelli attuali) forse suggerite. A rubare quell'automobile sarebbe stato in realtà Gaspare Spatuzza che oggi si è auto accusato del furto. 

All'epoca però per l'attuale candidato alla guida della procura di Catania quella che porterà ai processi Borsellino e Borsellino bis è un'indagine perfetta. ''Abbiamo seguito il metodo Falcone - osservava pimpante Tinebra scomodando addirittura il magistrato ucciso a Capaci - poi e' arrivata la luce. Quella di Scarantino e' una piena confessione''. Più che una luce si tratta - come si vedrà - di un fuoco fatuo.

Già al secondo anniversario della morte di Borsellino e della scorta per Tinebra l'indagine su mandanti ed esecutori è quasi conclusa. ''Noi qui celebriamo il secondo anniversario della strage nel modo piu' giusto - diceva - questa Dda ha onorato i suoi impegni. Possiamo dire di avere scoperto alcuni dei mandanti e degli esecutori materiali della strage''. Scoperti mandanti ed esecutori interni alla mafia, secondo Tinebra restava soltanto da cercare "eventuali cointeressenze nella strage, esterne a Cosa Nostra". Eventualità  che come si vedrà in seguito non è certo marginale nel retroscena di via d'Amelio. 

In quel momento però per Tinebra c'è solo una verità: quella della sua "luce", il suo pentito autore di mirabolanti dichiarazioni. Ogni tanto però qualcuno storce il naso: possibile che sia tutto così semplice? Che la mafia incarichi di una strage così importante piccoli malavitosi di borgata? Per il giudice non ci sono dubbi.
 ''Scarantino non ha subito nessun tipo di violenza o di imposizione - dichiara il procuratore il 23 luglio - Si e' autonomamente deciso a collaborare e cio' l'ha fatto in maniera che ci ha pienamente convinti. E' un' operazione che conduciamo con consueti, usuali metodi''.

E per difendere l'attendibilità di Scarantino, che qualcuno inizia a sospettare d'attività  depistante,  Tinebra arriva ad arrampicarsi su giustificazioni degne di un equilibrista. ''Tanto evidente e' la sua buona fede, che Scarantino ha fornito dati palesemente errati - dichiara a sorpresa il giudice il 28 ottobre del 1994 -Ha detto che uno di quei due (La Barbera e Di Matteo, ndr, indicati come partecipanti all' incontro) all' epoca della riunione aveva la barba, mentre quella persona non l' ha mai avuta; e' chiaro che non esiste un tentativo cosciente di depistaggio. Piu' semplicemente, si e' sbagliato''.

Ma se  da un lato l'allora procuratore nisseno era disposto a dire che gli  errori di Scarantino ne accreditavano l'attendibilità, dall'altro era pronto a fare immediata marcia indietro quando il picciotto della Guadagna arriva addirittura a parlare di cocaina fornita a Silvio Berlusconi da Ignazio Pullarà.  ''Ad occhio e croce mi pare una dichiarazione, ove vera, ancora priva di riscontri, ma non e' la procura di Caltanissetta l' ufficio competente ad indagare in questa vicenda'' diceva cauto il 24 gennaio del 1995  aggiungendo per la prima volta che la credibilità di Scarantino era ''tuttora oggetto per molti versi di attenta valutazione da parte dell' autorita' giudiziaria''.

In pratica bastò che il picciotto della Guadagna facesse il nome dell'attuale premier per determinare un allontanamento repentino di Tinebra dalle sue posizioni. Tre anni dopo Scarantino ritratterà tutto, facendo crollare tutto il fallace impianto accusatorio della procura retta da Tinebra che oggi ha portato alla richiesta di revisione firmata da Lari, Gozzo, Marino, Luciani e Bertone.

Per Tinebra il nome del premier è un po' come la criptonite.  Infatti secondo l'allora pm nisseno Luca Tescaroli fu proprio lui a tentennare non poco prima d'iscrivere nel registro degli indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell' Utri come "mandanti esterni" delle stragi di Capaci e via D' Amelio il 22 lugio del 1998. E lo fece solo dopo aver manifestato l'intenzione di denunciare per calunnia il pentito Salvatore Cancemi e l' imprenditore Filippo Maria Rapisarda, che accusavano Berlusconi e Dell' Utri di avere avuto rapporti con Cosa Nostra e avere riciclato ingenti somme di denaro della mafia.

E quando il 2 marzo 2001 Berlusconi e Dell'Utri furono prosciolti fu sempre Tinebra, che ufficialmente li indagava, a comunicargli la richiesta d'archiviazione dell'accusa a loro carico con 24 ore d'anticipo rispetto alla consegna effettiva delle carte al gip.  Sulla questione l'ex procuratore di Caltanissetta finì indagato dalla procura di Catania per favoreggiamento  aggravato. Accusa poi caduta perchè secondo il gip etneo aver rivelato ai difensori di Berlusconi e Dell' Utri la richiesta d' archiviazione che li riguardava "non può assumere valore di rilevanza penale o disciplinare perché non vi è nessuna norma che lo proibisca".



Giuseppe Pipitone (I Quaderni de L'Ora, 18 ottobre 2011)





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