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Pippo Giordano, un romantico patriota siciliano PDF Stampa E-mail
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Scritto da Silvia Amadori   
Mercoledì 11 Gennaio 2012 09:22
Con i piedi bagnati dall’acqua del mare un nonno accompagna la propria nipotina lungo il cammino della vita. Un uomo parla davanti alle telecamere di Telejato dell’importanza della cultura antimafia. Un siciliano si apre al mondo per aprire le coscienze. Ora dobbiamo essere noi ad aprirci al suo passato per comprendere la storia siciliana, fatta di bellezze e misfatti.

Pippo Giordano, ispettore della DIA in pensione, è tutti questi uomini, è il nonno, l’uomo ed il siciliano collaboratore. È la figura di combattente antimafia con baffi e divisa che tante volte abbiamo visto in foto riguardanti la Sicilia degli anni 80-90, anni nei quali Pippo ha collaborato con Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Ninnì Cassarà, persone di alto valore morale, coloro che prima di diventare eroi erano semplicemente uomini, noi civili abbiamo dunque oggi, il dovere morale di ricordare loro come semplici uomini dalla forte passione civile.

Nasce e cresce in Sicilia, terra di assolute bellezze architettoniche e naturalistiche ma anche terra di mafia, della mafia più antica e più sanguinosa degli ultimi decenni: Cosa Nostra.

Pippo Giordano ha concesso per Caffè News un’intervista, che assume un fondamentale valore umano e rappresentativo, umano perché dobbiamo sempre tenere a mente che anche gli specialisti dell’antimafia come Pippo sono in primis uomini, mentre rappresentativo perché la forza delle sue parole oggi coinvolge migliaia di giovani in un impegno comune contro la mafia:

Cosa significa per lei essere siciliano?

La sicilianità si ha nel sangue, ma per fortuna la maggior parte delle persone, la sicilianità, la palesa a fin di bene. Noi siciliani, siamo additati come la panacea di tutti i mali della nostra Isola, pochi in verità si domandano perché la mia terra, è stata abbandonata a se stessa. Cui prodest una Sicilia in balia alla mafia? Quindi, per me essere siciliano, vuol dire essere rispettoso delle persone e soprattutto non tradire mai la parola data, o un amico: insegnamenti appresi in totale silenzio dai miei genitori.

Com’è stata la sua infanzia in terra di mafia?

È stata caratterizzata dalla conoscenza diretta di quelli che, allora, erano i capi di Cosa nostra. Se devo sintetizzare, dico che sono cresciuto a pane e mafia. Infatti, spesso accompagnavo mio padre, che era solito recarsi, per lavoro, nei luoghi ove i mafiosi esercitavano la loro professione imprenditoriale. Una volta, ancor bambino, rimasi colpito dal fatto che mio padre nel salutare una persona, si tolse la coppola e chinandosi gli baciò la mano, dicendo: “Servo suo sono!”. Sgranai gli occhi, ma rimasi in silenzio.



Come definirebbe la sua scelta di entrare in polizia?

La scelta di entrare in Polizia, fu repentina e casuale. Io avevo il mio lavoro, ma un giorno un boato mi fece sobbalzare. Era la Giulietta che i mafiosi fecero esplodere a Ciaculli, ove persero la vita 7 appartenenti allo Stato, tra cui un mio amico carabiniere che stava per sposarsi. Innanzi a me si presentò un bivio: continuare a lavorare con la prospettiva di entrare in Cosa nostra o scegliere la giustizia. Scelsi, quest’ultima.

Ha avuto dei momenti in cui si è sentito sconfitto dalla mafia?

Tante volte, soprattutto quando lo Stato rimaneva sordo alle nostre richieste d’aiuto e nel frattempo i miei colleghi venivano assassinati da Cosa nostra. Ma, la sconfitta generava altra forza per continuare. Solo una volta decisi di non occuparmi più di mafia e fu dopo gli omicidi di Montana, Cassarà e Antiochia. Mi sentii perso, solo, avevo perduto dei cari amici e quando ancora la mia mente era sconvolta, giunse la morte di Natale Mondo, altro collega delle mia sezione. Un giorno, però Giovanni Falcone aveva bisogno, mi chiamò Gianni De Gennaro e così ricominciai.

Lei ha lavorato con grandi uomini qual è il ricordo che ha di loro e qual è stato il sentimento che ha provato dopo la morte di Montana, Cassarà, Falcone, Borsellino e dei suoi colleghi delle scorte?

La prima batosta l’ebbi con la morte di Lillo Zucchetto. Io ero il suo capo-pattuglia. Lillo morì per un fatale errore, talché i killers di Cosa nostra gli addebitarono una colpa che invece era tutta mia. Come ho detto prima, la morte di Montana, Di Cassarà, Antiochia e Natale Mondo, mi “tagliò” le gambe. Per meglio ricordare i miei amici, affermo che Lillo Zucchetto era un ragazzo che rappresentava il galantuomo siciliano. Beppe Montana, un uomo ancora ragazzo, pieno di brio e vivacità. Ninni Cassarà, un mio caro fratello. Roberto Antiochia, il ragazzo dalla faccia pulita. Infine; Natale Mondo, l’uomo dal dolce e mite sguardo. Mentre, Giovanni Falcone era l’espressione dell’umanità, manifestata dal quel comportamento tipico del siciliani di altri tempi. Cordiale, silente con quel sorriso sornione appena accennato. Durante i nostri interrogatori, poneva il mafioso in condizione da farlo sentire davvero una persona e non un criminale. Paolo Borsellino, aveva una personalità differente, era un uomo più sanguigno, più passionale. Comunque, entrambi rappresentarono il volto giusto della Giustizia.

Il sentimento che ho provato, immediatamente la morte di tutti loro, è difficile da spiegare. Purtroppo, ricordo esattamente il giorno e le circostanze in cui venni a conoscenza. E, come ho detto prima mi era estraniato a qualsiasi investigazione. Poi, invero, Giovanni Falcone insieme a Gianni De Gennaro mi fecero cambiare opinione e quando fu costituita la DIA, fui subito chiamato a farne parte.

Ha mai ricevuto minacce di morte? Se sì, gli ha mai dato peso?

Sì, in diverse occasioni. Un killer divenuto pentito, raccontò che una notte solo per una fortunosa circostanza, scampai alla morte. Comunque, preferirei non ricordare né questo episodio né gli altri.



La Sicilia non è solo Cosa Nostra, è terra di bellezze e cultura, eppure non si riesce a pensare alla Trinacria senza percepirne costantemente il volto offeso, ci dica cos’ha significato per lei la lotta a Cosa Nostra, e cosa oggi significa per lei la parola “mafia”.

La lotta alla mafia ha rappresentato per me un dovere di uomo ancorché di poliziotto. Non era nei mie progetti interessarmi di mafia, fu una singolare casualità a catapultarmi nell’antimafia. E se tornassi indietro farei esattamente le stesse cose . Purtroppo, il mio impegno contro Cosa nostra, avvenne nel periodo che la mafia mostrava il lato peggiore di se stessa. Conobbi da ragazzo una mafia diversa, meno aggressiva, meno violenta, rispetto a quella di Totò Riina. Oggi la parola mafia si può pronunciare liberamente, ma agli inizi degli anni 70/80 questo fenomeno era volutamente taciuto. Detto questo non voglio fare differenze tra la vecchia mafia e quella sanguinaria dei corleonesi: entrambe erano il coacervo d’interessi tra mafiosi e parti della politica e del mondo affaristico. Quindi non esiste una mafia buonista degli anni scorsi e una mafia crudele di oggi: le mafie sono, per definizione violente e subdole.

Senta, qual è stato il gesto e da chi lo ha ricevuto che considera come fondamentale per la sua formazione umana?

Dai miei genitori e da uno zio Totò. Mio zio a differenza di mio padre, fu prodigo di consigli e mi illuminò il mondo “riservato” dei mafiosi, soprattutto m’insegnò a stare muto. Racconto un episodio capitatomi da bambino. La più grande delle mie sorelle, mi accompagnava a scuola e una mattina avendo notato che una donna spesso entrava in una casa, che io ritenevo fosse disabitata, disse a mia sorella. Ma Perché entra in quella casa? Mi diede un sonoro ceffone e aggiunse: ” non sono fatti che ti riguardano”. Ebbene, soltanto 50anni dopo, nel ricordare la nostra infanzia, mia sorella mi disse che in quella casa c’era un latitante.

Come vede la lotta a Cosa Nostra oggi?

Una barzelletta o se vuole una sceneggiata. Ma come si può fare la lotta alla mafia, quando si fanno tagli al personale e di risorse finanziarie alle forze di Polizia, compreso la DIA. Poi, il continuo ricorso mediatico contro parte della magistratura che si occupa proprio di mafia, il continuo riferimento alle intercettazioni come male della democrazia: sono segnali che vanno nella direzione opposta e che di certo fanno gioire i mafiosi.

Crede nei giovani e nella cultura della legalità per sconfiggere la mafia?

Intanto, qualcuno mi spiegasse cosa significhi legalità, visto che sembra una parola sconosciuta. I ragazzi a dispetto di taluni soloni che affermano il contrario, sono consapevoli e responsabili sulla necessità di vivere in legalità. Io lo registro frequente nel corso delle “lezioni” di mafia che faccio nelle scuole o nei dibattiti pubblici. Se devo dire la verità, sono ottimista che le nuove generazioni condannano la mafia. Vedo un futuro, fatto da giovani che vivono nel rispetto della legalità. E a tal proposito, non mi stanco mai di dirlo, i giovani non sono il futuro ma sono il presente che cambierà questa società.



Ci dica il proverbio siciliano che, secondo lei, rappresenta meglio la Sicilia ed i suoi abitanti e ci spieghi perché, ci faccia sognare sulla meravigliosa terra sicula.

“Nenti saccio, nenti vitti e nenti sintiu” Era la frase ricorrente che veniva detta ai colleghi quando interrogavano qualche testimone di un omicidio. Io non raggiungevo mai il luogo dell’omicidio con l’auto civetta, così mi intrufolavo tra loro che facevano commenti. Voglio raccontarle un episodio. Un pomeriggio, mentre ero tra la folla, un agente della volante mentre interrogava una persona anziana, testimone dell’omicidio, si sentì dire.: ” stavo dormendo, niente ho visto” Appena il collega si allontanò, commentai l’omicidio dicendo che non c’era più rispetto ad ammazzare una persona anziana, come la vittima. Il vecchietto si guardò attorno e mi disse: “Chiddru fu” facendo il segno con la testa indicò un luogo, continuò dicendo “…..arrivò cu vespino scinniu, pigghiò un revolver e ni taliò e disse a noi tutti: e cu chistu sunnu 56! E sparò al mio amico”. Non disse il nome ma io capii chi era: uno dei più pericolosi killers di Cosa nostra, Scarpuzzedda.

Se oggi dovesse descriversi con una parola, quale userebbe?

Un romantico patriota siciliano che crede nell’amicizia e nella Costituzione.

Ecco chi è dunque Pippo Giordano: “un romantico patriota”. E da anime romantiche, come siamo un po’ tutti, da amanti della legalità, mossi dalla passione civile non possiamo, come staff di Caffè News, che condividere i sentimenti espressi da un uomo che non si limita oggi a parlare di Cosa Nostra, ma che ha combattuto il fenomeno mafioso, spesso ritrovandosi ad un passo dal “soldato” nascosto nella notte.


da:  www.caffenews.it

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