.......la bellezza del fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.
Questa mattina è andato in onda su Rai Tre, durante la trasmissione Agorà, condotta da Andrea Vianello, un eccellente reportage, contenente anche un mio intervento, sull’ormai celeberrima trattativa tra lo Stato e la mafia. Per amore di precisione, preferisco parlare di trattative, al plurale, perché nell’agitarsi di ambienti politici e di apparati dello Stato durante il biennio stragista di Cosa Nostra, 1992-93, si sono, con tutta evidenza, accavallate e alle volte scavalcate numerose deviazioni. Quella sul carcere duro per i mafiosi, è probabilmente la fondamentale trattativa mafia-Stato nel 1993, dopo quella nata nel 1992 e culminata con la cattura di Riina il 15 gennaio 1993. Durante il servizio della giornalista Rosita Rosa è stato rapidamente spiegato quale fu il ruolo del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) e quello di alcuni personaggi fino a questo momento pressochè sconosciuti al grande pubblico ma legati a doppio filo alla mafia e ad alcune figure istituzionali: tra questi Rosario Pio Cattafi, in passato indagato per le stragi di Capaci e di Via d’Amelio e per le infiltrazioni mafiose a Milano e oggi accusato dalla Direzione distrettuale antimafia di Messina di essere il capomafia di Barcellona Pozzo di Gotto.
Come riferii già anni fa ai magistrati della D.d.a. di Messina, qualche tempo prima delle stragi di Capaci e di via D’Amelio mio padre, avvistato Cattafi (ormai “milanese” da decenni) a Barcellona Pozzo di Gotto mi si disse convinto che la sua presenza in Sicilia doveva per forza significare che c’era in gioco qualcosa di grosso. E’ certo, secondo quanto riferito da Brusca, che il telecomando utilizzato per la strage di Capaci fu procurato dalla mafia barcellonese ed è certo che l’artificiere di Capaci fu quel Pietro Rampulla insieme al quale Cattafi aveva delinquito all’inizio degli anni Settanta all’università di Messina. Nel 1993, all’inizio di giugno, i vertici del Dap vennero sostituiti all’improvviso e senza alcuna spiegazione. Per nulla a caso, il ruolo di vicedirettore generale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria venne assegnato (tramite un decreto a personam) ad un amico di Rosario Cattafi: il pm Francesco Di Maggio. Sotto la sua gestione, pochissimi mesi dopo, il Dap fece scadere oltre trecento 41bis, a vantaggio di numerosi ed importanti esponenti di Cosa Nostra.
Sonia Alfano (www.soniaalfano.it, 28 ottobre 2011)