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Del Turco-Rassegna stampa d'archivio PDF Stampa E-mail
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Scritto da Enzo Guidotto   
Martedì 15 Luglio 2008 12:14
 

ANTIMAFIA, MANCUSO ALL'ATTACCO

Repubblica — 08 febbraio 1997   pagina 9

ROMA - Il senatore Filippo Mancuso, Forza Italia, ex guardasigilli, il botto se l' era preparato con la consueta meticolosità. Da vicepresidente dell' Antimafia, ieri in commissione ha chiamato i pentiti "criminali e delatori prezzolati".

In sostanza, chiedendo di abolirli. Ha pure accusato giudici e avvocati di pentiti di varie illegalità nella loro gestione. Poi ha aspettato, compiaciuto e sornione. E gli effetti del botto non sono tardati. L' altro vicepresidente dell' Antimafia, il rifondatore Nicky Vendola, ha chiesto all' istante le sue dimissioni per quell' intervento "gravemente irresponsabile". Come show mica male, per una Bicamerale non meno strategica dell' altra, oggi più nota. L' Antimafia, ai primi passi, rasenta il collasso. E Pietro Folena, braccio di D' Alema a San Macuto e non solo, ieri non nascondeva una certa angoscia: "Io mi auguro che il Polo non vada dietro a Mancuso, ma...". Ma il Polo, Forza Italia ma anche An, invece lo ha fatto.
Spiazzando le aspettative della Sinistra. Folena, inquieto più che mai: "Anche Misserville di Alleanza Nazionale, proprio uno che aveva giurato di sostenerci, ha sparato come, e più, di Mancuso. E con lui, altri. La maggioranza del centro destra". Si capisce che Folena teme una manovra per smontare la Commissione. E come si fa a dimenticare che all' orizzonte c' è un pronunciamento del Gip su Dell' Utri, accusato per concorso in associazione mafiosa? "Il calendario dell' Antimafia non deve dipendere da certe udienze preliminari...", si stizzisce Folena. "Se il Polo vuole politicizzare la Commissione, faccia. Ma noi andremo dritti come treni sulla linea che ci siamo dati: una linea concreta, non ideologica. Siamo pronti a rivedere la legge sui pentiti, ma non a buttarla via". Ieri era in calendario l' audizione di Antonio Manganelli, responsabile del Servizio di protezione. E' a lui che Mancuso ha rivolto i suoi polemici quesiti.
Manganelli ha risposto chiarendo che "è arrivato il tempo delle regole" nella gestione dei collaboratori. "E chi non le rispetta lo buttiamo fuori". Esempio: nel '96 ci sono state 313 irregolarità di comportamento riscontrate. E venerdì scorso, la speciale commissione che autorizza i programmi di protezione ha bocciato 9 domande su 10.
La stretta, insomma, non è solo a parole. Il fatto è che la bordata di Mancuso, che già aveva chiesto di invalidare l' audizione del giudice Caselli perché iniziata prima del suo arrivo, ha creato uno sconquasso. L' Antimafia si è spaccata a metà come una mela, e rischia di dissanguarsi di polemiche prima di cominciare a lavorare.
Mancuso aveva chiesto: è vero che ci sono avvocati che difendono centinaia di pentiti? (allusione esplicita al dottor Guarnera di Catania). Manganelli replica che i legali sono 250 per 170 studi differenti. Quindi, nessuna ambigua e pericolosa concentrazione foriera di teoremi accusatori. Ma Mancuso incalza: è vero che ci sono state pressioni di uffici giudiziari per concedere o prorogare protezioni e stipendi a collaboratori? E ancora: sono state cambiate o no le generalità a quel pentito cui erano state rifiutate da un certo ministro della Giustizia, per ragioni di "indegnità morale?".
Manganelli promette che farà accertamenti e risponderà senza nascondersi dietro alcun segreto burocratico. Curiosità: il pentito a cui era stato negato un nome nuovo è Buscetta. Il rifiuto era stato... dello stesso ministro Mancuso, due anni fa. Imbarazzo di Giuseppe Lumia, corleonese, deputato Pds: "Sbaglia Mancuso ad attaccare Caselli e il pentitismo. La lotta alla mafia è una cosa seria". E Beppe Scozzari, della Rete: "Lacrime di coccodrillo. Lo sapevano tutti, anche il Pds, che Mancuso e Miccichè erano stati spediti in Commissione a far da guastatori. Il problema è che il presidente Ottaviano Del Turco s' è preso pure i voti forzisti.
Adesso reggerà? Sappiano comunque che questa non è la Bicamerale degli inciuci. Qua le contraddizioni le faremo scoppiare tutte".
Scozzari si becca l' epiteto di "spudorato giacobino" da Marco Taradash. Ma Del Turco che fa? Del Turco giura di resistere. Però è scosso, e si vede. Ammette: "C' è stato un periodo, quello del proporzionale, in cui la cultura consociativa faceva funzionare l' Antimafia come un orologio. Col maggioritario può diventare ingovernabile. Ma io sono qui apposta per impedirlo. E D' Alema, Berlusconi e Fini non possono che fare il tifo. Mancuso ha esagerato.
Quando ho annunciato che la legge sui pentiti andava cambiata ma il pentitismo conservato, il Polo mi ha sostenuto". Forse lo ha già dimenticato. - Marina Garbesi

 

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BUFERA SUI CARABINIERI VERTICE A PALAZZO CHIGI

Repubblica — 25 novembre 1997   pagina 2

LE ACCUSE DI SIINO A LO FORTE Il capitano del Ros, Giuseppe De Donno, racconta ai pm di Caltanissetta che il pentito Siino gli disse che Lo Forte aveva passato alla mafia il dossier sugli appalti L' ARMA REAGISCE: NESSUNO SCONTRO Dopo le notizie sui rapporti tra alcuni ufficiali del Ros e la mafia, l' Arma reagisce: nessuno scontro con la Procura di Palermo e "serena fiducia nell' operato dei giudici" IL CASO A PALAZZO DEI MARESCIALLI Il "caso Palermo" al Csm. Il vicepresidente Grosso esprime fiducia a Caselli, Forza Italia lo accusa di aver anticipato il giudizio e chiede l' intervento di Scalfaro CHIESTO L' INTERVENTO DEL GOVERNO Scontro tra opposizione e maggioranza: il Polo chiede l' intervento del governo. Vertice a Palazzo Chigi, ma ufficialmente si è parlato solo di coordinamento delle forze dell' ordine ROMA - Lo scontro incrociato Procura di Palermo-Arma-Procura di Caltanissetta ha prodotto ieri una giornata di profonda fibrillazione istituzionale e politica che si è chiusa in modo stranamente tranquillo. A palazzo Chigi, a tarda sera, il capo del governo, Romano Prodi e il suo vice Walter Veltroni hanno riunito i ministri dell' Interno, Giorgio Napolitano, della Difesa, Beniamino Andreatta, della Giustizia, Giovanni Maria Flick, delle Finanze, Vincenzo Visco.
Le fonti ufficiali riferiscono che i sei non hanno parlato dell' affaire Siino-De Donno-Lo Forte e del conflitto Procura-Ros. Hanno discusso solo ed esclusivamente del coordinamento delle polizie italiane. Era un incontro messo in calendario da venerdì scorso. "Per la prima volta dopo 50 anni - spiegano i portavoce - il titolare del Viminale ha fatto una profonda ricognizione del perché qualcosa non va tra polizia, carabinieri, guardia di finanza. Ha fatto ipotesi, disegnato scenari, soppesato i problemi". Possibile che non ci sia stato neppure un accenno al caso Palermo e all' ipotesi di sciogliere il Ros? "No, neppure uno. Ma discutere di coordinamento ad altissimo livello vuol dire anche cominciare ad affrontare quello che non va tra i giudici e la polizia giudiziaria. Ed è su questo che è nato, in sostanza, il caso siciliano". Certo, c' è da non crederci. In assenza di ulteriori indiscrezioni, bisogna stare alle dichiarazioni ufficiali. Ma, quando Napolitano ha illustrato la sua idea su come risolvere il problema dei nuclei investigativi anticrimine (Sco, Ros, Gico, la stessa Dia) ha prefigurato una soluzione e fornito una risposta politica. La questione del Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri, finito nella bufera delle contestazioni dopo le rivelazioni del pentito Angelo Siino, non potrà essere risolta adesso. Chi cerca una soluzione ad hoc dovrà aspettare, invece, la riforma globale del coordinamento. Il futuro del Ros sarà, insomma, lo stesso degli altri centri investigativi specializzati. Sciolti oppure ristrutturati e ricondotti all' interno delle strutture ordinarie. Il governo, dunque, non risponde a caldo, ma risponde. Lo fa sui tempi lunghi e supera d' un balzo le polemiche di ieri. La commissione Antimafia che si spacca al vertice, il presidente del comitato di controllo sui servizi che si scontra col ministro dell' Interno e chiede conto delle voci sul Ros, gli esperti giustizia dell' Ulivo e del Polo che si producono in una battaglia di comunicati. Ma di cosa si discute? Di tre questioni. La prima: il Ros. La seconda: il pentito Angelo Siino. La terza: il conflitto tra procura di Palermo e procura di Caltanissetta e la relativa competenza delle indagini. Franco Frattini, presidente del Comitato di controllo sui servizi, pone un quesito: "Il governo deve dire subito, chiaramente e pubblicamente, se vi è qualche dubbio sull' azione del Ros". Passano un paio d' ore e il ministro Napolitano gli risponde secco: "Non si capisce quale intervento il governo debba fare. Sono questioni di competenza dell' autorità giudiziaria. C' è la procura di Caltanissetta che si occupa della vicenda. Il governo deve solo auspicare la massima coesione di tutte le forze dello Stato". La polemica ai vertici dell' Antimafia, invece, è tutta giocata sull' ex uomo d' onore Siino. Dice il presidente Ottaviano Del Turco: "Siino, da confidente dei carabinieri ha detto una cosa, da pentito ne dice un' altra. In qualunque paese dovrebbe andare in crisi la credibilità di questo signore. Invece in crisi vanno o la Procura di Palermo o l' Arma". Il vicepresidente, Nichi Vendola, di Rifondazione comunista, scatta: "Perché Del Turco ha posizioni preconcette contro Siino che, fino a questo punto, è un pentito credibile? Lui vuole mettere a repentaglio l' Antimafia". Del Turco non demorde. A sera conferma i dubbi su Siino. Vede anche Romano Prodi. L' incontro è top secret. Ma l' ipotesi è una: Del Turco vuole andare avanti con l' inchiesta in commissione, ma l' Ulivo gli ha fatto capire che su questa strada non lo segue e lo sfiducia. Dal presidente del Consiglio Del Turco vuole indicazioni e rassicurazioni. Chi ha ragione su Siino? Pietro Folena, responsabile giustizia del Pds, invita alla prudenza: "Per gente come lui ci vuole un enorme supplemento di circospezione. Bisogna fare attenzione a una possibile regia delle organizzazioni criminali". Un atteggiamento che, per una volta, sembra non essere in netto contrasto con i tradizionali nemici dei pentiti che stanno nel Polo. Una cosa tutti si augurano, politici e consiglieri del Csm: che i magistrati sbroglino al più presto questa storia e diradino nebbie e veleni.

BOX
Il geometra a Caltanissetta LI PERA CONFERMA LE ACCUSE A LO FORTE PALERMO - Giuseppe Li Pera, il geometra che nel 1992 aveva dichiarato che quattro magistrati palermitani avevano 'passato' notizie riservate alla mafia, ha confermato tutte le accuse davanti ai pm di Caltanissetta, compresa la circostanza di avere appreso la notizia da due mafiosi. Le dichiarazioni di Li Pera avevano provocato l' apertura di un' inchiesta contro i magistrati Pietro Giammanco, Guido Lo Forte, Ignazio De Francisci e Roberto Scarpinato, poi archiviata.
Nei giorni scorsi Li Pera era stato convocato dai magistrati di Palermo, dove ha già subito una condanna, ma si era avvalso della facoltà di non rispondere. - Liliana Milella

 

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Messina come la Piovra Giorgianni è indagato

 

Repubblica — 19 marzo 1998   pagina 18   sezione: POLITICA INTERNA

REGGIO CALABRIA - A Messina c' è il Circolo del bridge dove chi vince incassa e chi perde non paga. E tra i vincitori ci sono anche magistrati. La storia, raccontata quasi al termine di una giornata in cui i parlamentari dell' Antimafia ne hanno sentito di cotte e di crude sui magistrati di Messina, desta più ilarità che sconcerto. Ottaviano Del Turco vuole sapere. E il magistrato reggino prosegue. Sì, al Circolo del bridge di Messina c' è qualcosa che non va. Sui tavoli c' erano poste per centinaia di milioni. Pagamento di favori? Indaga Reggio Calabria perché a guidare il circolo è un magistrato, Aldo Miraglia, presidente della sezione penale della Corte d' Appello, già sotto processo con l' accusa di corruzione. Lasciano Reggio con le mani nei capelli i commissari dell' Antimafia. Messo da parte il caso Giorgianni con il "licenziamento" del sottosogretario che è oggetto di varie inchieste, i commissari vogliono sapere quali indagini la Procura di Reggio sta svolgendo su quella di Messina. E al termine delle audizioni, senza distinzioni di schieramento politico, fanno a gara per trovare una parola, un aggettivo, che riesca a spiegare la gravità della situazione. Del Turco torna a parlare di "grumo messinese", l' ex ministro Filippo Mancuso spiega che "Messina è la capitale dell' antilegalità"; il senatore Luigi Lombardi Satriani teme "effetti devastanti" per le istituzioni. Il senatore Saro Pettinato usa forse l' espressione più efficace: "A Messina la realtà supera decisamente la più sfrenata fantasia, siamo in piena "Piovra 10". Che cosa hanno trovato i commissari dell' Antimafia? Secondo il deputato Domenico Bova, "un coacervo di oscuri interessi". Indagini bloccate, dimenticate, confusione di ruoli tra giudici e indagati. Grazie anche a una magistratura inquirente dalla vista molto corta, che si tiene indagini per quattro anni e non trova reati da contestare, che gestisce una caterva di pentiti in maniera discutibile e, in un caso, finisce essa stessa sotto inchiesta, che apre fascicoli con squilli di tromba (come faceva Giorgianni) e lascia poi tutto per aria. Sospeso. Appena sfiorato. "Vien fuori un allargamento delle responsabilità", afferma il deputato Rosario Olivo. Il procuratore Antonino Zumbo finisce nel mirino. Pettinato lo accusa di comportamenti omissivi. Sono otto i magistrati della Procura di Reggio che indagano sui colleghi messinesi: si parla così di un' inchiesta su un colossale traffico di armi in cui c' è una sospetta triangolazione di telefonate tra il sostituto Franco Langher, alcuni inquisiti, l' ex pm Angelo Giorgianni. Le carte sono arrivate da La Spezia, finendo sul tavolo di Langher che prima di trasmetterle a Reggio aggiunge una propria nota difensiva. C' è altro. Inizia il gip Giuseppe Santalucia: lavorava con Giorgianni, se ne andò sbattendo la porta non condividendo il modo di condurre le indagini sul rettore Diego Cuzzocrea. Poi è il turno dei sostituti Ettore Squillace Greco e Giovanni Taglialatela che indagano anche su Giorgianni e lo accusano di falso materiale e ideologico. I fuochi esplodono con il procuratore aggiunto Salvatore Boemi e i sostituti Francesco Mollace e Alberto Cisterna. Messina non è stata rivoltata così dai tempi del terremoto. Diversi magistrati della Procura sono indagati. Sotto osservazione c' è la gestione dei fallimenti. Parenti stretti di giudici acquistavano per quattro soldi case e terreni. Il vicepresidente Nicky Vendola torna su Giorgianni. Sfrattato dal Viminale, secondo un curatore fallimentare l' ex pm dovrebbe essere cacciato anche dalla sua villa di Messina. L' ha avuta per 500 milioni da una società fallita (470 metri quadri coperti, oltre mille di giardino, piscina). Troppo poco per il legale. - dal nostro inviato PANTALEONE SERGI

 

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Pentiti, Del Turco nella bufera

Repubblica — 23 giugno 1999   pagina 25   sezione: POLITICA INTERNA

E’ appesa a un filo la poltrona di presidente dell' Antimafia di Ottaviano Del Turco. Di fatto sconfessato, e con parole dure, dall' intera maggioranza, a cui si è unita anche la Lega, a difenderlo è rimasta solo l' opposizione che ha condiviso le sue critiche contro il pentito Salvatore Cancemi.

Il collaboratore, una settimana fa a Caltanissetta, aveva parlato di un possibile ruolo di Silvio Berlusconi e Marcello Dell' Utri nelle stragi di mafia. Del Turco lo ha ritenuto scandaloso e, ancora ieri a palazzo San Macuto, ha posto l' interrogativo: "Si può, a quattro giorni dalla chiusura di un' importante campagna elettorale, e tra il primo e il secondo turno del ballottaggio, consentire che i media trasmettano una testimonianza così? E ciò senza che, in sede istituzionale, si levi un richiamo severo alle regole del gioco".

Del Turco, fresco di rielezione all' Antimafia (il 27 aprile), aveva addirittura chiesto l' intervento del presidente della Repubblica, in quanto capo del Csm, contro i magistrati "rei" di non vigilare sui pentiti.

Ma tutto questo non è piaciuto alla maggioranza, Ds in testa. Tecnicamente è impossibile sfiduciare un presidente dell' Antimafia, che può restare al suo posto. Ma il documento sottoscritto, alle 9 in punto, dai partiti del governo e le dichiarazioni snocciolate durante l' intera giornata suonano molto peggio di una condanna inappellabile.

Il capogruppo dei Ds, Fabio Mussi, ha fatto perfino dell' ironia su un Del Turco che avrebbe scoperto la "quartietà" dell' Antimafia, una sorta di "quarto giudice che interviene sui processi in corso".

E il senatore Alessandro Pardini, dopo aver dato al presidente del "fazioso", lo ha invitato a lasciare la poltrona.

Più politico il responsabile giustizia dei ds, Carlo Leoni, che ha ragionato così: "Del Turco si è scagliato contro i giudici e non certo contro i pentiti. Il centrosinistra lo critica, il Polo lo difende. Valuti lui la situazione".

Ma Del Turco è andato diritto per la sua strada, rinviando il dibattito fra sette giorni. E in attesa della replica ufficiale, ha risposto così: "Da parte mia non esiste alcun ripensamento e di dimissioni non se ne parla nemmeno. D' altra parte nessuno me le ha chieste. Questo palazzo ha già visto un' abiura, quella di Galileo, non ne vedrà un' altra". E per chi non l' avesse capito ha spiegato ancora: "Non si può consentire a un collaboratore di fare il sociologo in un' aula nel corso di un dibattimento".

A fine serata, il diessino Leoni ha chiuso la querelle: "Del Turco sbaglia a dire che andrà avanti sulle sue tesi senza modificarle di una virgola soprattutto quando a criticarlo è tutta la maggioranza". La situazione, inutile dirlo, è imbarazzante.

Di Del Turco un berlusconiano di ferro come Enrico La Loggia dice: "La sua posizione è giusta e corretta".

E Alfredo Mantovano, la toga parlamentare di An, aggiunge: "Del Turco non deve lasciare l' Antimafia".

Simili le dichiarazioni del Ccd. Che fare a questo punto? Perché, sul fronte del governo, Del Turco è in difficoltà.

Il documento chiede un "chiarimento di fondo" e critica non solo l' interferenza nei processi, ma anche la scelta di affrontare la questione pentiti solo a partire dalle dichiarzioni di Cancemi su Berlusconi.

Di più: Del Turco non avrebbe "alcuna investitura" per rivolgersi direttamente al capo dello Stato. Ma perché il presidente ha fatto tutto questo?

Le letture sono differenti.

C' è chi, come il vicepresidente Niki Vendola di Rifondazione, la vede così: "è un' operazione tutta politica. Basta leggere l' intervista di Claudio Martelli del 12 giugno sul Giornale con l' invito ai socialisti perché considerino Fi l' alleato naturale. Quello di Del Turco è il primo segnale". Ma ci sono anche altre ipotesi.

Come questa: Del Turco avrebbe dato voce alla profonda insofferenza di tutti, Ds compresi, contro i pentiti. Lo avrebbe fatto sicuro della copertura e, soprattutto, per riaprire il dialogo sulle riforme con Berlusconi. Ma i Ds, oggi, negano la paternità di quest' iniziativa e concludono: "Quando abbiamo confermato Del Turco molti di noi erano perplessi. Dopo questa performance la sua posizione è debolissima". Proprio ieri intanto, nemmeno a farlo apposta, la commissione di protezione dei pentiti doveva discutere del rinnovo del contratto a Cancemi: ha detto di sì senza problemi.

LIANA MILELLA

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Crisi nell' Antimafia Del Turco sotto accusa

Repubblica — 29 ottobre 1999   pagina 6   sezione: POLITICA INTERNA

ROMA - Tutti contro Ottaviano Del Turco, presidente dell' Antimafia, socialista, "colpevole di falso garantismo", dice il suo vice Nichi Vendola (Rifondazione), e di parole sul caso Andreotti, la procura di Palermo e il passato della commissione Antimafia "che sconcertano" l' intero centrosinistra.

Le accuse a Del Turco non hanno "significato" per Enrico Boselli, segretario socialista, che poi ironizza: "E ci chiedono anche, dopo un simile linciaggio, perché noi dello Sdi non si entra nell' Ulivo 2".

I capigruppo di maggioranza in commissione Antimafia hanno sottolineato con l' evidenziatore l' intervista che Del Turco ha dato ieri al Messaggero, pesandone parola dopo parola. Tre le affermazioni di Del Turco di cui ora si chiede conto:

1) "quando l' Antimafia sarebbe stata utilizzata, come dici, per "incastrare nemici politici"?";

2) "che cosa intendi per Antimafia "oggi pulita", e quand' è che sarebbe stata sporca?";

3) "chi sarebbe l' iniziatore che ha "avviato tecnicamente" una presunta stagione persecutoria della Procura di Palermo?".

Subito dopo, la maggioranza fa i nomi e i cognomi cui fino a quel momento si è solo alluso: si esprime "profondo rispetto" per l' assoluzione di Andreotti, ma si censura chi, un secondo dopo, ha puntato a delegittimare l' intera magistratura;

si difende Luciano Violante, l' ex presidente dell' Antimafia, perché criticarlo significa affondare il prestigio della commissione stessa; infine, si denuncia il tentativo di "una generalizzata assoluzione della politica".

L' intero impianto delle critiche a Del Turco è condiviso da Rifondazione che, anzi, lo amplia, per bocca di Nichi Vendola. Gioca pesante, Vendola, quando contesta a Del Turco uno "scempio della verità" che sconfinerebbe nell' abuso "per fini di lotta e vendetta politica".

Se Del Turco tace, Enrico Boselli, leader dello Sdi, lo protegge avvertendo che questo "forsennato attacco" condizionerà le trattative sul D' Alema bis: "Le dichiarazioni di sconcerto della maggioranza - spiega Boselli - creano in noi socialisti uno sconcerto più grande. Chiunque voglia capire perché i socialisti non entrano nel Nuovo Ulivo segua con attenzione il dibattito, chiamiamolo così, in Antimafia".

La lite istituzionale in Antimafia diventa di merito in commissione Giustizia, dove Guido Calvi (Ds) e Guido Follieri (Ppi) presentano una proposta comune sui pentiti. La loro idea è che un pentito è credibile, e contribuisce a formare una prova, solo se "testimone diretto" di un fatto.

La soluzione non convince i socialisti e l' Udeur. Figurarsi il Polo che chiede di ridurre al massimo la discrezionalità del magistrato giudicante e, attraverso Marcello Pera (Fi), una gestione severa di quello che definisce il Grand Hotel Pentiti, figuri coccolati dallo Stato "oltre ogni decenza".


BERLUSCONI: DEL TURCO? STRANO, DA TEOREMA ACCUSATORIO

14 luglio 2008 - "Sì, ho sentito e mi sembra una cosa molto strana che ci sia una decapitazione completa, quasi una retata, di un intero governo di una regione; ho sentito anche il teorema accusatorio, conoscendo l'attuale sistema dell'accusa in Italia...". Così, fermandosi davanti ai microfoni del Gr Rai e alle telecamere di Sky, il premier Silvio Berlusconi commenta da Parigi l'arresto di Ottaviano Del Turco.   Interrogato sul fatto che questa volta l'accusa abbia colpito un esponente della sinistra, Berlusconi ha risposto: "Non ha nessuna importanza per me, colpisca questo o quest'altro”.
Ma non è proprio così. Basta leggere queste vecchie cronache per rendersene cono: agli inizi degli anno Novanta, Silvio Berlusconi, attraverso sofisticate operazioni finanziarie delle quali si trovano tracce in vari processi a suo carico, fece transitare dei miliardi di vecchie lire in direzione di Bettino Craxi, che a sua volta dirottò circa 400 milioni verso Ottaviano Del Turco per aiutare la componente socialista della CGIL: leggere per credere.
 
SEI MILIARDI DALLA FININVEST A CRAXI
Repubblica — 08 novembre 1997   pagina 9
MILANO - Quando escono dall' aula, gli avvocati di Silvio Berlusconi hanno la faccia tirata: "Elementi grezzi, al mosaico della Procura mancano ancora alcune tessere". Ed in effetti è così, alcune tessere mancano ancora.
Ma già quelle che il pool Mani pulite ha messo ieri sul tavolo del processo al Cavaliere sono sufficienti per temere che una tempesta giudiziaria stia per abbattersi sull' ex presidente del Consiglio. Un lavoro durato mesi - l' esame incrociato delle decine di risposte arrivate dalla Svizzera alle rogatorie del pool - ha permesso di individuare nuovi passaggi di milioni di dollari tra la Fininvest e Bettino Craxi: ma, soprattutto, ha fornito tracce per collegare tra loro le due inchieste aperte su Berlusconi, quella per i finanziamenti in nero al Psi e quella per la corruzione dei giudici romani. Dagli stessi conti da cui, secondo la Procura milanese, sono usciti i soldi per Craxi, escono anche centinaia di milioni che attraverso una serie di passaggi intermedi - l' avvocato Cesare Previti, il suo collega Attilio Pacifico - approdano sul conto di Filippo Verde, ex giudice di Cassazione, capo di gabinetto al ministero della Giustizia ai tempi di Vassalli e Martelli.
 Questo è il lato dell' indagine che la Procura milanese tiene ancora riservato, anche se ieri, in aula il pm Francesco Greco lancia un segnale che, alle orecchie degli addetti ai lavori, suona quasi inequivocable. A venire scoperte per intero, per ora, sono le carte che portano a Bettino Craxi. Di questo, d' altronde, si occupa il processo "All Iberian", dei passaggi di soldi tra Berlusconi e Craxi in violazione della legge sul finanziamento dei partiti.
Il capo d' accusa iniziale parla di dieci miliardi usciti nel 1991 dal conto All Iberian, la "cassaforte" estera della Fininvest, e approdati su uno dei depositi svizzeri del Psi. Di quei soldi la Fininvest dà una sua spiegazione, afferma che si tratta di un pagamento di diritti cinematografici approdati - all' insaputa del gruppo - sul conto socialista. Ma ieri sul banco dei testimoni arriva un maresciallo della Guardia di finanza, si chiama Aronne Orsicolo, per mesi, con l' aiuto di un software speciale, ha incrociato migliaia di movimenti bancari. Descrive a memoria i giri complicatissimi della contabilità occulta della Fininvest, un centinaio di miliardi di cui si conosce la destinazione solo in minima parte. Ma su due versamenti Aronne Orsicolo è netto: un milione e 781mila dollari il primo, un milione e 821mila dollari il secondo, nel febbraio 1991 escono da All Iberian, passano su un conto chiamato "Polifemo" e approdano sul conto Constellation Financiaire, alla Sbs di Chiasso. "Il conto risulta intestato - dice il maresciallo - a Giorgio Tradati", uno degli ultimi prestanome di Craxi.
Anche questi soldi (oltre sei miliardi di lire, al cambio attuale) verranno spiegati dalla Fininvest come "diritti televisivi"? Ieri il gruppo sembra insistere su questa strada, "nessuna scoperta, solo una nuova puntata di una vecchia vicenda". In aula, però, Greco annuncia che per Berlusconi e Craxi scatterà un nuovo capo d' accusa. Ma il segnale più inquietante, quello quasi buttato lì dal pubblico ministero, arriva quando il maresciallo Orsicolo spiega che da "All Iberian" escono nel 1991 verso il conto Polifemo anche altre somme: "Sei miliardi e cento milioni il 6 marzo, un miliardo e 800 milioni il 15 aprile". Dove vadano i sei miliardi non si sa. "Il miliardo e otto - dice invece Greco - lo sappiamo dove va, e non va a Craxi...". La risposta, in realtà, è già nelle carte inviate al Parlamento per chiedere l' arresto di Cesare Previti. Il 16 aprile 1991, all' indomani dell' arrivo dei 1800 milioni a "Polifemo", una cifra identica arriva a Ginevra sul conto "Dorier Hemtsch" di Previti: proviene dalla Sbs di Lugano, stessa banca di "Polifemo". Il 23 aprile dal conto di Previti parte mezzo miliardo per il conto "Pavone" dell' avvocato Pacifico.
Il 30 aprile dal conto "Pavone" il mezzo miliardo passa al conto "Master 811", aperto lo stesso giorno dal giudice Filippo Verde e da sua moglie Anna Maria Capetta. E' sufficiente questa catena di passaggi a distanza ravvicinata per dire che i soldi di Berlusconi arrivano a un giudice corrotto (per Verde, come per Previti, è pendente una richiesta di arresto firmata dal pool)? Previti la settimana scorsa aveva messo le mani avanti: "Ho ricevuto molti miliardi dalla Fininvest in Svizzera, si tratta di onorari", aveva dichiarato. Ma ora le scoperte del maresciallo Orsicolo rischiano di pesare direttamente sul Cavaliere. Per lui il pool starebbe preparando un invito a comparire per corruzione giudiziaria, cui far seguire entro novembre la richiesta di rinvio a giudizio. - Luca Fazzo
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Soldi Fininvest a Craxi durante Tangentopoli
Repubblica — 25 giugno 1998   pagina 7   sezione: POLITICA INTERNA
MILANO - Non erano giorni facili, per Bettino Craxi, quelli del novembre 1992. Le cannonate di Di Pietro piovevano sempre più vicino a lui, i suoi prestanome sui conti cifrati - come Silvano Larini e Gianfranco Troielli - si davano alla latitanza, dal Parlamento arrivava il via libera al processo a Gianni De Michelis. Intanto Claudio Martelli, l' ex delfino, chiedeva a gran voce, appoggiato da mezzo Psi, la testa del lider maximo, "ormai la sua è la caricatura di una politica": e Craxi stesso, per la prima volta, faceva capire di essere ormai rassegnato a farsi da parte. Insomma, un momentaccio. Ma ora si scopre che, anche in quei giorni di bufera incombente, non tutti abbandonavano il leader in difficoltà. Lo stesso misterioso sostenitore che l' anno prima, tra il gennaio e l' ottobre del 1991, aveva fatto arrivare venti miliardi sui suoi conti svizzeri, il 10 novembre 1992 decide di dare a Craxi un' altra, generosa mano. Così sul conto Northern Holding, gestito in Svizzera dal segretario personale di Craxi, Mauro Giallombardo, arrivano altri due miliardi di lire. Le contabilità bancarie dicono che il mittente si cela dietro il conto "Ampio", acceso alla Sbs di Lugano. Ora - a quasi sei anni di distanza - il conto "Ampio" viene consegnato dalla magistratura elvetica alla Procura di Milano dove finisce nel fascicolo delle indagini a carico di Silvio Berlusconi. Perché nel frattempo la Procura ha scoperto che "Ampio" apparteneva alla Fininvest: lo aveva aperto, nell' aprile del 1991, lo scrupoloso cassiere del gruppo, Giuseppino Scabini. E così anche l' obolo di due miliardi del novembre 1992 finisce nel computo generale dei contributi sottobanco che il gruppo di Berlusconi è accusato di avere versato all' ex segretario socialista. Per i venti miliardi del 1991, usciti dai conti "All Iberian" e "Polifemo", Berlusconi e Craxi sono come è noto già sotto processo: è la vicenda che arriverà a sentenza (almeno per il reato di finanziamento illecito) il prossimo 13 luglio. I due miliardi del novembre 1992 non costituirebbero dunque una grande novità, se non fosse per quel dettaglio cruciale: se nel 1991 i soldi targati Fininvest erano andati a un leader sulla cresta dell' onda, al politico forse più potente della Prima Repubblica, i due miliardi del novembre 1992 vanno invece a un re vacillante, che appena un mese dopo - il 18 dicembre - verrà colpito dal primo avviso di garanzia della lunga serie che lo costringerà ad abdicare. Inevitabile, a questo punto, che il pool milanese si domandi con ancor maggiore curiosità: perchè tanta munificenza? In attesa di trovare una risposta, la Procura della Repubblica incamera - grazie alla nuova rogatoria - una boccata d' ossigeno nella sua corsa contro il tempo: se i versamenti Fininvest a Craxi sono proseguiti fino alla fine del 1992, la prescrizione - che incombeva sulla vicenda - potrebbe slittare di almeno un anno. Le nuove carte svizzere, dunque, rischiano di trasformare in una vittoria di Pirro quella conquistata dalla Fininvest la settimana scorsa, con l' azzeramento di metà del processo All Iberian. Perché i nuovi elementi non possono essere impiegati nel processo che si sta per chiudere, ma verranno certamente utilizzati dalla Procura nel processo-bis fissato per ottobre a carico di Berlusconi e dei suoi manager con la sola imputazione di falso in bilancio. Oltretutto, nella rogatoria arrivata nei giorni scorsi ci sono elementi interessanti anche su un altro indagato eccellente del pool: Cesare Previti. Sempre dal conto "Ampio", tra il marzo e il settembre 1992, il futuro ministro della Difesa riceve ben 5 miliardi e 700 milioni, che vanno sul suo conto "Mercier" in una banca ginevrina. è lo stesso conto su cui l' anno precedente la Fininvest - sempre attraverso i suoi conti cifrati - aveva versato circa sei miliardi di lire. "Si tratta di onorari per prestazioni professionali svolte all' estero", ha sempre sostenuto Previti. Ma la Procura sottolinea la singolare circostanza che una piccola parte di quei soldi, 500 milioni, approdano alla fine sul conto del giudice Renato Squillante, accusato di essersi fatto comprare proprio dal gruppo di Berlusconi. - di LUCA FAZZO
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' QUEI SOLDI TARGATI CRAXI' NELLA CGIL E' L' ORA DEI VELENI
Repubblica — 01 giugno 1993   pagina 12
ROMA - Tono cortesissimo e altrettanto fermo: "La questione è delicata. Oggi non ho nulla da dire. Ne parleremo in segreteria", dice Alfiero Grandi, segretario confederale della Cgil, area pds. Con parole quasi identiche Guglielmo Epifani, segretario generale aggiunto della Cgil, socialista, si sottrae alle domande del cronista.
La storia di cui nessuno dei massimi dirigenti della Confederazione ha voglia di parlare con gli ' esterni' è quella del finanziamento della componente socialista della Cgil da parte del Psi.
Non c' è alcuna intenzione di insabbiare un caso scomodo, ci fanno osservare in Corso d' Italia: il rinvio a domani della segreteria che ne dovrà discutere è stato dettato semplicemente dalla necessità di essere tutti presenti.
Le decisioni che verranno prese al riguardo dal vertice confederale - un' inchiesta? - saranno poi sottoposte al comitato direttivo della Cgil convocato per il 7 e 8 giugno. Fine delle notizie ufficiali.
Ma di questa brutta storia, naturalmente, in Cgil si parla eccome. Da quando il manifesto venerdì scorso ha sparato un titolo, con tanto di notizie dettagliate, su 370 milioni che Bettino Craxi avrebbe passato ad Ottaviano Del Turco, il clima per i sindacalisti socialisti si è fatto irrespirabile.
Eredità pesante. Anche perché subito dopo le rivelazioni del manifesto, l' ex numero due della Cgil, nel frattempo diventato segretario del Psi, ha francamente ammesso (anche senza specificarne l' entità) di aver avuto dei sostegni in danaro da Via del Corso per convegni e dibattiti organizzati dai socialisti della Cgil su questioni politiche e non di natura sindacale. Una eredità molto pesante per il giovane Epifani che ha sostituito Del Turco a fianco di Bruno Trentin e che adesso deve gestire una faccenda di cui, pare, sapesse poco o nulla e soprattutto fare i conti con le reazioni furibonde di settori sempre più ampi della Cgil. Per dirla tutta, già il crollo del Psi stava creando grossi guai ai sindacalisti socialisti della Cgil, la cui presenza nei gruppi dirigenti (pari circa al 30 per cento secondo le antiche consuetudini) comincia ad essere considerata assurdamente sovradimensionata da molti sindacalisti del Pds, nonchè dalla minoranza massimalista "Essere sindacato". Ora il caso dei 370 milioni arriva come una mazzata. Con effetti destabilizzanti per l' intera Confederazione, peraltro alle prese con la trattativa sul costo del lavoro con Ciampi e Abete, foriera di divisioni interne se e quando si arriverà ad un accordo. Lo sconquasso nella Cgil è direttamente proporzionale al principio sacro della autonomia del sindacato dai partiti che il finanziamento in questione avrebbe clamorosamente violato. Dal 1948 fino al 1991 e cioè per tutto il lungo periodo in cui la Cgil è stata suddivisa in correnti politiche (prima quelle comunista e socialista, cui si aggiunse poi la "Terza componente") esistevano notoriamente dei fondi destinati alle singole componenti per sostenere loro specifiche iniziative. Fu un criterio di convivenza interna, mai troppo pubblicizzato e tuttavia apertamente ammesso, durato fino al congresso di Rimini dell' ottobre del ' 91 quando formalmente le correnti politiche furono sciolte. Da allora anche i fondi a loro attribuiti sono stati aboliti ed è attorno a quell' epoca che arrivano a Del Turco i soldi di Craxi. Ieri sera Guglielmo Epifani ha avuto un colloquio con il neo segretario socialista Del Turco ed è pensabile che l' oggetto principale del discorso sia stato quello dei famosi 370 milioni. Visto che lo stesso interessato non ne ha negato l' esistenza, è prevedibile quale sarà la linea che terranno domani in Cgil i sindacalisti socialisti: proprio perchè quei soldi non servivano ad attività legate al sindacato, bensì a convegni e iniziative di natura prettamente politica, era corretto che i finanziamenti venissero dal Psi; mentre sarebbe stata una grave illegalità servirsi del denaro della Cgil. Sollecitata un' inchiesta E' invece un falso inammissibile - diranno i socialisti della Cgil - insinuare, come hanno fatto i dirigenti di "Essere sindacato", che i finanziamenti del Psi siano serviti a influenzare i comportamenti della componente socialista, soprattutto in due momenti cruciali assai distanti fra loro, come l' accordo di San Valentino dell' 84 e l' accordo del 31 luglio del ' 92, ambedue legati alla rovente questione della scala mobile. Sono proprio di questo tenore i sospetti sollevati all' indomani delle rivelazioni del manifesto da Fausto Bertinotti e da Giorgio Cremaschi, rispettivamente segretario confederale e segretario del Piemonte, nonchè fondatori del gruppo "Essere sindacato". Tanto che Cremaschi ha chiesto alla segreteria della Cgil di aprire una inchiesta ufficiale sull' episodio. C' è da giurare che dal "caso" si sprigioneranno altri veleni e non solo politici. Per esempio sarà inevitabile che ognuna delle ex componenti chieda conto alle altre della provenienza dei fondi con cui, almeno negli anni più recenti, finanziarono le rispettive iniziative. Tra i vari scheletri che si potrebbero scoprire negli armadi - si mormora fra l' altro di investimenti in immobili - ce n' è uno che in questi giorni viene spesso evocato e che si traduce in questo interrogativo: con che soldi i dissidenti di "Essere sindacato" finanziano la loro rivista "Fuori Linea", molto più vicina a Rifondazione Comunista che alle Botteghe Oscure? - di VITTORIA SIVO
 

 

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