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Via D'Amelio, due nuovi indagati. Escono dall'inchiesta i servizi segreti PDF Stampa E-mail
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Scritto da Giuseppe Martorana   
Sabato 07 Gennaio 2012 16:20
Spunta il nome di un meccanico di Palermo che avrebbe lavorato all'auto usata nell'eccidio.

Caltanissetta. Tassello dopo tassello. Un puzzle che si sta ricomponendo piano piano. Due nuovi indagati sono entrati nel quadro che la Procura di Caltanissetta sta disegnando. Uno è palermitano, l'altro nisseno. Ma dall'indagine escono pezzi da novanta. Escono appartenenti e presunti appartenenti ai servizi segreti che, con ruoli diversi, erano stati indagati. 'Sono stati cancellati dal registro degli indagati' ha affermato il Procuratore Sergio Lari. E lo stesso magistrato aggiunge: 'L'indagine va avanti, ma contro ignoti'.
Due nuovi indagati invece ci sono. Il primo avrebbe sistemato le ganasce della Fiat 126 poi trasformata dai boss di Brancaccio nell'autobomba che esplose in via D'Amelio uccidendo il giudice Paolo Borsellino e gli agenti di scorta. Il secondo avrebbe continuato ad accusare uno dei sette condannati per la strage (recentemente scarcerato) anche quando era evidente che le sue dichiarazioni erano false.

Il palermitano indagato dai magistrati nisseni è Maurizio Costa, 46 anni, residente nel quartiere palermitano dello Sperone. A citare il meccanico, che oggi è impiegato come Lavoratore socialmente utile presso il Comune di Palermo, è stato il pentito Gaspare Spatuzza. Nei mesi scorsi, Costa è stato interrogato e messo a confronto con Spatuzza, ma, ha continuato a negare di aver mai lavorato su quella automobile. Il procuratore Sergio Lari e i magistrati del pool lo hanno indagato per false dichiarazioni al pubblico ministero. In passato Costa era già stato coinvolto in inchieste di mafia.
Il suo nome emerge ora dagli atti che la Procura generale di Caltanissetta ha inviato alla Corte di Appello di Catania per supportare la richiesta di revisione del processo. 'Costa lo portammo in un garage che si trova in una traversa di Corso dei Mille, andando verso Villabate', ha raccontato il pentito Spatuzza. Il racconto è stato confermato anche da un altro favoreggiatore dei boss di Brancaccio, Agostino Trombetta, oggi pure lui collaboratore di giustizia. 'Diedi a Costa 100 mila lire, per comprare i pezzi di ricambio - spiega Trombetta - gli spiegai che dovevamo fare un lavoretto su una 126, per sistemare la frenatura'.

Per quanto riguarda il nisseno l'accusa mossa nei suoi confronti è calunnia aggravata. In passato è stato arrestato per mafia, poi divenne collaboratore di giustizia e poi ancora arrestato sempre per vicende di mafia. Le sue dichiarazioni al processo 'Borsellino bis' quando ancora era collaboratore, fecero scattare le condanne all'ergastolo per Gaetano Murana, ora scarcerato dopo la richiesta di revisione del processo da parte dei magistrati nisseni. Ultimamente è stato interrogato dai magistrati del pool di Sergio Lari ed ha continuato ad insistere 'quasi a non volersi arrendere - hanno scritto i magistrati - all'evidenza dei fatti e a non prendere coscienza della circostanza che la sua condotta aveva prodotto conseguenze gravissime'. Anche lui, come l'indagato palermitano, continua a svolgere 'tranquillamente' la sua attività che, nel suo caso, è quella di imprenditore.

Dall'indagine sono stati stralciati, invece, i cosiddetti 'esterni'. Questi ultimi erano stati, alcuni iscritti nel registro degli indagati altri anche se non erano iscritti, ugualmente sospettati. Tra questi Lorenzo Narracci, ex vice-capo del Sisde a Palermo, Rosario Piraino, l'agente dell'Aisi coinvolto nell'indagine nata dalle dichiarazioni di Massimo Ciancimino e ancora Bruno Contrada e il misterioso 'Carlo-Franco' più volte citato dal figlio di don Vito Ciancimino.
Sergio Lari ha affermato che l'indagine va avanti, 'a braccetto con i colleghi di Palermo che indagano su vicende che si intersecano'.
Il procuratore nisseno ha affermato che si tratta di un'indagine difficile e complessa. E in merito alla posizione di tre funzionari di polizia, Vincenzo Ricciardi, Salvatore La Barbera e Mario Bo (accusati di calunnia aggravata in concorso) ha aggiunto che 'non sono stati trovati sufficienti elementi di riscontro alle accuse mosse nei loro confronti da tre ex collaboratori' e ha concluso, riferendosi alla mancanza di prove, che 'qualche volta abbiamo avuto la sensazione che la scena del crimine fosse stata ripulita prima del nostro arrivo'.


Giuseppe Martorana (Il Giornale di Sicilia, 7 gennaio 2012)















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