Il nuovo responsabile viene dal CSM dopo anni a Roma. Si è occupato di mafia, Ustica e degli omicidi Calvi e Pecorelli
A pochi giorni dalla nomina, ieri si è insediato il nuovo Procuratore della Repubblica di Catania. Una presa di possesso lampo per un ufficio caldo come quello etneo. “So che c’è molta attesa nella città, che ha tanti meriti, sofferenze e difficoltà”, ha detto
Giovanni Salvi nel suo discorso di insediamento. La nomina di Salvi è avvenuta la scorsa settimana, al termine di una lunghissima discussione in Csm dai tratti concitati. Alcuni consiglieri poco avvezzi alle cose siciliane guardavano con aria interrogativa il succedersi degli interventi pro e contro la scelta di un procuratore non catanese.
LA TENSIONE ERA ALTA. E più di uno si chiedeva sottovoce come mai la pratica Catania scaldasse così tanto gli animi. Già come mai? Per la verità se lo chiedono anche i catanesi. Certo è che una nomina così importante, anche questa volta, non ha mancato di spaccare il Consiglio. Certo è che mercoledì scorso non pochi consiglieri e anche lo stesso vicepresidente Vietti sottolineavano l’importanza di questa votazione: “La più importante di questo Consiglio”. E proprio il voto di Vietti è stato decisivo a favore del procuratore straniero.
Ma chi è il nuovo procuratore di Catania? Nato a Lecce, 59 anni, è stato per vent’anni alla Procura di Roma, ha fatto parte della Direzione antimafia e nel 2002 è stato eletto in Csm. Dopo l’esperienza in Consiglio è tornato in Procura a Roma e successivamente, nel 2007, è approdato in Procura generale della Cassazione. Titolare di procedimenti penali di grosso calibro, come quello sulla strage di Ustica, l’omicidio Pecorelli, l’omicidio Calvi e quello del giuslavorista
Massimo D’Antona, Salvi è conoscitore di alcuni dei fatti più gravi accaduti nel nostro paese. Come ha ricordato il consigliere di Md
Franco Cassano, nel perorare la sua candidatura, Salvi ha anche al suo attivo una rilevante attività scientifica e internazionale (missioni Onu in Guatemala e Afghanistan) ed è autore di banche dati sul terrorismo e sulla criminalità organizzata, “Quando ancora non si usava fare”, ha chiosato Cassano. Questo è il curriculum del neoprocuratore di Catania. Adesso lo attende un bel banco di prova qual è la caldissima piazza giudiziaria catanese. Dove l’eccezionale curriculum non basterà. L’arrivo di Salvi ha ridato fiato alle speranze di quanti auspicano che la giustizia etnea cessi di avere quell’ impronta casareccia contestata dalla Procura di Messina, in un’inchiesta a carico di alcuni magistrati etnei, chiusa con una richiesta di archiviazione dai rilievi pesanti. L’ultima grossa inchiesta sui rapporti tra mafia e imprenditoria risale addirittura ai primi del duemila, con l’arresto dell’imprenditore dei super-mercati
Sebastiano Scuto (poi condannato per mafia in primo grado a quattro anni e otto mesi, ma al quale il Tribunale ha sorprendentemente restituito parte dei beni). Un’inchiesta intorno alla quale si è sviluppato il Caso Catania e che è stata all’origine dei guai del pm titolare
Nicolò Marino, costretto ad emigrare a Caltanissetta. Quello dei centri commerciali è un filone sul quale si dovrà fare piena luce, se si pensa che Catania è tra i primi posti in Europa per concentrazione di mega discount.
E PIÙ VOLTE l’attuale Procuratore facente funzione
Michelangelo Patanè ha ricordato come la grande distribuzione faccia gola a Cosa Nostra. E poi c’è l’inchiesta per mafia contro il potente editore monopolista
Mario Ciancio, che secondo “L’Espresso” di un paio di settimane fa viaggia verso una richiesta di archiviazione. Ma l’indagine che ha creato maggiori tensioni all’interno dell’ufficio, come è stato ricordato anche l’altro ieri a Palazzo dei Marescialli, è quella contro il Governatore siciliano
Raffaele Lombardo. Salvi dovrà insediarsi in un ufficio roso dalle divisioni, deflagrate dopo che i vertici della Procura hanno derubricato il reato di mafia a carico di Lombardo in semplice reato elettorale. Un’indagine basata sul nulla, secondo il super-consulente informatico
Gioacchino Genchi (ora consulente del Governatore siciliano nel processo), sulla quale però pesano le dichiarazioni del pentito
Maurizio Avola che diedero avvio al procedimento. Il pentito raccontò che Lombardo andava a trovare il boss
Benedetto Santapaola durante la sua latitanza. Ma, secondo gli stessi pm titolari, mancavano i riscontri e scrissero una richiesta di archiviazione. Il Gip però la respinse e ordinò nuove indagini. Ma di quelle dichiarazioni del pentito (frettolosamente accantonate, secondo il suo difensore) non si sa più nulla.
Giuseppe Giustolisi (Il Fatto Quotidiano, 12 novembre 2011)