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Roghi in cantiere, pizzo nei negozi i clan all´assalto dell´economia PDF Stampa E-mail
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Scritto da Davide Carlucci   
Domenica 13 Luglio 2008 12:54

Troppe auto che bruciano, capannoni in fiamme, lettere con proiettili e minacce di morte. Troppo anche per una regione come la Lombardia che da tempo è considerata, sì, "infiltrata" dalla criminalità organizzata ma tutto sommato sana, a parte sporadici episodi. Invece interi settori economici, intere aree geografiche sono in mano ai padrini.

Di Buccinasco, la città-simbolo dell´infiltrazione malavitosa, ne esistono almeno venti, in Lombardia, dicono in procura. Venti comuni, sparsi tra le province di Milano, di Varese, di Como, di Bergamo, nei quali la penetrazione della ‘ndrangheta nei cantieri assume gli stessi connotati inquietanti del «controllo del territorio» che ha assunto nel paese alle porte di Milano. Ma anche all´ombra della Madonnina le famiglie calabresi prosperano e taglieggiano. Dominano nella movimentazione terre e nell´edilizia, soprattutto. E strozzano i proprietari dei ristoranti e i gioiellieri, titolari di supermarket e tipografi.
[intrusi e confini]
Leggere gli atti di alcune recenti inchieste della Direzione distrettuale antimafia per credere. Prima tra tutte, quella che ha portato in carcere, giovedì, le nuove leve del clan Papalia-Barbaro. Molti passaggi della richiesta di misura cautelare del pm Alessandra Dolci, chiariscono bene che cosa succeda agli imprenditori del movimento terra che osano sconfinare oltre le loro «zone di competenza». Il titolare di una ditta, calabrese ma attivo a Buccinasco, prova per esempio ad affacciarsi a Pero e a Rho: ed ecco che va a fuoco un «dieci», come si chiamano in gergo le pale meccaniche. Chiaro «avvertimento mafioso», è l´interpretazione della procura, il segno che nel regno della nuova fiera, nell´area che ospiterà Expo 2015, c´è un´altra famiglia che non vuole intrusi. Le stesse vittime dell´attentato riferiscono di aver parlato con gli uomini di un importante latitante calabrese. Che ha fatto sapere: «Qui a Rho dobbiamo lavorare noi».

[gli incendi]
Così come Maurizio Luraghi, l´imprenditore milanese che si è associato ai Barbaro, prestando loro il suo volto rassicurante e la sua fedina penale pulita (da qualche giorno un po´ meno): la notte dell´11 dicembre del 2005 la sua escavatrice, in via Achille Papa, va in fiamme. La mattina dopo, la prima cosa che fa è avvisare Domenico Barbaro: «Mi hanno fatto un bel regalino», si duole. Il boss si attiva per capire, ma è evidente, è opera della «concorrenza» e c´è poco da baccagliare. Sempre a Milano, un cantiere, in via Parea, viene tormentato da furti di materiale. «Tutto questo - specifica alla Finanza il responsabile acquisti di un´azienda - è successo in un periodo in cui Barbaro non era in cantiere». Arriva lui e tutto torna tranquillo. «È stupefacente che da un mese non succeda nulla», si sorprende un altro colletto bianco. A introdurre a Milano Barbaro è Domenico Coraglia, ricordo della Duomo connection, da cui è uscito assolto. È lui che spalanca le porte degli studi che contano ai calabresi di Buccinasco.

[discariche e bazooka]
Le cosche si spartiscono il territorio. Per sporcarlo. «Perché uno non ci pensa - dice Luraghi in un´intercettazione - ma se pensi che qua, così, abbiamo scaricato tanta di quella merda che avremmo dovuto pagare tanti di quei soldi in cava, a scaricare tutta questa roba qui. Uno magari ci pensa che anche quei quattro soldi che prendiamo, sono tutti soldi guadagnati...». È il «doppio guadagno» di cui parla il pm Dolci: i padroncini trasportavano il materiale e poi lo rivendevano per i riempimenti. E nel far questo, «spargevano dove capitava il materiale inquinante». La conferma arriva anche da un funzionario del comune di Buccinasco: «Era risaputo che tutte le movimentazioni terra dovevano passare da Barbaro, e i Barbaro scaricavano il materiale pericoloso in un terreno prima del ponte della tangenziale sulla sinistra». In quella stessa area, un giorno, spuntano due bazooka di fabbricazione jugoslava. Erano nascosti lì, proprio in cantiere. Barbaro spadroneggiava ma aveva qualche problema con il nuovo sindaco, il ds Maurizio Carbonera. «Quello lì, quello lì... ha una vocazione a diventare eroe - dice in un´intercettazione - Però lui non ha ancora capito che per diventare eroe (...) deve morire». Il primo cittadino non muore ma per tre volte la sua auto va in fiamme. Lui denuncia, sfida le cosche, utilizza i beni confiscati, decide di trasformare un covo di malavitosi in una «pizzeria sociale». Ma alla fine, anche la sua giunta è costretta a far lavorare i Barbaro che si occupano, per esempio, del completamento di una barriera antirumore e riempiono 145mila metri cubi di terra in via Guido Rossa. «I lavori in via Resistenza - racconta una funzionaria comunale - tutti sanno che li hanno realizzati i Barbaro. Ma nessuno parla o prende provvedimenti».
[l´uomo di lo piccolo]
In un´altra inchiesta, quella della Dda sulle maxi estorsioni compiute a Milano e nel Bergamasco da Pepè Onorato, altro boss della ‘ndrangheta, spunta il nome di Luigi Bonanno. È considerato il luogotenente dei Lo Piccolo in Lombardia. Uomo di mafia, legato alle cosche dei Fidanzati e dei Ciulla, Bonanno è incaricato dal re di Cosa nostra di uccidere Giovanni Nicchi. Nell´indagine del pm Celestina Gravina, è concorrente e alleato al tempo stesso di Onorato. Sarebbe lui l´uomo che manda a chiedere un «obolo» da un milione e mezzo di euro a un industriale della Bergamasca, Giancarlo Ongis. Il tramite sono due imprenditori, uno è un fornitore di metalli, l´altro un costruttore che opera tra Zingonia e Sesto San Giovanni e ha grossi cantieri anche a Milano e Lainate. Saranno loro a contattare Ongis, proprietario della holding Metal group, con sedi anche a Terni, in Cina, negli Usa e in Sudamerica. I due intermediari fanno arrivare l´ambasciata di Bonanno: Ongis «deve pagare». E per convincerlo parlano degli incendi e delle minacce che essi stessi hanno subito. Ongis se lo sentiva: qualche mese prima, in una delle sedi del gruppo, a Pontirolo, s´erano presentati in quattro. Erano arrivati fin sotto le telecamere che vigilano sul deposito e le avevano anche toccate. Poi avevano girato i tacchi, senza tentare di forzare gli ingressi. Un avvertimento.

[i killer]
Specialità dei calabresi: inserirsi in complicate vicende di recupero crediti, trasformandole in estorsioni. Per sanare un debito di 350mila euro, al proprietario di un´azienda agricola viene consigliato di rivolgersi a un uomo che «tutti chiamano zio» e trascorre le sue giornate in un bar di via Porpora, a Milano. È lì che dopo minacce e preoccupanti riferimenti ai figli del titolare, si arriva a una transazione, ratificata poi in uno studio notarile. Ma il ritardo nella soluzione della controversia indispone gli uomini del clan che convocano dei killer dalla Calabria: a Milano alloggiano in un hotel a cinque stelle e al primo cenno sono pronti a ucciderlo. Ma alla fine si decide che è meglio di no.

[dall´hinterland a via verdi]
Anche per aprire un ristorante a Mediglia bisogna «pagare un pizzo a un capomafia della zona, calabrese, che si mangiava i bambini», raccontano gli imprenditori. Il capomafia è sempre lui, il misterioso «zio». Che per farsi capire meglio fa bruciare il ristorante, prima ancora dell´inaugurazione e fa arrivare al padrone telefonate notturne di minacce, per lui e per i figli, sul fisso e sul cellulare. Alla fine il pizzo viene pagato ma con lo sconto: 125mila euro (in tre tranches) anziché 200mila. È ripartita tra Milano e Reggio Calabria, invece, la tangente da 130mila che Pietro Rosselli è costretto a versare in qualità di «socio occulto» nella catena di supermercati che utilizzano il franchising Standa. Il racket non risparmia neppure un´azienda grafica che produceva magliette della Juve, del Milan e dell´Inter, la Forte srl, a fuoco nel gennaio del 2005. Brucia anche il capannone di una tipografia a Gessate. Ma un gioielliere di via Verdi, a Milano, non ci sta: a dicembre del 2006 gli chiedono un regalo natalizio da ventimila euro. Lui, però, avvisa la polizia.

Davide Carlucci

Fonte: Repubblica-Ed.Milano, 13 luglio 2008
 

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