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"Nell´agenda sparita il movente della strage" PDF Stampa E-mail
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Scritto da Attilio Bolzoni e Francesco Viviano   
Lunedì 07 Novembre 2011 22:07
Chi ha rubato l´agenda rossa di Paolo Borsellino voleva cancellare cinque giorni di appunti. E far sparire così le prime tracce della trattativa fra Stato e mafia. L´ultima pista sulla scomparsa di quel diario che il procuratore di Palermo teneva sempre con sé porta ai cinque giorni – dal 23 al 28 giugno 1992 – nel corso dei quali Paolo Borsellino era venuto a conoscenza del patto. E aveva cominciato a scrivere su quei fogli tutto ciò che sapeva – accordi e baratti - sugli incontri fra gli ufficiali del reparto speciale dei carabinieri e l´ex sindaco mafioso Vito Ciancimino.
Neanche un mese prima di saltare in aria, il procuratore aveva scoperto cosa stava accadendo. E aveva riempito la sua agenda. «E questa è ormai l´ipotesi più consistente che abbiamo in relazione a quella sparizione», commentano i magistrati siciliani che hanno riaperto le indagini sulle stragi di quasi vent´anni fa.
Paolo Borsellino sapeva. E una conferma decisiva ai suoi tormenti adesso arriva anche da sua moglie Agnese, che è stata ascoltata sugli ultimi giorni di vita del marito. Riferisce la signora: «Paolo mi ha detto testualmente: "C´è un colloquio fra la mafia e parti infedeli dello Stato"».
Sapeva. È questo, dunque, il movente del furto di quell´agenda pochi minuti dopo l´inferno di via Mariano D´Amelio. Le date individuate dai pubblici ministeri – 23 giugno e 28 giugno – sono quelle più significative per ricostruire nei particolari l´origine del negoziato che è, probabilmente, anche la causa dell´uccisione del procuratore.
Fra la fine del maggio 1992 e l´inizio di giugno i carabinieri dei reparti speciali – il colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno - contattano Vito Ciancimino e cominciano a frequentare la sua casa romana, dietro Piazza di Spagna. È il 23 giugno quando, a un mese esatto da Capaci, De Donno (ma lui smentisce la circostanza) informa «ufficiosamente» il direttore generale degli Affari penali del ministero di Grazia e Giustizia Liliana Ferraro «che Ciancimino vuole collaborare». La Ferraro, che ha preso al ministero il posto di Falcone, avverte il ministro Claudio Martelli. Quest´ultimo la consiglia di raccontare tutto a Borsellino. Due giorni dopo, il 25 giugno, il magistrato chiede un incontro con i due ufficiali del Ros. L´appuntamento, per volere del magistrato «è fuori dalla Procura», lontano da occhi indiscreti. Secondo il colonnello e il capitano i tre parlano di un rapporto su «mafia e appalti», secondo i magistrati di Palermo è in quell´occasione che Borsellino viene a sapere nel dettaglio tutte le manovre sull´avvicinamento di don Vito.
E tre giorni dopo, il 28 giugno, Paolo Borsellino, sua moglie Agnese e Liliana Ferraro s´incrociano nella sala Vip dell´aeroporto di Fiumicino. E parlano ancora della trattativa. Ricorda la Ferraro: «Sua moglie si inserì nel nostro discorso chiedendomi più volte di convincere il marito a non andare avanti, perché non voleva che i suoi figli rimanessero orfani». Borsellino andò avanti.
La procura di Caltanissetta ha ricominciato le indagini sulla scomparsa dell´agenda rossa proprio da quei cinque giorni. E ha ordinato l´acquisizione di nuovi filmati – praticamente tutti quelli girati nei minuti successivi all´esplosione da Rai, reti Mediaset e ed emittenti locali – per individuare volti di uomini con in mano la borsa di pelle di Borsellino dove era custodita l´agenda rossa. L´inchiesta riprende praticamente daccapo dopo il proscioglimento «per non avere commesso il fatto» del colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli, in un primo momento sospettato per il furto della borsa del magistrato. C´era un´immagine, sequestrata al fotografo palermitano Franco Lannino, che ritrae il colonnello con in mano quella borsa. Così tutto riparte da altre immagini e da altri personaggi.
Dopo la richiesta di revisione per gli imputati (innocenti) accusati di avere ucciso il procuratore Paolo Borsellino, sono sette i filoni d´inchiesta ancora aperti sulle stragi siciliane del 1992. Uno è quello dell´agenda rossa. Un altro riguarda gli esecutori materiali della strage di via D´Amelio dove, al momento, ci sono 7 indagati. Un terzo filone è concentrato sui legami fra alcuni mafiosi coinvolti nel massacro ed esponenti dei servizi segreti. La quarta indagine punta a scoprire chi, nell´aprile del 1992, fornì l´esplosivo per uccidere un mese dopo Falcone. La quinta inchiesta è sulla manomissione del computer del giudice: dopo Capaci dal suo pc sparirono alcuni file. La sesta è concentrata su esami del Dna per individuare gli attentatori dell´Addaura, 58 candelotti piazzati il 21 giugno del 1989 sotto la villa di Falcone. E l´ultima, la settima, è quella sulla trattativa fra Stato e mafia.


Attilio Bolzoni e Francesco Viviano (La Repubblica, 7 novembre 2011)



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Sticalina  - Tra il 23 ed il 28 giugno 1992   |2011-11-08 18:03:50
Ricordo che nei giorni tra il 23 ed il 28 giugno (il 25 giugno 1992 secondo
youtube) il Dott. Paolo Borsellino intervenne in un incontro aperto al pubblico
organizzato nell'atrio della Biblioteca Comunale di Palermo. In quell'occasione
il Dott. Paolo Borsellino parlò, facendo capire a chi lo stavamo ascoltando che
sapeva cose gravissime. E forse più che le sue parole, a dire che le cose che
sapeva erano gravissime era l'espressione del suo volto, i suoi occhi, le
“smorfie” della sua bocca. Io, allora appena ventenne, pensai: ammazzano
pure lui adesso! Era chiarissimo per me. Mi vergogno quasi a confessarlo. Il
Dott. Paolo Borsellino avvisò l’opinione pubblica che erano accadute cose
molto gravi e da uomo rispettoso delle Istituzioni e delle sue Regole, prese la
“normale” decisione, dicendolo apertamente in quell’occasione a tutti
quelli che lo stavamo ascoltando, che le cose che sapeva le avrebbe dette nelle
sedi opportune. Ahinoi prima delle Istituzioni che avrebbero dovuto avere
l’interesse, in una Nazione Libera, di interrogarlo immediatamente, si mossero
coloro che temevano quella confessione del Dott. Paolo Borsellino, ammazandolo.

Ho letto recentemente un’ìntervista alla moglie del Dott. Paolo Borsellino,
nella quale la Sig.ra Agnese Borsellino racconta di avere seguito in diretta
televisiva da casa l’intervento del marito all’incontro del 25 giugno 1992
nell’atrio della Biblioteca Comunale di Palermo, e di avere pensato, sentendo
parlare il marito in quel modo, che adesso correva ancora più seriamente il
pericolo di essere ucciso.
Ora viene fuori questo articolo scritto da Attilio
Bolzoni e Francesco Viviano. Per come ho vissuto io quell’incontro
nell’atrio della Biblioteca Comuale di Palermo, questa notizia è
un’ulteriore conferma del fatto che già in quei giorni il Dott. Paolo
Borsellino doveva sapere cose assai poco dignitose per la Cosa Pubblica, che lui
amava e difendeva a tal punto dal ritenere opportuno che i panni sporchi si
dovessero lavare in “casa”. Credo che in quell’incontro lui lanciò (non
credo volontariamente) un messaggio a chi sapeva, e chi sapeva da quel giorno si
mise in fretta a lavorare per eliminarlo. Credo anche che in quell’incontro
venne fuori la rabbia del Dott. Paolo Borsellino per la recente scomparsa del
collega e amico (Giovanni Falcone), che lui sapeva essere addebitabile anche ad
un modo di amministrare la Cosa Pubblica in Italia. Quella rabbia contenuta (ma
non nel suo volto, ripeto) lo indusse allo sfogo in pubblico. Uno sfogo
rispettoso delle Istituzione, perchè non volle dire in quella sede ciò che
sapeva. Nessuno mi toglierà dalla testa che ciò che sapeva lo mise in una
posizione di scomodo testimone, da eliminare il prima possibile...

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