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Cisterna, telefoni scottanti PDF Stampa E-mail
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Scritto da Michele Inserra   
Martedì 03 Gennaio 2012 11:07
Nell’agenda di Luciano Lo Giudice due utenze a copertura di Cisterna. Una intestata a una signora filippina e l’altra a uno del clan

31 dicembe 2011.
REGGIO CALABRIA - Una scheda telefonica intestata a una ignara filippina, un’altra ad un familiare dei Lo Giudice. E’ il contenuto dell’agendina di Luciano Lo Giudice (nella foto, ndr), il volto imprenditoriale della cosca di Reggio Calabria, arrestato nel 2009. Entrambe le utenze l’uomo del clan le aveva ricondotte all’attuale numero due della Dna, Alberto Cisterna, indagato dalla Procura di Reggio per corruzione inatti giudiziari. E’ quanto riportato in una dettagliata relazione della polizia che oggi è al vaglio del Consiglio superiore della Magistratura che nei prossimi giorni si pronuncerà sul trasferimento per incompatibilità del magistrato.

Ma andiamo ai fatti riportati nella corposa relazione degli investigatori. Il 23 giugno scorso tra la documentazione sequestrata dalla polizia spunta un’agendina “Smemoranda”, compilata a mano, in diverse pagine contenenti numerose cancellature. La scrittura è quella di Luciano Lo Giudice. Qualche giorno dopo, il 28 giugno, la Procura conferisce l’incarico a un tecnico calligrafico. Il suo compito è quello di accertare cosa si nascondesse sotto le cancellature a penna. Il 23 settembre veniva depositata la relazione di consulenza tecnica. Viene ricostruita la scritta cancellata e appare: «Avv. Roma via Giulia 52 00186 Roma 335....- 06....349.....- 320....». L’evidenziazione delle parti cancellate mette in luce che Lo Giudice “riferisce” quattro utenze al magistrato Cisterna. Sulle prime due nessun dubbio: la prima utenza è quella di servizio del magistrato, la seconda dell’ufficio della Direzione distrettuale antimafia. E le altre due che Lo Giudice riconduce al vice del procuratore nazionale Piero Grasso? Ci pensano le indagini a svelarlo.

L’utenza 349 è stata attivata per la prima volta il 5 dicembre del 2002 da Roberto Zampogna e il 26 maggio del 2003 sulla stessa scheda viene registrato un R.U., ovvero “reale utilizzatore”, con le generalità di Celeste Zampogna. La sim viene disattivata il primo luglio del 2004. Chi è Roberto Zampogna il cui numero di cellulare Luciano riconduce a Cisterna? Zampogna, di professione imbianchino, è legato da vincoli di parentela con i Lo Giudice. La figlia Concetta Adriana, infatti, ha sposato Pasquale Borghi, e la madre di quest’ultimo, Caterina Lo Giudice, è la nipote del mammasantissima Giuseppe Lo Giudice, ucciso ad Acilia nel 1990 e padre del pentito Nino “il Nano”, e quindi anche di Luciano e Maurizio, l’altro collaboratore di giustizia di casa Lo Giudice. Di Borghi, inoltre, aveva parlato anche in un interrogatorio Antonino Lo Giudice e lo stesso Borghi era stato sottoposto a controlli di polizia il 13 febbraio del 1994 mentre si trovavacon Luciano Lo Giudice. Ma non finisce qui. La stessa utenza prima di essere definitivamente disattivata il 28 gennaio 2007 viene assegnata al rumeno Alexandru Turcanu. Il cognome identico a quello di Madalina Turcanu, la donna arrestata in Spagna per favoreggiamento del clan, lascia pensare a una parentela tra i due. Non è così. A negare l’esistenza di un parente di nome Alexandru è la madre della donna. Alexandru Turcanu esiste, non è reperibile in Italia e al momento è ricercato dalla Questura di Modena.

Veniamo all’utenza 320, che oltre adessere annotata nella Smemoranda, risulta memorizzata su una sim in uso a Luciano Lo Giudice e memorizzata come “Al Cist Nuovo”. Si tratta di una utenza attivata senza generalità il 7 febbraio del 2004 e disattivata dal gestore Wind per portatilità verso quello Tim il12 agosto 2004. A questa data l’utenza risulta intestata a una signora di origini filippine, R.Y.Q, che vive in Italia dal 1992. La scheda viene poi definitivamente disattivata il 13 settembre 2005. Il 21 luglio scorso la cittadina straniera veniva pertanto sentita dalla polizia. Agli agenti riferisce che non ha mai avuto quell’utenza telefonica, ma ne ha avute solo tre utilizzate esclusivamente da lei, sempre una per volta e in periodi temporali diversi. E per rafforzare la sua versione dei fatti, la donna ha fornito alla polizia una rubrica telefonica e la documentazione attestante le utenze cellulari che aveva utilizzato in passato. Come è stato possibile? Un elemento comune c’è. L’utenza “reale” della filippina è stata attivata in un negozio Tim di Roma il 7 giugno 2004. L’utenza che Luciano in agenda riconduce a Cisterna, quella 320, risultata “eseguita” la portatilità a Tim da Wind il 12 agosto 2004 nello stesso centro di telefonia mobile della Capitale. Ma non è tutto. Perché oltre ai quattro numeri che Lo Giudice riconduce a Cisterna ne spunta un quinto. Infatti dalla rubrica elettronica del telefono in uso a Luciano il consulente incaricato dalla Procura estrapola anche il numero dell’autista del magistrato reggino, di regola assegnato al numero due della Dna. E nel periodo compreso tra il novembre 2005 e il febbraio 2007 vengono effettuati accertamenti sul traffico telefonico. Sul numero di cellulare dell’autista di Cisterna vengono riscontrate chiamate provenienti dall’utenza in uso a Luciano Lo Giudice e da quella in uso a Antonino Spanò, alias “Calipari”, il prestanome della “Nautica Spanò”, quella che custodiva le barche di toghe, forze dell’ordine e politici, tra cui, per un breve periodo, anche il gommone di Alberto Cisterna.


Michele Inserra (Il Quotidiano della Calabria, 31 dicembre 2011)






Sei mesi prima dell’arresto avvenne l’ultimo incontro alla Dna di Roma

REGGIO CALABRIA – L’ultimo incontro a Roma con Cisterna Luciano l’avrebbe avuto sei mesi prima del suo arresto del 20 ottobre 2009. A raccontare il particolare alla Dda di Reggio è il pentito Antonino Lo Giudice. A fargli compagnia Luigi Donato, un commerciante di Villa San Giovanni. Ma chi è questa persona che Luciano decide di portare con sé a Roma da Cisterna? «Donato Luigi non è niente – racconta Nino “il nano”- è un amico di Luciano non è legato con nessuno era solo amico non è diciamo nella ‘ndrangheta niente….allora lui insieme a suo padre gestiscono un vivaio che fanno tutti i frutti di mare a Villa San Giovanni ».
Poi dice ancora: «Luciano andava sempre a Roma a trovarlo nello studio…. guardate l’ultima volta Luciano era salito a Roma a parlare con lui, allo studio sono andati con Donato… è stato circa sei mesi prima dell’arresto di Luciano,verso maggio, giugno ecco».
Ma per quale motivo Luciano era andato a Roma? A chiederlo al pentito sono i magistrati. «Non lo so – risponde – almeno io non mi ricordo in questo minuto… può essere pure proporre qualche altro arresto o per incontrarsi con questo dei servizi (lo 007 della guardia di finanza Massimo Stellato, ndr)… o per il figlio, ma il figlio è stato anche lì precedentemente… si è impegnato anche Cisterna per questo fatto». Quest’ultima circostanza è stata anche confermata dallo stesso magistrato. Si trattò di un gesto di umanità verso il figlio di Luciano che aveva bisogno di consulenze specialistiche e cure. E Cisterna aveva spiegato per iscritto al procuratore nazionale che Luciano Lo Giudice forniva indicazioni informali sulla situazione della criminalità organizzata in città. Circostanze che a sua volta il magistrato aveva riferito al comandante protempore del reparto operativo dei carabinieri, il maggiore Fabio Coppolino.

M. I. (Il Quotidiano della Calabria, 31 dicembre 2011)




 
LA DIFESA

È stato presentato il 17 novembre un corposo memoriale contro le accuse

REGGIO CALABRIA – E’ il 17 novembre scorso. Dura meno di un’ora l’audizione, innanzi alla Prima Commissione del Csm, del Procuratore nazionale antimafia aggiunto Alberto Cisterna che – ai consiglieri – consegna una “corposa” memoria scritta nella quale ha risposto alle “segnalazioni” evidenziategli da Palazzo dei Marescialli in seguito all’indagine penale per corruzione in atti giudiziari aperta nei suoi confronti dalla Dda di Reggio Calabria in seguito alle dichiarazioni del pentito Antonino Lo Giudice.
Cisterna fu assistito da Marcello Maddalena, il Procuratore generale di Torino, e nei suoi confronti in quella sede non fu assunta alcuna decisione. E pertanto il magistrato ha continuato ad esercitare le sue funzioni.
La Prima Commissione comunque tornerà a riunirsi per valutare e prendere una decisione sulla vicenda, nella quale il vice del procuratore nazionale Piero Grasso rischia il trasferimento.
A Cisterna sono state rivolte poche domande “ma niente di particolare” anche perchè – fecero notare le fonti del Consiglio superiore della Magistratura – il numero due della Procura nazionale antimafia «era già stato sentito in sede di procedimento penale».
L’indagine a carico di Cisterna era nata a seguito delle dichiarazioni di Antonio Lo Giudice, che si è autoaccusato degli attentati del 2010 alla procura generale di Reggio e al Procuratore Giuseppe Pignatone.
Lo Giudice avrebbe sostenuto che il magistrato reggino avrebbe avuto un regalo, probabilmente dei soldi, per far uscire dal carcere e far ottenere gli arresti domiciliari a suo fratello Maurizio, anch’egli collaboratore di giustizia. E che questo glielo avrebbe riferito un altro dei suoi fratelli, Luciano, condannato per usura, estorsione e altri reati.
Proprio con Luciano Lo Giudice il magistrato Cisterna avrebbe avuto una settantina di contatti telefonici tra il 2005 e il 2007: un rapporto cominciato – avrebbe spiegato il magistrato nel suo interrogatorio davanti ai pm di Reggio Calabria – per ottenere informazioni utili alla cattura del boss della ‘ndrangheta Pasquale Condello, alias “il supremo”, e dietro il quale non ci sarebbe nulla di illecito. Solo quando la Commissione terminerà la propria indagine presenterà al plenum la sua richiesta di trasferimento: se riterrà che Alberto Cisterna non possa più svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità, o, in alternativa di archiviazione.
Al vaglio della Commissione c’è naturalmente anche la dettagliata relazione della polizia di Reggio Calabria in cui emergono più circostanze che vedono il magistrato in contatto con Luciano Lo Giudice. Ma sarà l’assemblea di Palazzo dei Marescialli ad avere l’ultima parola.
E la decisione dovrebbe giungere nelle prime settimane del 2012.

Fonte: Il Quotidiano della Calabria, 31 dicembre 2011




 

 
IL RETROSCENA
 


Luciano fu multato e chiese aiuto. Invano

La rivelazione di Nino. Ma Cisterna non rispose

 
REGGIO CALABRIA – Luciano era alla guida della sua Ferrari in compagnia dell’amico Paolo Gatto, venne fermato a un posto di blocco dei carabinieri a Saline Joniche e siccome non aveva le cinture di sicurezza allacciate chiamò mezzo mondo per tentare di evitare la multa. «… sono a conoscenza anche che Luciano è stato fermato a Lazzaro, a Lazzaro con una Ferrari rossa di sua proprietà e in quanto i Carabinieri, non lo so per quale motivo, l’avevano fermato e allora dando i documenti e le cose questi prendevano tempo, prendevano tempo e quindi Luciano si apprestò al Dottore Alberto Cisterna di chiamare alla caserma di lasciarlo stare, cosa che avvenne; so anche che Luciano… omissis… precisamente non lo so, ma credo dopo il 2007, credo». A raccontarlo è sempre Nino Lo Giudice. Ma il magistrato non fece nulla.

Dall’esame della documentazione trasmessa alla Dda di Reggio Calabria, emergevano circostanze, che costituivano precisi riscontri alle dichiarazioni del pentito. Luciano si sarebbe rivolto al capitano dei carabinieri Saverio Spadaro Tracuzzi, arrestato un anno fa per i suoi stretti rapporti con la cosca. Quest’ultimo, in sede di interrogatorio, riferì che non poteva farci nulla.
«..Ebbe a chiederlo… all’allora Tenente Sframeli, mi pare di sì, mi pare Sframeli, non solo, ma poi seppi che lo chiese anche a un Magistrato…se non erro, se non vado errato, chiese anche questa cortesia al Dottore Cisterna».
A questo punto la Dda decide di sentire anche il militare che aveva operato in in quella circostanza. Ecco il suo racconto.
«Nell’occasione – ha riferito l’uomo dell’Arma – il Lo Giudice andò su tutte le furie e lo vidi prendere il telefono cellulare ed effettuare una chiamata; a quel punto, io mi sono allontanato per redigere i verbali con la contestazione amministrativa, ma lo sentii ugualmente conversare, in quanto il Lo Giudice, alterato, parlava a voce alta. In particolare, lo sentii dire al suo interlocutore telefonico, cui dava del tu, che era stato fermato dai Carabinieri e che non ne poteva più perché ogni volta gli facevano verbali. Ad un certo punto, mi si è avvicinato, dicendomi che c’era il Cap. Sframeli in linea che mi voleva parlare. A quel punto, io gli ho risposto che poiché il Cap. Sframeli era all’epoca il mio Comandante di Compagnia, ben poteva, se voleva parlarmi, chiamarmi al mio cellulare, e continuai a scrivere i verbali. Nessuno mi chiamò nell’occasione, tantomeno il Cap. Sframeli. Al termine della compilazione dei verbali, li consegnammo al Lo Giudice con il bollettino di versamento di conto corrente postale e lo lasciammo andare via… Posso riferire che la redazione dei verbali ci impegnò per una ventina di minuti e che durante tutto quel tempo Lo Giudice Luciano rimase a parlare al telefono, non so dire se con un unico e con più interlocutori. Non gli ho sentito fare il nome del Cap. Spadaro Tracuzzi né quello del Dott. Cisterna….” Al mio rientro in Caserma a fine turno, intorno alle ore 19, mentre mi intrattenevo coi colleghi che dovevano intraprendere il turno successivo, vidi il Cap. Sframeli uscire dalla Caserma e notai che mi guardò. Pertanto, gli chiesi se era seccato poiché “avevo fatto il verbale all’amico suo’, riferendomi al precedente episodio del controllo a Lo Giudice. L’ufficiale mi rispose che il Lo Giudice non era amico suo, che l’aveva conosciuto in alcune occasioni quando prestava servizio a Reggio Calabria poiché era andato con dei colleghi nella Cornetteria del Lo Giudice vicino alla Stazione Ferroviaria. Aggiunse che non sapeva come il Lo Giudice avesse il suo numero di telefono e che in diverse occasioni lo aveva disturbato. Concluse, con una battuta, dicendomi che quando effettuavo dei controlli e qualcuno spendeva il suo nome, di fare a questo qualcuno il doppio dei verbali…. Lo scambio avuto con il Cap. Sframeli al mio rientro in Caserma mi confermò, pur non avendo io parlato al telefono con l’ufficiale al momento del controllo, che effettivamente Lo Giudice Luciano aveva chiamato il Cap. Sframeli perché intervenisse in suo favore".


Mi. In. (Il Quotidiano della Calabria, 31 dicembre 2011)
 




 

«A Milazzo presero la barca e non pagarono 5mila euro»

Luciano andò con Spanò a ritirare il natante della toga

REGGIO CALABRIA – Cisterna doveva pagare 5mila euro a un cantiere nautico di Milazzo. In Sicilia andò Luciano e Nino Spanò, il prestanome dell’attività di rimessaggio di Reggio Calabria. Luciano recuperò la barca del magistrato e se ne andò senza pagare. E’ allegata anche questa circostanza raccontata dal pentito Antonino Lo Giudice nella relazione inviata dalla polizia a Procura e Csm. Il particolare emerge nel corso dell’interrogatorio del 30 novembre del 2010 alla presenza del procuratore capo Giuseppe Pignatone.
«…. voglio fare delle dichiarazioni spontanee – disse Nino Lo Giudice – Allora …omissis … so che in una, in una questione che riguardava una barca del Dottore Alberto Cisterna si impegnò sia Nino Spanò che Luciano,mio fratello, di andare a recuperare una barca che si trovava mi sembra o a Barcellona o comunque nei pressi di Messina, in guanto chi l’aveva in custodia questa barca pretendeva 5.000,00 euro se sbaglio non faccio, in più di quanto doveva dare il Dottore Alberto Cisterna».
Pignatone: se la stava comprando?
Lo Giudice Antonino: no, ce l’aveva lì in custodia in quanto in precedenza forse, se non ricordo male, se l’aveva comprata siccome ha ritardato di andare a ritirarla questo qui, questa Persona che non so come si chiama pretendeva 5.000,00 euro in quanto la barca era in sua custodia e aveva fatto, diciamo, dei lavori non lo so di preciso che cosa e comunque sia Spanò che Luciano sono andati a Milazzo, mi sembra a Milano hanno chiamato a questa persona non gli hanno dato soldi si hanno preso la barca e l’hanno portata a Reggio Calabria, poi …
Pignatone: aspetti un attimo il nome di questa persona lei non se lo ricorda?
Lo Giudice Antonino: no, non me lo ricordo Dottore.
Pignatone: ma ha un cantiere?
Lo Giudice Antonino: sì, ha un cantiere navale.
Pignatone: a Milazzo!
Lo Giudice Antonino: a Milazzo mi sembra che è a Milazzo.
Pignatone: e l'epoca di questo fatto più o meno se lo ricorda?
Lo Giudice Antonino: ma verso il 2006/2007.
Pignatone: sono andati Luciano e Spanò.


Fonte: Il Quotidiano della Calabria, 31 dicembre 2011







Nel libro di Genchi, Luciano ritrova il telefono di Cisterna e dello 007 Stellato 

«Ecco i cellulari forniti»

Luciano disse ad Nino: «Leggi quel libro: i cellulari li ho comprati io e li ho dati al magistrato»


REGGIO
CALABRIA In uno degli interrogatori davanti ai magistrati della Dda il pentito Nino Lo Giudice aveva parlato di un libro intitolato “Il caso Genchi” dallo stesso notato sulla scrivania dell’avvocato Lorenzo Gatto (indagato nei mesi scorsi
per favoreggiamento del clan Lo Giudice e interdetto dall’attività forense per tre mesi, ndr), all’epoca difensore di fiducia del fratello Luciano. In quella circostanza, stando al racconto del collaboratore di giustizia, l’avvocato Gatto gli aveva consigliato la lettura e Nino “il nano” aveva comprato due copie una per sé e un’altra per il fratello detenuto. «L’avvocato Gatto mi disse: compratelo e leggetelo, ci sono tantissime cose» ha raccontato il collaboratore di giustizia al procuratore capo Giuseppe Pignatone.
Il 19 marzo 2010 Luciano, nel riferirsi alle pagine 390 e 391 del libro, dice a Nino: «Leggiti Stellato, Massimo Stellato». La persona a cui fanno riferimento è l’agente dei servizi, il colonnello della guardia di finanza Massimo Stellato. Ma che c’entra con Lo Giudice e Cisterna? A spiegarlo è il pentito reggino nel corso dell’interrogatorio del 30 novembre 2010. «Sono a conoscenza anche che, nelle tante occasioni che Luciano è salito a Roma a trovare il dottore Alberto Cisternaspiega Lo Giudicegli è stato presentato uno dei servizi segreti che, se sbaglio non faccio, si chiama Sellario o Stellario o Sellerio, non mi ricordo di preciso il nome, questo nome, questa cosa me l’ha detto mio fratello molto prima che è stato arrestato e che gli è stato chiesto da Alberto Cisterna se gli poteva fare avere due schede telefoniche e due telefoni nuovi in quanto li doveva regalare a questa persona dei servizi segreti, so anche che è stato a Siena o a Pisa insieme ad Alberto Cisterna a trovare questa persona qui dei servizi segreti non so il motivo…omissis…e mi fa notare che in una pagina, non mi ricordo in quale pagina, c’era questo signore di nome Sellario, Stellario, non mi ricordo come si chiama, e parlava di questi telefonini e lui mi fece notare che quei telefoni, tutte quelle cose, li stava rivivendo in quanto i telefoni glieli aveva fatti avere lui…omissis… quel tipo di telefonini, di schede e di tante altre cose e quindi Luciano intuì che quei telefonini o simili a quelli erano di Luciano, in quanto in precedenza erano stati chiesti da Alberto Cisterna…omissis…mi sembra Nokia…omissis…con tutte le schede….omissis…italiane». Nel colloquio a Tolmezzo Luciano dice a Nino: «Leggi per bene in quel libro, ci sono due telefoni….quelli li ho comprati io….tu leggi ottantatre dieci e un seimila e sei…». In effetti alle pagine 782 e 783 del libro di Genchi si fa riferimento ad alcuni cellulari tra cui un Nokia 6600 nella disponibilità di Alberto Cisterna, mentre le pagine 818 e 819 contenevano il riferimento ad una perquisizione nei confronti di Massimo Stellato e ad alcuni cellulari e ad un Nokia 8310. Quei cellulari, insomma, secondo Lo Giudice sono gli stessi di cui si parla nel libro. E nell’interrogatorio del 30 novembre 2010 il pentito sottolinea: «Luciano li ha consegnati ad Alberto Cisterna, Alberto Cisterna li ha consegnati a questo signore». Lo 007 Stellato, appunto.


Michele Inserra (Il Quotidiano della Calabria, 31 dicembre 2011)








Il volume

Dall’inchiesta “Why Not” spuntano i misteri di Reggio

«IL caso Genchi. Un uomo in balia dello Stato” è stato scritto da Edoardo Montolli ed è uscito nelle librerie nel 2009. Tutto ruota attorno alla figura del consulente delle procure.
Luglio 1992, la Sicilia è dilaniata dalle stragi. In città c’è un poliziotto che ha lavorato con Falcone e sono tre anni che si occupa dei misteri di Palermo. Si chiama Gioacchino Genchi. È a lui che chiedono di scoprire qualcosa sulle agende elettroniche del giudice.
E di capire dai telefoni se qualcuno spiasse Paolo Borsellino. E lui qualcosa scopre.
Poi approda a Catanzaro, per la Why Not di Luigi de Magistris. Una mattina accende il pc, guarda i tabulati telefonici. E all’improvviso sbianca. Ma non fa in tempo a stendere una relazione: revocato l’incarico, indagato e perquisito, sequestrato l’«archivio» con tutti i dati fin dal 1992. Attaccato da ogni parte politica. Sospeso dalla polizia. E allora cosa c’era in Why Not, cosa c’era in quei tabulati? C’erano giudici a contatto con boss, magistrati amici degli indagati e dei loro avvocati. Ma c’era soprattutto un intreccio telefonico economico-politico-giudiziario che da Catanzaro saliva a Roma.

Fonte: Il Quotidiano della Calabria, 31 dicembre 2011








L’INTERCETTAZIONE

«Quello del giornale parlava male di lui e nelle telefonate si chiamano tutti e tre» 

REGGIO CALABRIA – E’ il 26 marzo del 2010 e all’interno del carcere di Tolmezzo viene registrato un colloquio in carcere tra il detenuto Luciano e il fratello Nino.
Secondo la relazione della polizia al centro della discussione sono le pagine 518 e 519 del libro “Il caso Genchi”, ovvero quelle che riguardano uno scambio di telefoni tra il magistrato Cisterna e il giornalista Paolo Pollichieni.
Grazie allo scambio di alcuni cellulari «fra il Cisterna e il Pollichieni è stata attivata una vera e propria rete telefonica riservata, con la circolare e continua triangolazione delle conversazioni con i magistrati Vincenzo Macrì e Francesco Mollace» è scritto nel libro.
Il consulente delle Procure Gioacchino Genchi, tra l’altro, è stato anche querelato in precedenza per quanto riportato all’interno di quel volume, anche dallo stesso Cisterna.
Ma andiamo ai fatti. Ecco cosa si dicono i fratelli Luciano e Antonino nel colloquio in carcere.
L: L’hai finito il libro?
A: Sì, però non…no..
L: Magari tu non sai come sono i fatti giustamente…

A: No…ho letto, perché sono due, però, il discorso è di uno…il discorso è uno…!
L: Sì, però…però qual è il discorso…
A: Trecentonovanta…
L: Però c’è pure settecento e rotti…
A: Sì, ma è un’altra persona… Luciano…
L: Sì, però la cosa che dice… dice, come mai, dice noi sappiamo per dire che quello del giornale …
…Antonino fa cenno di sì con il capo…
L: Giusto…? Parlava male di lui … e nelle telefonate si chiamano tutti e tre
A: Sì …
L: Com’è questo fatto…?
A: Misteri…misteri della vita…
L: No, com’è questo fatto…?
A: Ma se tu leggi… se tu vai alla pagina… non capisci niente…allora te lo devi leggere dall’Inizio alla fine…
L: Si, si…
A: Siccome, per sentire a te io, ho preso ed ho saltato la pagina…
L: No…lui parte… parte prima di trecento…di duecento… duecentosette…
A: Duecento novanta…
L: No, duecentosette, duecento otto…
A: Si…
L: Dice…uno, due e tre…
A: Si sentivano tutti e tre…
L: E ma…
A: Sì, li ho letti … li ho letti … come il telefono di uno, la scheda di un altro e poi si cambiavano..
L: I telefoni li hai visti…?
A: Un telefono…
L: Sono tre i telefoni…
A: Allora, c’è un’altra parte…
L: E tu leggilo…
A: C’è un’altra parte allora…
L: Basta che prendi nome e cognome e vai sulla pagina…
A: Sono andato…
L: sopra a tutte…
A: Un telefono…
L: No…
A: … (incompr.) … va bene …

 
Fonte: Il Quotidiano della Calabria, 31 dicembre 2011






















 


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