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FUMUS DISTRATIONIS, la verità della Giunta su Cosentino PDF Stampa E-mail
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Scritto da Claudio Messora - Biagio Simonetta   
Domenica 15 Gennaio 2012 10:06

Nicola Cosentino Marilena Samperi Clan dei Casalesi Giunta per le Autorizzazioni Claudio Messora Byoblu Byoblu.Com

Nicola Cosentino non va in galera. Sui quotidiani di oggi troverete i resoconti approfonditi delle strette di mano, dei batti-un-cinque, dei baci e degli abbracci del Parlamento all'onorevole di Casal di Principe. Nient'altro. Se per caso voleste cercare di capire di cosa non hanno discusso ieri alla Camera, nessuno si premunirà di raccontarvelo.  

 I fatti non sussistono, nel senso che è come se non esistessero proprio. Chi dice che c'è il fumus persecutionis, chi dice che è una vergogna: nessuno entra nel merito. Ma è proprio il merito che dovrebbe interessare ai cittadini. E' il merito che consente all'opinione pubblica di prendere una posizione, non certo il vergognoso clima da stadio con il quale un Parlamento ridotto a clacque da avanspettacolo ha accolto  l'esito del voto in aula, certificando una presa di posizione assunta sulla base degli interessi dei partiti, non su quelli degli italiani. Perché delle due l'una: o Cosentino doveva essere arrestato, e in quel caso non ci sarebbe stato nulla da festeggiare, o Cosentino non doveva essere arrestato, e questo significa che la magistratura, in un numero consistente di giudici e di organismi come il Tribunale del Riesame, è viziata dal fumo della persecuzione, e ci sarebbe stato da festeggiare ancor meno. La riprovevole esibizione di corporativismo cui abbiamo assistito, identica alle esultazioni per una vittoria sportiva, non è altro invece che un'autocertificazione di appartenenza alla casta. E' come se i parlamentari avessero detto agli italiani: "Signori, noi proteggiamo noi stessi, le nostre alleanze politiche, la nostra stessa esistenza come organismo autonomo e indipendente dai cittadini, dai loro interessi ad avere un Parlamento privo di ombre e dubbi. Di voi, insomma, non ci interessa un bel niente".

 Se il voto fosse stato espressione dei contenuti dell'accusa, i toni sarebbero stati alquanto diversi. A cosa serve una Giunta per le Autorizzazioni che valuta le richieste della magistratura, se poi le sue conclusioni vengono ignorate per questioni di mera convenienza politica? Marilena Samperi, la relatrice della Giunta in aula, è stata molto chiara: "gli indizi di colpevolezza nei confronti dell’onorevole Cosentino sono gravi e riscontrati". Come è possibile dunque ignorare sia gli indizi che le conclusioni, allo scopo di perseguire l'obiettivo per nulla attinente di sconfiggere l'ala dei maroniani e rinsaldare un fronte di alleanze utile in vista di possibili elezioni a Giugno? Quale distanza immensa si è frapposta tra gli elettori e le mitologiche arche del potere che, grazie al patto di rappresentanza stretto con i primi, veleggiano come il vascello fantasma dell'Olandese Volante, lassù tra le nuvole, ormai prive di qualunque ancora terrena?
 Forse per questo i giornali si concentrano sui risultati del voto e sul trenino dei festeggiamenti, tralasciando di spiegarvi su cosa la Camera ha davvero votato ieri. Se l'opinione pubblica si concentrasse sulla relazione della Giunta, anziché sui tristi giochi di palazzo, forse l'indignazione troverebbe finalmente un varco per montare.

 Allora, in questo irrespirabile fumus che non è persecutionis, ma distrationis (dal latino maccheronico), la relazione Samperi l'ho cercata io. Si trova a pagina 32 del corposo PDF contenente gli atti della seduta n.569, quella di ieri. Leggetelo e fatelo leggere: parla da solo. 

LA RELAZIONE SAMPERI

Perché la Giunta per le autorizzazioni pensa che Cosentino debba essere arrestato?

Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la brevità del tempo a mia disposizione a fronte di un’ordinanza cautelare molto complessa mi impone di darla per letta e adesso la riassumerò brevemente.

 L’inchiesta napoletana si inserisce in un quadro socioeconomico e politico assai degradato dove impera la camorra, quadro peraltro ben noto al Parlamento per essere stato rappresentato nel documento conclusivo della Commissione di inchiesta sulla mafia votato all’unanimità nel 2008. Il contesto è quello delle relazioni tra il ceto politico operante nel comune di Casal di Principe e l’organizzazione camorristica dei casalesi, un’osmosi – come si afferma nell’ordinanza – che genera effetti patologici nei settori più rilevanti della vita sociale e politica di quel territorio: quello elettorale, quello economico, e quello istituzionale.

 Intorno a questo intreccio si muovono enormi interessi economici che si saldano con quelli dei politici nel momento elettorale. I principali protagonisti dell’inchiesta in esame, secondo l’autorità giudiziaria, sono l’allora sindaco di Casal di Principe, Cipriano Cristiano, i fratelli Corvino, Nicola Di Caterino, prima funzionario dell’ufficio tecnico di quello stesso comune e successivamente promotore della realizzazione della costruzione del centro commerciale Il Principe.

 Il Corvino insieme a Cipriano Cristiano e a Di Caterino, tutti imparentati tra di loro e tutti inseriti nel tessuto amministrativo di Casal di Principe, intendono costruire un centro commerciale, ma il terreno non ha i requisiti richiesti per l’edificabilità e occorre un ingente finanziamento. L’iniziativa è volta in effetti a favorire il clan dei Casalesi e segnatamente le famiglie Schiavone e Russo. La mafiosità dell’iniziativa economica è certificata da un imponente quadro probatorio. La realizzazione del centro e i reati commessi per realizzarlo risultano essere finalizzati ad agevolare gli interessi del clan camorristico cui in definitiva, al di là del paravento della società a responsabilità limitata la Vian, il centro stesso era riferibile.

 L’attività di indagine compiuta ha permesso di ricostruire le molteplici condotte illecite concernenti il rilascio del provvedimento di autorizzazione compiute nel corso della lunga e articolata procedura amministrativa che nel 2007 ha portato al rilascio del permesso per costruire: un permesso palesemente irregolare non solo perché si attesta falsamente che la Vian è già proprietaria del terreno ma anche perché adottato in difformità da quanto previsto nel piano regolatore generale. L’altro grosso ostacolo alla realizzazione dell’investimento consiste nella necessità per la Vian di ottenere un finanziamento legale. Si tratta di un affidamento fortemente a rischio perché richiesto in violazione di tutte le prescrizioni imposte dalla Banca d’Italia al fine di evitare infiltrazioni mafiose. Il ricorso al finanziamento ponte bancario è però indispensabile per dare all’operazione un’apparenza lecita. Ma la concessione del finanziamento bancario è quasi impossibile per l’impresa richiedente proprio perché avrebbe dovuto offrire solide garanzie, la dimostrazione di un consistente movimento di affari, una struttura produttiva funzionante. Al contrario la Vian aveva un capitale sociale di diecimila euro, nessun giro di affari, una fideiussione palesemente falsa a fronte di un investimento complessivo di 40 milioni di euro.

 Ciò che viene contestato all’onorevole Cosentino sono proprio due interventi che si rileveranno determinanti per l’avvio del progetto di costruzione del centro commerciale Il Principe e che faranno superare resistenze altrimenti insuperabili. Uno riguarda il rilascio dell’autorizzazione amministrativa, l’altro il finanziamento bancario da parte di Unicredit per 5,5 milioni di euro. Mario Cacciapuoti, dirigente dell’UTC di Casal di Principe che avrebbe dovuto rilasciare il permesso a costruire, era interessato ad ottenere un appoggio politico per garantirsi il rinnovo dell’incarico al momento della scadenza. L’ordinanza del GIP, confermata dal tribunale del riesame sulla scorta di dichiarazioni, intercettazioni telefoniche e ambientali, considera provato l’avvenuto scambio corruttivo tra Mario Cacciapuoti e gli altri indagati avente ad oggetto lo scambio tra la riconferma al posto di dirigente dell’UTC dello stesso Cacciapuoti e gli illegittimi atti amministrativi relativi al costruendo centro commerciale.

 Cipriano Cristiano pone all’onorevole Cosentino la nomina del Cacciapuoti come condizione essenziale. E Cacciapuoti, nel luglio 2006, viene rassicurato dallo stesso Cipriano, dopo un incontro con l’onorevole Cosentino, che tutto è a posto. Effettivamente Mario Cacciapuoti sarà nominato dirigente dell’UTC. Trovano così riscontro le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Raffaele Piccolo, Francesco Della Corte, Vargas, che individuano nell’onorevole Cosentino il referente politico di questa iniziativa.

 Il secondo intervento contestato all’onorevole Cosentino è quello intervenuto sull’Unicredit per favorire l’erogazione del finanziamento in favore della Vian. Tale affidamento, basato su una fideiussione apparentemente concessa dal Monte dei Paschi di Siena e invece acquistata dal mediatore Flavio Pelliccioni in cambio di rilevanti somme di denaro e assegni postdatati, era, come si dice negli atti, palesemente falso, come risulta poi dai documenti sequestrati presso Unicredit. Il 14 febbraio 2007, una settimana dopo l’incontro tra l’onorevole Cosentino e i funzionari della filiale di Unicredit, Di Caterino ottiene il finanziamento. I riscontri sono costituiti da relazioni della polizia giudiziaria, dichiarazioni di collaboratori di giustizia, accertamenti bancari, intercettazioni e documenti sequestrati.

 Il GIP prima ed il giudice collegiale successivamente concordano nel ritenere che l’erogazione del finanziamento ha ricevuto l’avallo dell’onorevole Cosentino, che ha accettato di recarsi personalmente nell’oscura filiale romana dell’Unicredit per fornire garanzie politiche che fossero più affidabili di quelle economico-finanziarie, assolutamente inesistenti.

 Sul fumus: dai fatti narrati emerge che gli indizi di colpevolezza nei confronti dell’onorevole Cosentino sono gravi e riscontrati, ma se ciò non bastasse, la pronunzia del tribunale del riesame avverso il ricorso proposto dall’onorevole Cosentino costituisce la pietra tombale su ogni e qualsiasi ipotesi di fumus persecutionis, giacché viene chiarito come la magistratura napoletana, ora nelle vesti del giudice per le indagini preliminari, ora nella veste del tribunale collegiale, esamina esclusivamente elementi oggettivi raccolti dagli inquirenti e non mostra alcuna animosità soggettiva nei confronti del collega Cosentino.

 Concludo, signor Presidente: si deve quindi escludere che l’onorevole Cosentino possa essere considerato un perseguitato politico ed è per questo che la Giunta, nella sua maggioranza, chiede all’Aula di poter autorizzare la richiesta fatta dai giudici.


da: Byoblu.com


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Nick ‘o Americano’ è difensore di interessi, depositario di segreti, collante di intrecci, che ne hanno fatto per anni l’uomo politico più potente di Forza Italia e del Pdl in Campania

Se vuoi fare politica devi essere ricattabile. Lo disse Giuliano Ferrara su Micromega. Aggiungendo che bisogna far parte di “un sistema che ti accetta perché sei disponibile a fare fronte, a essere compartecipe di un meccanismo comunitario e associativo, attraverso cui si selezionano le classi dirigenti”. Parole che sembrano la voce narrante delle immagini di Montecitorio pochi secondi dopo la bocciatura della richiesta di arresto di Nicola Cosentino. Baci, abbracci e sorrisi festanti, la rappresentazione plastica della Casta che fa quadrato per salvare uno dei più discussi e discutibili tra i suoi rappresentanti. Perché? Perché Nick ‘o Americano’ è titolare di amicizie, difensore di interessi, depositario di segreti, collante di intrecci, che ne hanno fatto per anni l’uomo politico più potente di Forza Italia e del Pdl in Campania. Territorio che devi obbligatoriamente espugnare se vuoi vincere le elezioni e mettere in piedi un governo. Come ben ricorda Prodi nel 2006, come ben sa Berlusconi che trionfò due anni dopo. Perché il casalese (in senso geografico, per carità) è un ingranaggio ben lubrificato di un sistema in cui nessuno può scagliare la prima pietra. Altrimenti gli ritornerebbe dietro un macigno.

Il voto che ha respinto l’ordinanza di arresto di Cosentino è segreto. Ma difficilmente faremmo un torto alla verità se ipotizziamo che tra i 309 deputati che lo hanno salvato dal carcere ci sia anche Maria Elena Stasi, l’ex prefetto di Caserta che con una procedura corretta, ma molto rara, riaprì la pratica ‘Aversana Petroli’, l’azienda core business della ricchissima famiglia Cosentino. Azienda che grazie all’intervento della Stasi ottenne lo sblocco del rilascio di una certificazione antimafia fino a quel momento negata per il rischio di infiltrazioni camorristiche. In un verbale allegato agli atti del Riesame dell’inchiesta sui rapporti tra Cosentino e i colletti bianchi vicini ai clan, pubblicato su ilfattoquotidiano.it, l’ex consigliere regionale Udeur Nicola Ferraro, imprenditore del settore dei rifiuti finito sotto processo per fatti di camorra, ha rivelato di essere stato contattato da due intermediari politici di Cosentino, un parlamentare e un consigliere regionale del casertano, ai tempi delle elezioni provinciali del 2005 (in cui Cosentino era candidato presidente del centrodestra).

I due sodali di Cosentino gli fecero una proposta: se Ferraro si fosse disimpegnato dalla tornata elettorale, dove era schierato col centrosinistra, sarebbero intervenuti presso il ministro dell’Interno Pisanu e il prefetto Stasi per risolvergli i problemi con la certificazione antimafia. Ferraro accenna ai buoni rapporti tra la Stasi e il pidiellino Luigi Cesaro, uno dei fedelissimi di Cosentino, anch’egli sotto inchiesta per fatti di camorra, deputato, presidente della Provincia di Napoli e ras di Sant’Antimo, paesone di cui l’ex prefetto di Caserta fu commissario straordinario. Dichiarazioni che da sole non dimostrano alcunché in assenza di riscontri. Ma è un dato che fu Cosentino, da coordinatore regionale del Pdl, a inserire il nome della Stasi nelle liste azzurre per le politiche del 2008. A rileggere l’organigramma della dirigenza Pdl campana di quegli anni vengono i brividi. Il coordinatore, Cosentino, era affiancato da due vice di sua fiducia: Marco Milanese e Alberico Gambino. In tre, dal 2009 al 2011, hanno collezionato quattro ordinanze di arresto, anche se in carcere ci è finito solo Gambino, è soltanto consigliere regionale, quindi intercettabile e catturabile.

L’onorevole Milanese, il finanziere amante del lusso e delle belle auto, consigliere giuridico e braccio destro di Tremonti, è stato a lungo legato a doppio filo a Cosentino. Un sodalizio che ha fatto di Milanese lo sponsor presso Tremonti della nomina di Cosentino a sottosegretario all’Economia con delega al Cipe, erogatore dei rubinetti di finanziamenti da decine di milione di euro, poltrona più pesante di un ministero senza portafoglio. Cosentino ricambierà il favore qualche mese dopo, nominando Milanese, originario di Cervinara, coordinatore del Pdl di Avellino. Mentre Gambino veniva investito del ruolo di coordinatore del Pdl di Salerno. Sindaco di Pagani votato con percentuali spaventose (76% al primo turno), collezionista di inchieste giudiziarie (quella per peculato per cene e soggiorni per un totale di oltre 20mila euro pagati con la carta di credito del Comune gli è costata una condanna in primo e secondo grado e la sospensione da sindaco), Gambino è il braccio destro di Edmondo Cirielli, ufficiale dei Carabinieri, deputato e potentissimo presidente della Provincia di Salerno, che lo ha voluto assessore provinciale e poi consulente per il Turismo.

Nella torrida estate del 2011, mentre Milanese rischiava l’arresto per corruzione, rivelazione del segreto d’ufficio e associazione per delinquere, e le inchieste rivelavano i suoi contatti coi faccendieri della P3 (la Camera ha salvato anche lui), Gambino veniva sbattuto in galera a Fuorni (Salerno), con l’accusa di essere il capo di un cartello criminale che per anni avrebbe terrorizzato la politica locale a Pagani, grazie al contributo di un clan camorristico che in cambio di favori gli garantiva sostegno elettorale e minacciava i mass media non allineati con il verbo del sindaco-consigliere regionale.

Se è vero che per fare politica bisogna essere ricattabili e compartecipi di un sistema di ricatti incrociati, vanno rilette con attenzione certe amicizie e frequentazioni di Cosentino. A cominciare da quella di Arcangelo Martino, ex assessore socialista del Comune di Napoli. I nomi di Cosentino e Martino, i contatti telefonici tra i due, ricorrono nell’inchiesta di Roma sulle trame della P3 e sulla fabbricazione del dossier che avrebbe dovuto infangare Stefano Caldoro attribuendogli fantomatiche frequentazioni transessuali in un albergo di Agnano (Napoli), per spianare la strada alla candidatura a Governatore della Campania di Nick ‘o Americano, compromessa dall’avanzare delle inchieste per camorra e dall’ordinanza di arresto nei suoi confronti firmata dal Gip Raffaele Piccirillo. E chi è Martino? E’ colui che in un’intervista al Corriere della Sera che aveva il sapore di un avvertimento rivelò di essere stato il tramite della conoscenza tra Berlusconi ed Elio Letizia, un oscuro messo comunale, all’epoca suo autista. Elio Letizia è il papà di Noemi, e tutti sanno che la vita di Berlusconi è scandita dal ‘prima’ e dal ‘dopo’ la sua partecipazione alla festa dei 18 anni di questa aspirante show girl e modella di intimo di Portici. Le foto del Cavaliere al party di Casoria sono state la causa del divorzio con Veronica Lario. Già, a Casoria, paese confinante con Sant’Antimo, nel cuore del potere elettorale di Giggino Cesaro.

Nella politica che si nutre di ricatti, c’è un altro amico di Cosentino che ruota intorno al dossier che avrebbe dovuto sputtanare Caldoro, volto pulito del Pdl campano, oggi presidente della Regione Campania in barba a Cosentino e ai cosentiniani. Si chiama Ernesto Sica ed è dentro mani e piedi in una tranche dell’inchiesta rimasta a Napoli. Inchiesta che vede Sica e Cosentino accusati di concorso in estorsione e minacce a un corpo dello Stato, ovvero a Berlusconi nella sua veste di premier dell’epoca. Sica, sindaco di Pontecagnano (Salerno) e per un paio di mesi, dal maggio al luglio 2010, assessore regionale all’Avvocatura nella giunta Caldoro, fu il diligente fabbricatore materiale di quel dossier farlocco che apparve per poche ore su un sito Internet. Poteva essere utile a Cosentino, ma anche allo stesso Sica, che a un certo punto si era illuso di poter essere lui il candidato presidente. Entrato in contatto con Berlusconi grazie a una comune amicizia nel bel mondo dorato dei villoni della Costa Smeralda, Sica avrebbe mediato per la compravendita di alcuni senatori che fecero cadere Prodi. Berlusconi per questa vicenda è finito sotto inchiesta e archiviato, ma secondo i pm napoletani Sica avrebbe venduto il suo ‘silenzio’, minacciando altrimenti di far riaprire il capitolo, in cambio di un assessorato regionale, ottenuto grazie a Berlusconi e alle imbasciate di Cosentino. Dal quale dovette dimettersi nel 2010, con l’esplodere dello scandalo, altrimenti Caldoro lo avrebbe cacciato.

Amicizie. Soffiate. Dossier. Conoscenza e manovrabilità di storie e vicende che sfiorano Berlusconi e le sue amicizie, politiche e femminili. Forse è anche per questo che il silenzio di Cosentino è d’oro. E val bene la ‘congiura dell’omertà’ – così l’ha chiamata Roberto Saviano – che lo ha salvato dalla galera.

Vincenzo Iurillo
da: IlFattoQuotidiano.it
 

Lettera a Don Peppe Diana

di Biagio Simonetta - 14 Gennaio 2012

A nome degli italiani ti chiedo scusa per il no all'arresto del tuo concittadino Nicola Cosentino


 
  20070531055835don_peppe.jpg Caro Don Peppe Diana,
ho riflettuto molto prima di scriverti questa lettera. Mi sono chiesto, quasi tormentandomi, quanti interpreterebbero questo scritto una cosa ridicola. Scrivere a te, un morto. Mi sono chiesto che senso può essere dato a queste poche righe, in questi giorni di freddo e angosce.
Eppure la necessita di parlarti ha fugato ogni dubbio, anche se ha il sapore dell'illusione.
Sono orgoglioso di essere un meridionale. Un meridionale come te, don Peppe. Ed è bellissimo affermarlo oggi, in quest'Italia divisa e confusa. E poco importa il luogo fisico che ci circonda: io sono orgogliosamente del Sud a Milano come a Cosenza, a Napoli come a Madrid, Helsinki, New York, Pyongyang.

Nel 1994, quando la Camorra ti ha ammazzato, avevo 14 anni. E i giornali che giravano nella mia scuola non diedero neppure la notizia. La tua storia l'ho appresa più in là, durante gli anni dell'Università, grazie a un amico che trovò traccia della tua morte mentre lavorava alla sua tesi sulle vittime di mafia. E quando nell'estate del 2008 mi invitarono a parlare di 'ndrangheta nella tua città, Casal di Principe, in occasione dell'iniziativa "Le terre di Don Peppe Diana" ebbi come un moto di orgoglio, quasi infantile. Ma era bellissimo poter prendere parte a qualcosa che ti ricordasse. Quel giorno mi sentii fiero di me, di là da meriti materiali.
Oggi, invece, caro don Peppe, ti scrivo perché quella fierezza l'ho persa. Ti scrivo perché in Italia continuiamo ad ucciderti ogni giorno, in ogni gesto. Ti scrivo perché sono convinto che negare l'arresto di un politico accusato di Camorra vuol dire uccidere, un'altra volta, ogni persona caduta per mano mafiosa.

Forse starai pensando che la faccenda di Nicola Cosentino, di Nick o' Mericano, come lo chiamano dalle tue parti, è solo l'ennesimo schiaffo alla storia, alla lotta civile, all'impegno, alla memoria. E credo che hai ragione. E' solo l'ennesimo schiaffo. Io non ho dimenticato la campagna mediatica spinta dai clan dopo la tua morte: "Don Peppe Diana era un camorrista", titolavano i giornali. Storie inventate, pagate dai boss sui giornali locali, che poi sono quelli che restano, quelli che trovi dal barbiere, dal meccanico, al bar.
Al Sud denigrare chi combatte il sistema mafioso è prassi. Lo fanno le organizzazioni criminali, per sporcarti. Perché, soprattutto nei paesi, vale la logica del "tutti sporchi, nessuno sporco". Ma lo fanno anche le persone comuni, quelle che hanno deciso di non prendere parte. E' una reazione infida, quasi bastarda. Ti schiaccia le tempie, ne senti il disgusto ad ogni goccia di saliva che ingoi. Poi ti accorgi che è dovuta a precariato, speranza di ottenere un posto di lavoro chissà quando, negazione come privazione dei propri sogni.
Così chi scrive libri contro i clan è un affarista, chi fa inchieste ha qualche interesse da portare avanti, chi si danna sul territorio è solo in cerca di visibilità. E' un vanitoso, un mistificatore.

Chissà cosa hai fatto, lassù, caro don Peppe, quando i parlamentari italiani hanno deciso che la legge è uguale per tutti ma non per il tuo concittadino Nick o' Mericano. Magari avrai brindato all'idiozia umana, o avrai stretto le spalle. Oppure sarai andato nel tuo cassetto a riprendere la lettera che scrissi anni fa: "Per amore del mio popolo non tacerò".
Sai cosa dice di te Nicola Cosentino? Che eri un suo sostenitore politico. Non preoccuparti, non ci ha creduto nessuno.
Ma anche per questo, caro don Peppe, da italiano ti chiedo scusa.
 

da: CadoInPiedi.it

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