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Confronto in aula tra il Sisde di Obinu e Narracci e il bruciato Cervone PDF Stampa E-mail
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Scritto da Leo Amato   
Venerdì 06 Aprile 2012 17:00
L’ex capo divisione Obinu: «Cervone non doveva prendere il cd-rom da Cossidente»

05/04/2012 POTENZA - «C’era una conoscenza pregressa tra me e il dottor Montemurro per ragioni di servizio. Quando ho saputo del contenuto di quel cd-rom, in cui c’erano anche informazioni sulle misure di sicurezza adottate per i magistrati della Dda di Potenza, e nei suoi confronti in particolare, ne ho parlato con il direttore e il vicedirettore che mi hanno dato incarico di consegnargli tutto». E così è stato. Tempo qualche mese e l’agente che aveva recuperato una copia dell’hard disk trafugato dal comando dei carabinieri di via Pretoria sarebbe stato “bruciato”. L’identità del suo informatore sarebbe stata rivelata agli uomini del clan finiti nel blitz di una grossa operazione nel melfitano. Chi parla è il colonnello Mauro Obinu, all’epoca dei fatti - luglio del 2003 - capo della divisione crimine organizzato del Sisde. Ieri era in aula a Potenza sul banco dei testimoni nel processo contro il boss pentito Antonio Cossidente, accusato di ricettazione per aver consegnato quel cd nelle mani dell’ex 007 Nicola Cervone.
Si sono reincontrati dopo quasi dieci anni: Obinu, Cervone, e l’ex capo centro del Sisde di Napoli e Potenza, Lorenzo Narracci. Si sono scrutati a lungo senza nemmeno scambiarsi un cenno di saluto e hanno risposto alle domande del pm Francesco Basentini.
Il primo a parlare è stato Narracci, l’unico ancora in servizio dei tre, benchè i saluti dei numerosi militari dell’Arma in processione al secondo piano del Palazzo di giustizia per tutta la mattina (all’ora di pranzo si è visto anche il comandante regionale Mauro Cipolletta) siano stati rivolti innanzitutto al colonnello, che all’inizio degli anni ‘90 ha fatto parte del nucleo originale del Ros assieme al generale Mario Mori.
«A luglio del 2003 - ha spiegato Narracci - ero in servizio a Napoli ma c’era da accorpare il centro operativo del Sisde di Potenza e sono venuto per risolvere alcune questioni logistiche. Mi venne sottoposta, forse perchè ero il più alto in grado, una relazione indirizzata al responsabile di allora in cui si parlava di un informatore occasionale che asseriva che la criminalità organizzata locale godesse dei favori dell’autorità giudiziaria, e a riprova di questo aveva presentato un cd-rom che conteneva documentazione su sistemi di sicurezza, caserme dei carabinieri, stralci d’intercettazioni, password e altro. L’autore era Nicola Cervone e diceva che il cd gli era stato consegnato da Antonio Cossidente, ma si faceva riferimento anche ad altre due persone: Stefanutti e Cassotta». Anche loro avrebbero avuto copia del disco, perciò Narracci («ritenendo questa documentazione sensibile per la sicurezza nazionale e una potenziale minaccia perchè c’era l’indicazione dei sistemi di tutela adottati per i magistrati della Dda di Potenza») avrebbe informato i suoi superiori. «Il direttore di allora, che era il prefetto Mori, decise di fissare immediatamente un incontro con l’antimafia di Potenza per riferire e consegnare quel corpo di reato, come fu fatto»
Tra le altre cose finirono sulla scrivania del pm Vincenzo Montemurro (oggi in servizio a Salerno) alcuni appunti a firma di Cervone con le rivelazioni di Cossidente. In uno si parlava di un informatore al soldo del boss di Melfi Marco Ugo Cassotta, che gli passava notizie sulle indagini sul suo conto. E in un altro degli affari del clan guidato da Renato Martorano nel capoluogo, gli stessi sui quali proprio quel pm stava indagando da quasi tre anni con il Ros dei carabinieri, e che avrebbero portato ai 52 arresti del 24 novembre del 2004 - nemmeno 15 mesi dopo - nel blitz dell’operazione Iena2, per cui è ancora in corso a tutt’oggi il processo di primo grado.
Dopo Narracci ha preso la parola il colonnello Obinu, ufficiale di carriera dai modi spartani, che all’appello aveva tuonato «presente» facendo riecheggiare le pareti dell’aula. «In un’occasione prima del 2003 avevo già incontrato Cervone, poi venni a Potenza per informare la Dda della vicenda del cd-rom. Narracci mi aveva avvisato della situazione e appresa natura e la maniera atipica di acquisizione di quelle informazioni i miei superiori disposero la consegna» Obinu ha raccontato che già allora ricordava il nome di Cossidente per averne sentito parlare a proposito dei basilischi quando era ancora in servizio nell’Arma, e ha spiegato che secondo la «mission» dei servizi segreti dell’epoca, che comprendeva anche l’infiltrazione nel crimine organizzato, contattare un boss di quel calibro rientrava appieno nei compiti che un agente come Cervone avrebbe dovuto adempiere su mandato del suo superiore diretto. Altrettanto lecita sarebbe stata l’offerta di una contropartita in denaro: «Si tratta di instaurare un rapporto confidenziale tra un soggetto istituzionale e un soggetto istituzionalmente utile. Non so se un’offerta ci fosse già stata ma può accadere».
Per ultimo è stato interrogato anche lui, Nicola Cervone, l’ex 007 finito di recente al centro dell’ultima inchiesta degli inquirenti di Catanzaro sulle toghe lucane come l’autore di un anonimo in cui il pm Henry John Woodcock e un suo stretto collaboratore venivano accusati di una serie di fughe di notizie clamorose. Quell’esposto, secondo l’accusa, avrebbe fatto parte di un piano di delegittimazione dei magistrati “scomodi” per l’estabilishment politico-imprenditoriale lucano, e la contropartita per Cervone sarebbe stato il rientro nei servizi dopo la sua fuoriuscita a seguito proprio della vicenda del cd. «Ho deciso di agganciare Cossidente - ha spiegato Cervone - la mattina dell’omicidio di Domenico Petrilli. Mi recai a Rapolla e trovai tra gli altri un militare del Nucleo operativo dei carabinieri con cui pochi mesi prima avevamo sequestrato un arsenale a Melfi, Giovanni De Maio. Mi propose lui di contattare Cossidente che aveva il proposito di parlare con qualcuno senza l’obbligo di verbalizzare e contattare la magistratura».
Lo 007 voleva saperne di più dei sommovimenti della mala dopo il secondo omicidio nella zona del Vulture-Melfese in meno di cinque mesi (Petrilli era stato trucidato il 25 febbraio del 2003, mentre Rocco Delli Gatti il 14 ottobre del 2002). D’altra parte il boss dei basilischi avrebbe potuto cavarne, almeno in teoria, qualcosa per sè, per i suoi amici, e soprattutto per i suoi nemici. «Presumo che sapesse dall’inizio che ero dei servizi segreti, perchè De Maio gliel’aveva detto. Non chiese nulla al nostro primo incontro e mi lasciò registrare tutto quello che disse. Poi gli spiegai che lo avremmo potuto remunerare a seconda dell’importanza delle informazioni che ci avrebbe dato. A seguito di ogni incontro facevo una relazione. L’ultimo è stato quello in cui mi ha mostrato quel cd-rom, poi Narracci mi ordinò di congelare ogni rapporto».
Più che di «favori da parte dell’autorità giudiziaria» come aveva detto Narracci poco prima, Cervone ha chiarito che in quelle relazioni si parlava di due informatori nei carabinieri al soldo della mala, uno a Potenza e uno a Melfi.
«Dopo questa storia - ha poi spiegato al presidente del collegio Candida De Angelis - ho fatto io una richiesta palesemente irrituale per andarmene dal Sisde, ed è stata pure accolta. Non ho mai capito davvero come mai si é deciso di far saltare la mia copertura e far conoscere il nome del mio confidente, mettendo a rischio persino le mie figlie. Questa è una cosa che non era mai successa prima, e in tutto questo nonostante venissi interrogato nessuno mi ha mai svincolato dal segreto di stato. Pensare che quando ne avevo parlato con il capo centro di Salerno mi aveva detto che a Roma sarebbero stati felicissimi, perché la relazione del Sisde del primo semestre del 2003 segnalava proprio l’allarme per le infiltrazioni della ‘ndrangheta in Basilicata e avevo appena agganciato un informatore in grado di fornirmi notizie utili a riguardo».
Informazioni acquisite in maniera «atipica»? Rischi concreti per l’incolumità dei magistrati dell’antimafia di Potenza? Saranno state queste le ragioni dell’inizio di una saga velenosa tra forze dell’ordine, magistratura e servizi segreti che è arrivata fino a questi giorni, o c’è dell’altro come lascia intravedere Cervone? Difficile venirne a capo anche per un Tribunale. I giochi tra spie sono fatti così: la verità è quella di chi riesce a combinare meglio le carte.

da: IlQuotidianoDellaBasilicata.it

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