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Donatoni, indagati cinque Nocs per omicidio PDF Stampa E-mail
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Scritto da Federica Angeli e Marco Mensurati   
Giovedì 08 Dicembre 2011 19:50
Roma, il GIP riapre il caso del poliziotto ucciso nel blitz per libarare Soffiantini. 'Ora la procura faccia chiarezza'

Un poliziotto del Nocs indagato per omicidio, un altro per aver distrutto le prove, e altri cinque per aver depistato l’indagine (oltre che per il concorso in omicidio). Si riapre così, a 14 anni dalla sua morte, l’inchiesta sull’omicidio dell’agente speciale Samuele Donatoni, ucciso sul ciglio dell’autostrada Roma-Pescara, vicino Riofreddo, durante un blitz per liberare l’imprenditore Soffiantini dai suoi sequestratori. Fu fuoco amico, dunque. Omicidio aggravato, falsa testimonianza, calunnia: sono queste le accuse con le quali il gip Massimo Battistini ieri, in una camera di consiglio durata due ore con gli avvocati della famiglia Donatoni, i 7 indagati e l’aggiunto Pietro Saviotti — ha respinto la prescrizione, e disposto la prosecuzione delle indagini e l’acquisizione di prove — atti, fotografie, quel che rimane dei reperti — in base alle quali si potrà stabilire cosa veramente è successo quella notte. Una decisione inaspettata quella del giudice che soltanto due mesi fa, all’indomani delle rivelazioni di Repubblica, a fronte di una richiesta di archiviazione depositata nel 2009, ha ripreso in mano il fascicolo «Donatoni». Una nuova pagina giudiziaria sta per essere scritta e si ricomincia proprio dai cinque poliziotti — Stefano Miscali, Claudio Sorrentino, Claudio Clemente, Vittorio Filipponi, Nello Simone — che, la notte del 17 ottobre del 1997, erano a Riofreddo in squadra col collega Donatoni.
Sono gli stessi agenti del nucleo d’eccellenza della polizia di Stato che, per anni, hanno creato all’interno del Nocs un sottocomando con pratiche al limite del sadismo nei confronti di sottoposti e dirigenti. Quelli ai quali è stato permesso ogni genere di angheria, malgrado le segnalazioni e le denunce ai vertici del Nocs. Le teste di cuoio che avevano stretto una sorta di patto di sangue e che per anni, custodi di una loro verità difesa e sostenuta dai vertici della polizia italiana, hanno creato in clima di terrore nella caserma di Spinaceto. Oltre a loro nella nuova indagine disposta ieri sono finiti l’attuale dirigente della Dia Alfonso D’Alfonso, all’epoca dei fatti a capo della Scientifica, e Paola Montagna, colei che analizzò i reperti raccolti dalla scena del delitto e poi li buttò, rendendo così irripetibili gli esami. Fino a ieri per l’omicidio dell’agente speciale del Nocs ci sono state due verità. La prima, al termine del processo istruito dal pm Franco Ionta, che portò alla condanna nel 2000 dei 19 sequestratori in concorso morale, la seconda è quella con cui la quarta corte d’assise di Roma, presieduta da Mario Almerighi nel 2005 ha assolto dallo stesso reato il ventesimo bandito, Giovanni Farina, arrestato anni dopo a Sidney e processato separatamente. Nel primo dibattimento a uccidere Donatoni fu il kalashnikov di uno dei banditi (Mario Moro), nel 2005 invece, con sentenza definitiva si stabilì che il proiettile era stato sparato a bruciapelo, non da Moro, ma da qualcuno che stava dalla parte del Nocs. Quel misterioso uomo oggi ha un nome: Stefano Miscali, l’agente più vicino alla vittima nel momento dell’operazione che, interrogato dai giudici dei due processi, ha sempre negato ogni responsabilità, fornendo, insieme agli altri quattro poliziotti oggi indagati, una versione che il gip considera preconfezionata. «Nonostante siano trascorsi troppi anni senza che si sia pervenuti a delle certezze — hanno dichiarato i difensori della madre e del fratello di Samuele Donatoni, Giulia Dragoni, Armando Macrillò e Roberto Santucci — siamo fiduciosi che queste nuove indagini disposte dal gip possano portare a delle chiarificazioni che consentano ai familiari di Samuele di sapere cosa effettivamente accadde quella tragica notte del 17 ottobre 1997».


Federica Angeli e Marco Mensurati (La Repubblica, 8 dicembre 2011)







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