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Interevento di Nino Di Matteo alla cerimonia di apertura dell'Anno Giudiziario PDF Stampa E-mail
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Scritto da Nino Di Matteo   
Venerdì 17 Febbraio 2012 14:41
Trascrizione dell’intervento pronunciato il 28 gennaio 2012 dal magistrato Antonino di Matteo, presidente della Giunta distrettuale dell’Associazione Nazionale Magistrati, in occasione della cerimonia di apertura dell’Anno giudiziario presso il tribunale di Palermo.
“Grazie Presidente.
Prendo la parola nella mia veste di presidente della Giunta distrettuale dell’Associazione Nazionale Magistrati e porgo il mio più cordiale saluto a tutti gli intervenuti. Noi magistrati del distretto di Palermo abbiamo ben chiara la consapevolezza di esercitare una funzione rivolta al cittadino, per il quale, alla sofferenza per un diritto negato o atteso si aggiunge insopportabilmente l’ulteriore disagio, dovuto ai ritardi di un sistema del cui cattivo funzionamento abbiamo piena coscienza. I problemi sono evidenti e sono stati ben palesati dagli interventi che abbiamo ascoltato stamattina: lentezza dei processi, drammatica penuria di risorse umane e materiali, organizzazione troppo vetusta. Ciò a fronte di un continuo, inesorabile aumento della domanda di giustizia che contribuisce a fare di noi magistrati l’anello debole della catena sul quale finiscono per concentrarsi inevitabilmente le insoddisfazioni della collettività.
Per molti anni si è parlato in maniera del tutto impropria di una contrapposizione reciproca tra politica e magistratura: il terreno di scontro nel quale altri vogliono trascinarci non appartiene alla nostra cultura istituzionale. È vero invece che, in questi anni, non c’è stata una guerra tra la magistratura e la politica, non una contrapposizione reciproca, piuttosto abbiamo vissuto un’offensiva unilaterale, violenta, senza precedenti, di una parte consistente della politica nei confronti della magistratura, il cui controllo di legalità è stato evidentemente visto come un ostacolo da rimuovere. Abbiamo dovuto registrare un clima pesante di aggressione in particolare quando indagini e processi hanno toccato il potere. La magistratura nel suo complesso ha reagito con dignità e risolutezza, senza timore soprattutto quando si è messo in discussione non il merito dei provvedimenti ma l’indipendenza e l’imparzialità dei giudici.
Oggi le contingenze politiche ed economiche hanno dirottato su altri temi, la crisi economica e finanziaria in particolare, l’attenzione della classe politica. La violenza e la sistematicità di quegli attacchi sembra essersi attenuata. Sarebbe però un grave errore, un imperdonabile errore, ritenere definitivamente scongiurato il pericolo che attraverso l’eventuale approvazione di una serie di riforme tuttora al vaglio del Parlamento, e prima tra esse il progetto di riforma costituzionale della giustizia, si voglia compromettere l’indipendenza della Magistratura.
È tuttora immanente e concreto il rischio che si voglia in futuro continuare a tentare di trasformare l’ordine giudiziario in un ordine meramente servente rispetto a quello politico, così alterando i fondamentali principi della separazione dei poteri e dell’eguaglianza di tutti i cittadini innanzi alla legge. Sarebbe un grave, imperdonabile errore ritenere che il recente insediamento di un esecutivo tecnico possa avere definitivamente inaridito l’ostinata e risalente nel tempo volontà, per certi versi trasversale ai diversi schieramenti politici, di burocratizzare la magistratura rendendola sempre più pavida, attenta a non disturbare l’azione e gli affari dei potenti, incapace di sottoporre ad un effettivo vaglio di legalità l’amministrazione della cosa pubblica.
Dal nuovo governo ma più in generale da una classe politica che, forse in attesa delle elezioni del prossimo anno ci sembra improvvisamente pervasa da un sostanziale immobilismo in tema di giustizia, ci attendiamo nei fatti, nei comportamenti concreti e non solo nelle parole, inequivoci segni di discontinuità che per il momento, ritengo, non abbiamo registrato, se è vero che proprio recentemente il Parlamento, negando l’autorizzazione a procedere all’arresto di un suo membro o l’utilizzazione di intercettazione nei confronti di un altro suo membro, ha operato, è bene dirlo, è bene ricordarlo, l’ennesima gravissima invasione di campo nel momento in cui ha valutato non la sussistenza di un eventuale fumus persecutionis nei confronti del parlamentare ma in realtà, ergendosi a giudice, il merito delle richieste della magistratura.
Il clima politico di questi anni, l’idea della “cittadella assediata” non può esimerci però dall’affrontare con decisione e coraggio il tema dell’autocorrezione. Siamo consapevoli che oggi più che mai la difesa della nostra autonomia e indipendenza passa anche attraverso il coraggio di cambiare. Il tema dell’autoriforma della Magistratura coinvolge diverse e complesse problematiche. Tra queste mi permetto di citare due aspetti fondamentali: la scelta della dirigenza e il corretto funzionamento del sistema disciplinare. Quanto al primo tema, la recente riforma dell’ordinamento giudiziario ha segnato il definitivo superamento del criterio della mera anzianità, ponendoci però di fronte ad una sfida epocale che dobbiamo affrontare e vincere ricorrendo a criteri di vera trasparenza ed oggettività nell’applicazione dei parametri di valutazione. È necessario in questo nuovo contesto ridimensionare drasticamente il peso tuttora eccessivo delle correnti, abbandonare definitivamente le odiose prassi degli accordi spartitori, delle trattative, degli scambi di favore tra i vari gruppi correntizi.
Quanto al sistema disciplinare, ribadiamo la chiara scelta dell’Associazione di non ispirarsi alla logica di protezione dell’associato e di non configurare la magistratura come una corporazione che si voglia autoassolvere al suo interno. Dobbiamo però denunciare il pericolo che si affermi un sistema disciplinare che si muova prevalentemente alla ricerca di capri espiatori, consegnandoci un modello di magistrato burocrate e pavido, attento principalmente ai numeri e agli aspetti formali del proprio lavoro invece che all’esigenza di rendere giustizia. Il sistema disciplinare non può invece trascurare o sottovalutare la gravità di condotte di contiguità e collateralismo con il potere politico, imprenditoriale, affaristico e lobbistico che andrebbero sanzionate con maggiore tempestività e durezza di quanto finora sia accaduto.
A fronte di recenti pronunce consigliari che hanno definito inopportuna la partecipazione di un Magistrato di questo distretto ad un congresso in cui è intervenuto sui temi della giustizia e il, a mio avviso condivisibile e perfino ovvio, richiamo ad interpretare il ruolo di magistrato come partigiano della Costituzione, voglio ribadire che non sono le idee, né la loro espressione nel pubblico, ad incrinare l’imparzialità del magistrato, caso mai sono le appartenenze anche occulte, le interessate frequentazioni delle stanze del potere, i legami affaristici, la strisciante tendenza ad assecondare con le proprie decisioni i desiderata della politica.
L’A.N.M. vuole e deve avere anche un ruolo propositivo: le numerose e gravi patologie che affliggono la giustizia in Italia impongono di fissare delle priorità. Continuiamo a ribadire le nostre proposte: il taglio dei tribunali inutili, delle cause e delle spese inutili, l’informatizzazione di tutti gli uffici giudiziari, la predisposizione urgente di adeguate risorse umane e materiali, che costituisce un presupposto imprescindibile per iniziare un discorso coerente e logico sul funzionamento della macchina giustizia.
Il miglioramento del funzionamento del servizio giustizia passa inevitabilmente dalle riforme legislative. Per quanto riguarda il processo civile, voglio iniziare proprio dal settore civile, non possiamo non sottolineare come esso rappresenti per il cittadino lo strumento fondamentale di tutela dei diritti lesi nell’agire quotidiano. E allora dobbiamo riflettere su un dato: nonostante il decremento della pendenza negli ultimi anni, l’inefficienza della giustizia civile per l’eccessiva durata dei processi viene rappresentata come un freno alla crescita economica ed una remora agli investimenti stranieri, e nella medesima angolazione prospettica il recupero di efficienza della giustizia civile viene visto quale strumento di rilancio dello sviluppo economico.
In questa cornice si colloca la creazione di un binario privilegiato per la materia commerciale e societaria, con la recentissima istituzione delle sezioni specializzate in materia di imprese o Tribunale delle imprese. La novità, con l’obbiettivo della massima specializzazione e celerità in una particolare tipologia di controversie complesse e di spiccata rilevanza economica, si colloca però, ci dispiace sottolinearlo, al di fuori di interventi organizzativi e strutturali e quindi, come altri interventi riformatori, disgiunti da una corrispondente dotazione di risorse umane e di mezzi, come sottolineava poc’anzi il presidente Guarnotta, rischia di tradire gli obiettivi del legislatore. A differenza di quanto avvenne ad esempio negli anni Settanta, con l’istituzione delle sezioni specializzate per le controversie di lavoro, non è stato previsto un adeguato ampliamento di organici dei magistrati e del personale da destinare al neonato Tribunale delle imprese, ed è stato anzi espressamente previsto che l’amministrazione dovrà provvedere allo svolgimento delle relative attività senza nuovi o maggiori oneri e con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili.
È purtroppo facile prevedere che la sicura assegnazione alle controversie devolute al Tribunale delle imprese di una posizione di netta priorità di trattazione nell’ambito dei criteri adottati dai capi degli uffici, in conformità dell’articolo 37 della legge 111 del 2001, imporrà ritmi difficilmente sostenibili dai Magistrati. Va sottolineato al riguardo che il dato meramente numerico deve sempre essere bilanciato con la qualità dei provvedimenti, specie in materie di elevato tecnicismo, laddove l’eventuale disallineamento tra l’uno e l’altro rischia di compromettere ulteriormente con l’aumento delle impugnazioni l’obbiettivo di un processo giusto nella sua durata complessiva. Il rischio, in sostanza, è quello di una ulteriore canalizzazione di ingenti risorse verso gli indennizzi, ex lege Pinto, che lo stato paga ai cittadini vittime dell’eccessiva durata del processo. Risorse queste destinate non già alla fisiologia del processo ma piuttosto a rimediare alla sua patologia. Anche una riforma con obiettivi ambiziosi ampiamente condivisibili in una materia particolarmente sensibile al mercato, senza interventi strutturali può quindi provocare ulteriori criticità del sistema, con effetti moltiplicatori dei ritardi.
In un quadro così già problematico suscita un certo imbarazzo l’accentramento nelle dodici sezioni in tutto il territorio nazionale di tali controversie e la quadruplicazione del contributo unificato, misure che scoraggiano il ricorso alla giurisdizione per il suo allontanamento dal foro naturale e per i costi del processo, e che potrebbero quindi essere interpretate quali scorciatoie con finalità deflattive e riequilibratrici.
Nel settore penale le criticità appaiono ugualmente evidenti. Auspichiamo intanto, al di là della cessazione degli attacchi scomposti che hanno caratterizzato gli ultimi anni dell’attività di parte significativa della politica nei confronti della magistratura, auspichiamo intanto una chiara, esplicita e definitiva inversione di tendenza rispetto ad un recente passato caratterizzato da un’impressionante serie di leggi ad personam proposte dall’esecutivo. Si abbandonino definitivamente ed esplicitamente le proposte in tema di riforma delle intercettazioni, il disegno di legge 1440 sulla riforma del processo penale, con le nuove norme in tema di rapporti tra la polizia giudiziaria e il pubblico ministero nella fase delle indagini e con le asserite previsioni, efficacemente compendiate nell’espressione “processo lungo”, che consacrerebbero definitivamente la possibilità degli imputati, e in particolare di quelli più abbienti, di sfuggire con successo dal processo.
Continuano a mancare iniziative legislative effettivamente volte all’introduzione di elementi di accelerazione e razionalizzazione dei vigenti istituti processuali, continua ancora ad essere colpevolmente trascurato il fenomeno del dilagare, anche nel nostro distretto, di fenomeni corruttivi, un fenomeno che incide pesantemente sulla nostra economia e che è favorito dalla specificità di un sistema sanzionatorio penale del tutto inadeguato sul punto, anche in considerazione degli effetti disastrosi del sistema della prescrizione, che andrebbe totalmente rivisitato, magari con la previsione della definitiva cessazione del decorso del termine di prescrizione al momento dell’esercizio dell’azione penale, così come già previsto in altri ordinamenti giuridici evoluti. Sarebbe necessario un salto di qualità nell’efficaria della repressione dei reati contro la pubblica amministrazione che, tra l’altro, costituiscono in maniera sempre più evidente il grimaldello attraverso il quale le organizzazioni mafiose riescono a penetrare il tessuto imprenditoriale, economico e politico del paese. In questo contesto appare grave la mancata ratifica delle indicazioni ricavabili dalla convenzione di Strasburgo del 1999 in tema di trasparenza nella pubblica amministrazione e di lotta alla corruzione, ciò con particolare riguardo alla mancata previsione di apposita sanzione penale per il cosiddetto “traffico di influenze” e la corruzione nell’ambito privatistico.
Non può sottacersi poi che la vera sfida per vincere definitivamente la lotta alla mafia passa da un contrasto più serio, più efficace, più rigoroso al fenomeno delle commistioni delle organizzazioni mafiose con la politica, l’imprenditoria, la pubblica amministrazione in generale. Sarebbe in tal senso di fondamentale importanza l’introduzione di una fattispecie penale che sanzioni la stipula, il raggiungimento dell’accordo politico elettorale mafioso a prescindere dalla effettiva elezione del candidato che scenda consapevolmente a patti con la mafia per ottenere i voti, ed a prescindere dalla effettiva resa dei favori promessi. Ciò servirebbe a colmare, nella repressione del fenomeno dei rapporti mafia-politica, le lacune lasciate aperte dalle attuali previsioni codicistiche del 416 bis anche nella forma del concorso esterno, e del 416 ter, norma praticamente mai applicata.
Sarebbe inoltre auspicabile la previsione nel nostro sistema normativo penale del cosiddetto reato di autoriciclaggio, che consentirebbe di punire più efficacemente proprio quegli associati mafiosi che all’interno della consorteria criminale rivestono lo specifico incarico di reinvestire i capitali sporchi in circuiti apparentemente legali.
Molte, e tutte degne di approfondimento sarebbero le tematiche che vorrei rappresentare in nome della Giunta e di tutti i Magistrati del Distretto: non è possibile in considerazione dei limiti di tempo imposti dall’occasione.
Voglio chiudere il mio intervento con una promessa e con una esortazione: siamo ben consapevoli della peculiarità del lavoro di chi opera in questo territorio, in questo Distretto: i Magistrati del distretto di Palermo sono quelli che hanno pagato in termini più alti, anche con il sangue dei tanti Colleghi uccisi, la volontà di affermare la legalità e il diritto. Ciò ci deve gravare sempre di ulteriori responsabilità.
È un momento particolarmente delicato per la tenuta del nostro sistema democratico, è il momento di debellare il pericoloso tarlo del disincanto e della rassegnazione, è il momento di intensificare il nostro impegno quotidiano nell’esercizio della giurisdizione nell’esclusivo interesse del popolo e guidati da un unico, insostituibile riferimento: la difesa dei valori costituzionali accompagnata dallo sforzo di contribuire, anche con l’esercizio della giurisdizione, alla loro piena ed effettiva attuazione.
La Costituzione non va modificata, la Costituzione dev’essere ancora pienamente attuata, anche con lo sforzo della giurisdizione, nei limiti che ci competono.
Grazie.”

Trascrizione a cura di Adriana Castelli non riveduta dal Relatore

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