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Il magistrato Olindo Canali condannato a due anni di reclusione per falsa testimonianza PDF Stampa E-mail
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Scritto da Enrico Di Giacomo   
Mercoledì 14 Marzo 2012 18:58

14 marzo 2012. IL MAGISTRATO OLINDO CANALI, ASSISTITO DALL’AVVOCATO FABRIZIO FORMICA, E’ STATO CONDANNATO DAL GUP CINZIA BARILLA’ A DUE ANNI DI RECLUSIONE PER FALSA TESTIMONIANZA, SENZA L’AGGRAVANTE MAFIOSA, COMMESSA NEL 2009 INNANZI ALLA CORTE D’ASSISE D’APPELLO DI MESSINA NEL PROCESSO MARE NOSTRUM. NEL PROCESSO PARALLELO, LO STESSO GUP HA CONDANNATO IL CAPOMAFIA DI BARCELLONA P. G. GIUSEPPE GULLOTTI A DUE ANNI DI RECLUSIONE PER MINACCIA, CON L’AGGRAVANTE MAFIOSA, ALLA CORTE D’ASSISE D’APPELLO DI MESSINA IN SEGUITO ALLE DICHIARAZIONI SPONTANEE RESE DA IMPUTATO SEMPRE DURANTE IL PROCESSO MARE NOSTRUM. IL BOSS GIUSEPPE GULLOTTI E’ STATO ANCHE CONDANNATO AL RISARCIMENTO DEI DANNI NEI CONFRONTI DELL’AVVOCATO FABIO REPICI, CHE SI ERA COSTITUITO PARTE CIVILE.

Enrico Di Giacomo



I FATTI

IL PROCESSO AL GIUDICE CANALI

La storia è quella ormai nota del memoriale scritto nel lontano 2006 e delle sue presunte “duplicazioni”. Il giorno in cui avvenne tutto è quello della sua deposizione in aula, il 15 aprile del 2009. L’11 gennaio si è aperto a Reggio Calabria il processo per il magistrato milanese Olindo Canali, per tanti anni in servizio alla Procura di Barcellona Pozzo di Gotto, che rispondeva dell’accusa già cristallizzata in una richiesta di rinvio a giudizio nei mesi scorsi del collega della Dda di Reggio Calabria Federico Perrone Capano, controfirmata dal procuratore capo Giuseppe Pignatone. Si tratta di falsa testimonianza «con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare l’attività dell’associazione di tipo mafioso denominata Cosa nostra ed in particolare della sua articolazione di Barcellona Pozzo di Gotto, facente capo a Gullotti Giuseppe». Quindi viene anche contestata l’aggravante prevista dall’articolo 7 della legge n. 203/1991. La falsa testimonianza, ha scritto il sostituto della Dda reggina Perrone Capano, sarebbe stata commessa nel corso della seconda parte della deposizione che Canali fece il 15 aprile del 2009 davanti alla corte d’assise d’appello del maxiprocesso “Mare Nostrum”, di cui tra l’altro il magistrato milanese era stato pubblico ministero in primo grado, applicato per questo alla Distrettuale antimafia. E si sarebbe concretizzata con una condotta specifica, perché nel corso della testimonianza resa in aula, Canali «negava il vero sostenendo di non aver redatto, nel periodo immediatamente successivo alle festività natalizie 2005, documenti e memoriali, relativi all’omicidio Alfano, diversi ed ulteriori rispetto al file inviato per posta elettronica al giornalista Leonardo Orlando e negava il vero sostenendo di non aver ricevuto confidenze da Beppe Alfano in merito all’omicidio in danno di Giuseppe Iannello». Quindi avrebbe negato l’esistenza di più memoriali. L’ex pm sostenne l’accusa nel corso del processo di primo grado per la morte del cronista de “La Sicilia”, e proprio con Alfano ebbe una costante frequentazione proprio fino alla mattina di quell’8 gennaio del 1993. La deposizione che costituisce il canovaccio dell’accusa si tenne in due parti nel corso del maxiprocesso d’appello “Mare Nostrum” a capi e gregari della mafia tirrenica, il 6 e il 15 aprile del 2009. E fu praticamente necessitata dal fatto che qualche tempo prima nel corso di una precedente udienza alcuni difensori avevano chiesto di mettere agli atti un memoriale pervenuto al loro studio in forma anonima. Solo in un secondo momento Canali riconobbe la paternità del memoriale, e la corte d’assise d’appello decise di sentirlo in aula, acquisendo il documento agli atti.
 

IL PROCESSO AL BOSS GULLOTTI
Il processo al boss Gullotti è stato originato da una lunga e dettagliata relazione di servizio che il 13 marzo del 2009 scrisse il sostituto della Dda messinese Fabio D’Anna, uno dei magistrati che rappresentò l’accusa al maxiprocesso “Mare Nostrum”, sia in primo grado sia in appello, in questo caso accanto al collega della Procura generale peloritana Salvatore Scaramuzza. L’atto il pm D’Anna lo inviò al capo del suo ufficio, Guido Lo Forte, e il procuratore di Messina lo girò per competenza ex art. 11 c.p.c. al collega di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone. In quella relazione il pm D’Anna segnalava tra l’altro al capo del suo ufficio la vicenda del memoriale di Canali e la lunga deposizione del boss Gullotti («… ha concluso le sue dichiarazioni formulando quelle che, almeno a mio avviso ma questa è stata l’impressione di tutti i presenti, sono state delle vere e proprie minacce nei confronti di tutti…»).


Fonte: il sito del giornalista Enrico Di Giacomo






 

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