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Respinta richiesta di risarcimento di D'Alì contro Sodano e 'AnnoZero' PDF Stampa E-mail
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Scritto da Gianfranco Criscenti   
Domenica 20 Novembre 2011 22:02
Il Tribunale di Roma ha respinto la pretesa del senatore di risarcimento del danno per la diffamazione che asseriva di aver subito nel corso della trasmissione di Michele Santoro

«La sentenza sulla querela di D’Alì (nella foto, ndr) contro il prefetto Fulvio Sodano ed i responsabili di “Anno Zero”? Un autentico boomerang. Il senatore si guarda bene dal commentarla pubblicamente: si limita furbescamente a fornire qua e là false interpretazioni trionfalistiche in via riservata. Ma le cose stanno all’opposto di come le racconta lui perché il Tribunale di Roma ha respinto la sua pretesa di risarcimento del danno per la diffamazione che asseriva di aver subito nel corso della trasmissione ed ha stabilito che “le spese di lite devono essere poste secondo il criterio della soccombenza a carico dell'attore nei confronti dei convenuti”. Il dado è tratto, dunque, e bara chi sostiene di pensarla diversamente. Per il resto bisognerà attendere l’esito dell’inchiesta portata avanti dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo».

Il professor Enzo Guidotto, raggiunto per telefono a Castelfranco Veneto, dove abita da più di  quarant’anni, parla senza peli sulla lingua. Conosce bene tanti misteri del Trapanese per esserci vissuto in gioventù,  ma soprattutto per essere stato nelle due passate legislature consulente della Commissione parlamentare antimafia nazionale, compresa quella che nell’ottobre del 2004 effettuò la missione in città e nelle relazioni conclusive mise il dito nella piaga della mafia imprenditrice nostrana.
«Su quanto ho letto e sentito in quell’occasione – precisa - c’è il vincolo del segreto d’ufficio. Ma è bene che si sappia che sono stato onorato della nomina da parte di un presidente del centrodestra, Roberto Centaro, e di uno del centrosinistra, Francesco Forgione. Il che dimostra che sono stato ritenuto un consulente non politico, ma tecnico, cioè non di parte. Sono sempre stato convinto che nella lotta alla mafia non bisogna avere riguardi per nessuno: sono intervenuto più volte su “Extra” su questa storia, sull’ assunzione ed il mantenimento da parte dei D’Alì di mafiosi per la gestione delle loro tenute agricole e sull’ “arruolamento” nella Banca Sicula di Salvatore Messina Denaro, figlio di un boss storico di primo piano. Ma quando  è balzata alla ribalta della cronaca la vicenda del "giardiniere di Alcamo" ho scritto proprio su "L'Isola" un articolo sulla responsabilità politica della scelta di certi collaboratori da parte di chi opera nelle istituzioni democratiche. Si è credibili solo se si dimostra di essere imparziali badando alla verità dei fatti».

Certamente! Ma come spiega il comportamento di D’Alì
«Probabilmente cerca di far leva sulla scarsa dimestichezza della gente comune con il linguaggio giudiziario, anche se a me, la prima notizia è stata data correttamente da un amico trapanese tutt’altro che “allittràtu”. Il 16 settembre squilla il telefono e mi sento dire: "Lu ‘ntìsi, prufissuri mèu? Scattusaria fallita: u senaturi ju pi fùttiri e c'jarristàu futtùtu!". L’aveva appreso da “Telesud”, che aveva trasmesso la notizia dell’ANSA. Quindi, per cogliere la verità, non bisogna avere un certo livello di istruzione: è sufficiente la buona informazione. Ecco perchè la stampa libera e indipendente ha il dovere di far sapere a tutti come stanno davvero le cose: nella sentenza, l’attore non è un personaggio di chissà quale film di fantascienza, ma il promotore della causa civile, cioè Antonio D’Ali, ritenuto dal prefetto Sodano responsabile – in qualità di sottosegretario al Ministero dell’Interno - del suo trasferimento privo di motivazione da Trapani ad Agrigento: obiettivo che rientrava peraltro nei desideri degli imprenditori mafiosi che volevano acquisire con una serie di trucchi la proprietà della Calcestruzzi Ericina, sottostimata su loro incarico da quel funzionario dell’Ufficio delle Entrate che è già stato condannato in primo grado; i convenuti sono le persone querelate: il prefetto Sodano, Michele Santoro, Stefano Bianchi e la RAI. E bisogna soprattutto insistere nel far capire che l’unico “caduto” di questa battaglia è proprio D’Alì, ridotto dal giudice romano da querelante a soccombente. E soccombere - dal latino “sub”, sotto, e “cumbere”, cadere – vuol dire soggiacere, rimanere sconfitto, mentre nel gergo giudiziario significa esattamente “perdere la causa”. Ed infatti è stato condannato a rimborsare ai querelati le spese sostenute per difendersi nel processo. E’ questo il punto fondamentale! Il resto è chiacchiericcio che non denota buona fede».

Infatti la versione di D’Alì è amplificata anche da persone colte del suo entourage
«Beh! Da che  mondo è mondo, gli ambienti politici pullulano di ruffiani e di sciacalli che speculano, oltre che sull’ignoranza, sull’indifferenza e su quel malinteso senso del quieto vivere che serve soltanto a mantenere o accrescere vantaggi, privilegi e prebende dalle amicizie altolocate. Nella vicenda, si è sempre parlato di “caso Sodano”, ma sarebbe stato più corretto parlare sin dall’inizio di “caso D’Alì”: è stata l’ assenza di motivazione del trasferimento del prefetto che ha alimentato subito il sospetto che sotto sotto ci fosse qualcosa di inconfessabile. Alle richieste di chiarimenti, sia il senatore che il Ministero hanno risposto sempre picche. E l’omertà istituzionale non denota trasparenza, cardine della democrazia: rientra nella prassi di chi opera nei poteri occulti o ne imita i metodi. Nemmeno il Tribunale di Roma ha però fatto piena luce sulla responsabilità dell’ingiusto trasferimento del prefetto Sodano, che in questo procedimento reclamava il risarcimento del danno subìto: la sentenza, capolavoro di equilibrismo, a prima vista può lasciare perplesso chi legge».

In che senso? 
«Dopo la citata telefonata ho  letto una nota di Gianfranco Criscenti su facebook ed ho scritto un commento: “Esprimo le più grandi felicitazioni e rinnovo l'immensa stima nei confronti del prefetto Sodano”. Da lì a poco, sempre su facebook, mi arriva un messaggio riservato del senatore D’Alì: “Signor Professore, visto che Lei è un amante della verità non potevo esimermi da inviarle la sentenza del giudice del Tribunale di Roma che dice il contrario di quello che è scritto” nella bacheca di Criscenti: il Tribunale – aggiunge -  ha “rigettato la riconvenzionale del Prefetto Sodano nei miei confronti nella causa di diffamazione” e precisa che “addirittura non ho trasferito, cosa vera, il Prefetto Sodano ma che se lo avessi fatto rientrava nei miei compiti di Sottosegretario di Stato”. Gli ho fatto notare che in verità nella sentenza c’è scritto che l’ essersi  il D’Alì “reso parte dirigente del trasferimento di un soggetto ricoprente una carica nell'ambito dello stesso settore pubblico di attività (la Prefettura) potrebbe astrattamente rientrare nell'esercizio dei poteri latu sensu istituzionali, salva ogni valutazione sulla rispondenza del trasferimento all'effettivo interesse pubblico perseguito”. Siccome questa frase contiene dei particolari generici (“potrebbero”, “astrattamente”), nonché inesatti e lacunosi sulla competenza gerarchica e sulla motivazione del provvedimento, si impongono alcune puntualizzazioni».

Una specie di “analisi logica”?
«E anche giuridica. Prima di tutto emerge infatti un errore concettuale - commesso dal giudice civile e condiviso per convenienza da D’Alì - in materia di diritto amministrativo: è più che logico che il prefetto Sodano non sia stato trasferito dal Sottosegretario ma dal Ministro, il quale, peraltro, è obbligato per legge a sottoporre la decisione all’approvazione del Consiglio dei Ministri. Io queste cose le sapevo già nel 1961, in quinta ragioneria, al ‘Calvino’. Il senatore, laureato in giurisprudenza, dà invece per scontato quel che c’è scritto nella sentenza. In secondo luogo, l’espressione “esercizio dei poteri latu sensu” del sottosegretario, riconosce che lo stesso ha comunque la facoltà di consigliare, chiedere, suggerire, insistere, far pressione  sul ministro per il trasferimento. D’altra parte,  non è mai successo che un ministro dell’Interno nomini o trasferisca il prefetto di una provincia senza aver sentito il politico del posto facente parte del proprio partito o, meglio ancora del proprio Ministero come sottosegretario. E poi … ho letto che Pisanu è stato anche testimone delle seconde  nozze del senatore, ed  ho anche saputo che Pisanu ha detto a qualcuno di aver ricevuto da D’Alì esplicite ed insistenti richieste in quel senso; richieste che per altro verso coincidevano con le aspirazioni dei mafiosi ostacolati nelle loro mire dal prefetto Sodano. “Stu prefettu è tintu e sinn’avi a gghiri” era il succo delle loro conversazioni intercettate. Ma questo il ministro non poteva saperlo».

Ma siamo sicuri che tutto questo non sia stato accertato dal Tribunale?
«Si intuisce dalla parte finale della citata frase della sentenza: rimane “salva ogni valutazione sulla rispondenza del trasferimento all'effettivo interesse pubblico perseguito“. Il che significa che da parte del Tribunale di Roma questa “valutazione” non c’è stata, per cui non si può escludere che il trasferimento sia stato ingiusto perché finalizzato a scopi diversi dall’interesse pubblico. Secondo me, ragionando a rigore di logica, il nocciolo della questione sta proprio in tale mancato accertamento, che è stato alla base della decisione di non condannare D’Alì anche al risarcimento del danno subito dal prefetto Sodano per via del trasferimento. In altri termini, il magistrato romano, prima di emanare il verdetto, avrebbe potuto fare ciò che non ha fatto: quanto meno tener conto di certi atti giudiziari o attendere l’esito degli accertamenti dei colleghi di Palermo impegnati nel procedimento a carico di D’Alì per concorso esterno in associazione mafiosa, nei quali si parla anche del trasferimento del prefetto Sodano e dei desideri dei boss».

E’ pure vero però che l’azione di contrasto delle cosche mafiose non era un’esclusiva del prefetto …

«Mah! Per la verità ho anche sentito parlare in ambiente istituzionale, a livello centrale, di tentativi diretti a far allontanare da Trapani anche magistrati ed appartenenti ad altra categoria di fedeli servitori dello Stato ritenuti scomodi; tentativi non riusciti perché per fortuna la Magistratura era ed è ancora autonoma e indipendente dal potere politico e sa prendere anche iniziative per la tutela del personale di Polizia Giudiziaria. Penso che anche questa vicenda possa essere al vaglio dei magistrati della DDA di Palermo che hanno indagato D’Alì. E se non ricordo male tra i nomi che figurano nei loro atti c’è anche quello del successore del dottor Sodano: il prefetto Giovanni Finazzo».

A che titolo?
«Tempo fa qualcosa è saltata fuori nel corso di un’ inchiesta. Ma prescindendo da questo, c’è motivo di pensare che Finazzo non  sia stato estraneo alla manovra che si è svolta dietro le quinte per il trasferimento di Sodano. Quest’ultimo, nel 2003, in giugno  - mese in cui vengono disposti  sia le nuove nomine che i trasferimenti dei prefetti - era stato rassicurato da un alto funzionario del ministero: su incarico del ministro gli aveva detto che sarebbe rimasto a Trapani. Dopo qualche settimana, come un fulmine a ciel sereno, gli viene comunicato il trasferimento ad Agrigento. Subito dopo riceve una telefonata da Finazzo: gli dice di essere il suo successore, di aver seguito la procedura e gli chiede se può mandare delle masserizie in prefettura per agevolare il suo insediamento. Sodano cade dalle nuvole, non ha niente in contrario e la mattina successiva in Prefettura arriva l’autocarro con il materiale. Nel 2004 arriva la Commissione antimafia a Trapani. Il prefetto Finazzo dichiara alla stampa – e lo farà ripetutamente anche in seguito - che i lavori per l’America’s Cup sono sotto controllo per evitare che appalti e forniture vadano a operatori economici mafiosi o contigui a Cosa Nostra. Alla fine del 2005 c’è una retata e salta fuori che qualcosa invece c‘era. Nel gennaio del 2006 certe notizie finiscono soprattutto nella relazione di minoranza della Commissione. Due dei soggetti più citati figuravano però in un documento giudiziario che era stato riportato testualmente dalla rivista a tiratura nazionale "Antimafia 2000" nell’estate del 2004. Si trattava di due imprenditori che avevano partecipato a vario titolo ai lavori preparatori del porto in vista della Coppa America: dalla lettura del documento si intuiva che erano nelle condizioni di interloquire con «quelli di Castelvetrano», cioè con persone che potevano avere contatti o rapporti continuativi con Matteo Messina Denaro. Il titolo dell’articolo era  “Scatta Peronospera 2: trema il sen. Antonio D’Alì”».

Pensa che tremi anche in vista della conclusione dell’inchiesta della DDA di Palermo?
«Considerato che dei parlamentari sono stati arrestati e sottosegretari e ministri potrebbero fare la stessa fine, credo che la preoccupazione possa esserci. Ma non riesco ad immaginarne l’intensità perché non mi sono mai trovato in una situazione del genere. La mia è una famiglia di appartenenti all’Arma dei Carabinieri che sin dai primi anni del secolo scorso hanno reso onore alla divisa: fermezza sul motto “nei secoli fedele” alle leggi, senso dello Stato e spirito di servizio, stipendi bassi  ma coscienza pulita e …  marcia a fronte alta!».

Una curiosità: ai messaggi di D’Alì Lei cosa ha risposto?
«Che dovrebbe avvertire l’obbligo morale e politico di fare pubbliche dichiarazioni dando a tutti la possibilità di aprire un dibattito sulla stampa. Le sentenze vanno interpretate e valutate: tant’è che sono consentiti gli appelli. Per il resto, non ritengo opportuno render noto il contenuto della nostra corrispondenza, riservata non per mia scelta».


Gianfranco Criscenti (fonte: periodico qundicinale 'L'Isola', ottobre 2011)



 


Respinta la richiesta di risarcimento danni del senatore d'Alì nei confronti dell'ex prefetto Sodano e di Anno Zero

16 settembre 2011. Il Tribunale civile di Roma ha respinto la richiesta di risarcimento danni intentata dal senatore Antonio D'Alì nei confronti dell'ex prefetto di Trapani, Fulvio Sodano, e dei giornalisti Michele Santoro e Stefano Maria Bianchi della redazione "Annozero". In un'intervista rilasciata a Bianchi nel 2005, Sodano aveva accusato  D'Alì - all'epoca dei fatti sottosegretario agli Interni nel governo Berlusconi - di essere stato trasferito ad Agrigento per volontà del senatore. Sodano, a Trapani, si era battuto contro il tentativo della mafia di riappropriarsi della "Calcestruzzi Ericina", azienda confiscata al boss Vincenzo Virga. L'intervento dell'ex  prefetto bloccò l'operazione.
La sentenza del Tribunale civile di Roma, tuttavia, esclude la presenza di riscontri su una possibile collusione mafiosa di D'Alì, come pure sancisce il principio che, qualora l'ex sottosegretario avesse in effetti chiesto il trasferimento del prefetto Sodano (come ritiene quest'ultimo), avrebbe agito nell'ambito dei suoi poteri.
Nella sentenza si legge, tra l'altro, infatti, che 'non vi e' alcun riferimento, ne' diretto ne' indiretto circa una possibile collusione dell'attore con il potere mafioso' e che 'l'essersi reso parte dirigente del trasferimento di un soggetto ricoprente una carica nell'ambito dello stesso settore pubblico di attivita' (la Prefettura ) potrebbe astrattamente rientrare nell'esercizio dei poteri latu sensu istituzionali dell'accusato, salva ogni valutazione sulla rispondenza del trasferimento all'effettivo interesse pubblico perseguito'. E alla luce di cio', il Tribunale ha dichiarato inammissibile la richiesta rinconvenzionale avanzata dall'ex prefetto nei confronti di D'Alì per i danni patiti a seguito del suo trasferimento ad Agrigento'. (Fonte Ansa)

Fonte:
www.telesud3.com




L’ex prefetto Fulvio Sodano: “La causa vinta non è mia ma del popolo”

21 settembre 2011. L’ex prefetto di Trapani, Fulvio Sodano, attraverso la sua pagina su facebook, ringrazia i trapanesi per il sostegno che gli hanno dimostrato, non ultimo la costituzione di un comitato per il conferimento della cittadinanza onoraria. Commentando la sentenza del Tribunale civile di Roma che ha respinto la richiesta di risarcimento danni intentata dal senatore del Pdl, Antonio D’Alì (che si era sentito diffamato per l’accusa di essere stato lui l’autore del trasferimento del prefetto da Trapani ad Agrigento), Sodano scrive: “La prima cosa che mi viene in mente è che ho detto la verità, i bugiardi sono altrove. Se devo trarre una morale dalla mia vicenda è che i potenti non sono invincibili e che anche la giustizia umana sarà lenta, ma arriva prima o poi”. Sempre rivolto ai trapanesi, Sodano scrive: “Amici miei voglio condividere questo mio momento con voi perchè la mia vittoria non è individuale ma collettiva, abbiamo vinto tutti noi. Voglio inoltre ringraziare tutti quelli che a Trapani mi hanno denominato “Prefetto del Popolo”. Sappiate che il nomignolo mi ha inorgoglito. La causa vinta non è mia ma del popolo e ciò mi fa sperare in un avvenire migliore. Vi abbraccio con affetto. Fulvio Sodano”.

Fonte: www.agrigentoflash.it




 


L'intervista di Stefano Maria Bianchi a Fulvio Sodano (dalla trasmissione "Anno Zero" del 05/10/2006)











 

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