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Arrestato l'avvocato Saro Cattafi PDF Stampa E-mail
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Scritto da Redazione normanno.com   
Mercoledì 25 Luglio 2012 12:55

24 luglio 2012. Ad un anno e un  mese esatti dal primo storico blitz, è scattata stamane la terza tranche dell'operazione Gotha, l'inchiesta della Dda di Messina e dei Carabinieri sugli affari più recenti del clan di Barcellona e una lunga sequela di omicidi del passato, sino ad oggi rimasti insoluti. 
All'alba di oggi i militari del Reparto operativo speciale e del comando provinciale di Messina hanno arrestato 15 persone accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsioni, omicidio. Con Gotha 3 gli investigatori fanno luce sulla longa manus del potente clan del Longano su importanti appalti pubblici nel  messinese.
I provvedimenti cautelari sono integrati da un corposo sequestro di beni a carico degli imprenditori coinvolti nel blitz, per un ammontare stimato intorno ai 15 milioni di euro.
Le attività d’indagine sviluppate dal nucleo dei Ros, le convergenti dichiarazioni rese da più collaboratori di giustizia, su tutte quelle di Santo Gullo, Carmelo Bisognano e Teresa Truscello e le ammissioni di alcuni imprenditori edili recentemente raggiunti da provvedimenti di sequestro del patrimonio ritenuto, dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Messina, frutto dell’attività illecita del menzionato sodalizio criminale, hanno permesso di definire altri episodi estorsivi finalizzati al controllo di appalti pubblici e di attività economiche nella provincia di Messina attribuibili alla responsabilità del boss di Castroreale Giovanni Rao, cl. ’61, di Giuseppe Isgrò, cl. ’65, di Carmelo trifilò, cl. ’72, Giuseppe Ruggeri, cl. 65 e Salvatore Campanino cl. ‘64.
Sulla base delle indagini dell'operazione “Omega” condotta dal R.O.S. che, nell’anno 2003, sono scattati i provvedimenti cautelare di “Gotha III”, permettendo l'arresto di personalità ritenute organiche e componenti della “cupola” mafiosa barcellonese. 
Tra gli aspetti di maggiore rilevanza figura il triplice omicidio di Sergio Raimondi, Giuseppe Martino e Giuseppe Geraci, commessi a Barcellona Pozzo di Gotto nella notte fra il 3 ed il 4 settembre 1993, per il quale erano stati assolti con sentenza definitiva i noti esponenti mafiosi barcellonesi  Carmelo D'Amico e Salvatore Micale.

I nuovi riscontri info-investigativi raccolti, hanno consentito di fare piena e definitiva luce su quella oscura vicenda e di ritenere gravemente indiziato anche il barcellonese Antonino Calderone, all’epoca dei fatti datosi a preventiva latitanza ed in seguito tratto in arresto dal Raggruppamento, nell’ambito dell’indagine Pozzo, per altre vicende connesse alla sua appartenenza al sodalizio.
Le risultanze delle attività tecniche e dinamiche sviluppate dal ROS hanno altresì consentito di dimostrare – stando alle conclusioni del provvedimento del GIP - l’appartenenza alla mafia del noto avvocato barcellonese Saro Pio Cattafi (nella foto, ndr). Sono state infatti meticolosamente riscontrate le dichiarazioni rese da alcuni recenti ed importanti collaboratori di giustizia della mafia barcellonese e catanese, i quali hanno indicato Cattafi come soggetto apicale dell’organizzazione barcellonese e collettore fiduciario dei proventi illeciti conseguiti dai membri apicali e storici delle due citate organizzazioni mafiose.
Tale patrimonio info-investigativo ha dato riscontro alle propalazioni di altri numerosi soggetti che nel passato avevano descritto l’odierno indagato come organicamente inserito nella famiglia mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto ed intraneo alla famiglia mafiosa catanese di Cosa Nostra riconducibile a SANTAPAOLA Benedetto.

 

E’ stata fatta luce, inoltre, sull’evoluzione delle dinamiche criminali interne della famiglia mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto anche nel periodo immediatamente successivo all’arresto in provincia di Palermo di Bernardo Provenzano, quando Salvatore e Sandro Lo Piccolo, rispettivamente padre e figlio, avevano cercato di realizzare un riassetto generale di Cosa Nostra palermitana e delle sue diramazioni provinciali.
A tal proposito le indagini, hanno permesso di appurare che la famiglia mafiosa barcellonese, nonché quella dei tortoriciani riconducibile, all’epoca, a Sebastiano Bontempo Scavo, cl. ’52, sono state rappresentate – fino al momento del suo arresto - dal referente provinciale di Cosa Nostra  Tindaro Calabrese, ritualmente affiliato dai menzionati Lo Piccolo, in deroga all’assetto preesistente che ha storicamente visto interloquire i rappresentanti dei sodalizi mafiosi messinesi con Cosa Nostra tramite i Santapaola di Catania o tramite il mandamento mafioso di San Mauro Castelverde per mezzo del defunto rappresentante mistrettese Sebastiano Rampulla.
Tindaro Calabrese ha quindi continuato a reggere l’articolazione criminale dei mazzarroti del sodalizio barcellonese controllando le attività criminali nell’ambito del proprio territorio (ed a tal proposito sono state documentate le infiltrazioni nel Comune di Mazzarrà Sant’Andrea presso il quale ha prestato servizio il tecnico comunale Roberto Ravidà, anch’egli tratto in arresto, ed ha rappresentato un punto di riferimento per Cosa Nostra nella Provincia di Messina.
In tale ottica è stata documentata la vicenda della latitanza a Capo d’Orlando (ME) di Gaspare Pulizzi, uomo di fiducia della famiglia dei Lo Piccolo nonché reggente della famiglia mafiosa di Carini (PA).
Risulta dalle indagini che costui sia stato ospitato per alcuni giorni del mese di luglio del 2007 nella citata località turistica con il pieno appoggio e la copertura logistica del Tindaro Calabrese, individuata tramite il noto imprenditore Giovanni Bontempo, anche quest’ultimo tratto in arresto con l’odierna misura cautelare. Il Bontempo, oltre a fornire appoggio per conto di Cosa Nostra, ha operato imprenditorialmente in sinergia con il sodalizio mafioso barcellonese e con quello tortoriciano mettendo a disposizione la propria attività professionale al servizio della criminalità organizzata durante il periodo della reggenza di Tindaro Calabrese ed in epoca successiva, anche grazie all’intervento di Tindaro Calabrese, altro imprenditore già tratto in arresto nel giugno del 2011 con l’operazione Pozzo II del R.O.S. Per tali ragioni Bontempo è stato raggiunto da una misura cautelare di tipo patrimoniale che ha interessato buona parte degli illeciti profitti accumulati nel corso degli anni grazie alla mafia ed alle connivenze di alcuni importanti funzionari di banca, tra i quali Sergio D'Argenio della Banca Popolare di Lodi, anch’egli arrestato.

 

Contestualmente, la misura cautelare emessa dal G.I.P. del Tribunale di Messina Dott. Massimiliano Micali ha riguardato anche Carmelo Giambò, noto esponente mafioso già tratto in arresto con l’operazione Gotha in quanto ritenuto responsabile dell’omicidio di Antonio Ballarino (i cui resti erano stati rinvenuti sepolti in località Piano Gorne del Comune di Mazzarrà Sant’Andrea), Giusi Lina Perdichizzi, moglie di Giambo’, e Giuseppe Triolo, ritenuti responsabili di intestazione fittizia dei beni finalizzata all’elusione della normativa antimafia e per questo raggiunti da contestuale provvedimento di sequestro del patrimonio mobiliare ed immobiliare.

Fonte: www.normanno.com



 


Fonte: Antenna del Mediterraneo



Gli insospettabili amici dell’avvocato Rosario C.

Biografia non autorizzata del vero dominus dell’affaire Parco commerciale di Barcellona Pozzo di Gotto che tanto inquieta il vicepresidente del Senato Domenico Nania e l’intera amministrazione comunale a rischio di scioglimento per infiltrazione mafiosa.

Rosario Pio Cattafi è inserito a pieno titolo, in una posizione di preminenza rispetto a quello dei singoli affiliati, in alcune organizzazioni criminali di tipo mafioso, quali la famiglia di Benedetto Santapaola e la famiglia di Barcellona Pozzo di Gotto”. Il 21 luglio del 2000, il Tribunale di Messina delineava il profilo criminale di quello che da lì a poco sarebbe divenuto l’ideatore-tessitore del grande affaire del parco commerciale del Longano. Una “persona socialmente pericolosa”, contro cui veniva emessa la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza con obbligo di soggiorno nel Comune di Barcellona, per la durata di cinque anni. “Numerosi collaboratori di giustizia, tra i quali spiccano Angelo Epaminonda e Maurizio Avola hanno indicato Cattafi come personaggio inserito in importanti operazioni finanziarie illecite e di numerosi traffici di armi, in cui sono emersi gli interessi di importanti organizzazioni mafiose quali, oltre alla cosca Santapaola, le famiglie Carollo, Fidanzati, Ciulla e Bono”, aggiungevano i giudici peloritani. Sei anni più tardi i membri della commissione prefettizia inviata per indagare sulle infiltrazioni mafiose al Comune, avrebbero descritto il Cattafi come “una delle figure più emblematiche mediante il quale la città di Barcellona diventa il crocevia, snodo nevralgico e luogo di convergenza ove si intersecano gli interessi della mafia catanese e palermitana, intrecciandosi con imponenti operazioni finanziarie e di illeciti traffici che portano fino alla lontana Milano”.

Da giovanissimo aveva militato nelle file della destra eversiva “rendendosi protagonista nell’ambiente universitario messinese di alcuni pestaggi (unitamente al mistrettese Pietro Rampulla, l’esperto artificiere della strage di Capaci), risse aggravate, danneggiamento, detenzione illegale di armi”. Erano gli anni in cui si stringeva nel capoluogo dello Stretto un’inedita alleanza tra neofascisti, ‘ndrangheta, massoneria deviata e misteriose organizzazioni paramilitari. “L’Italia come il Portogallo di Salazar, la Spagna di Franco e la Grecia dei colonnelli” era la parola d’ordine. Tra i protagonisti dei raid nelle aule accademiche e alla casa dello Studente spiccavano alcuni militanti di Ordine Nuovo, “movimento culturale” che a Messina era ospitato nella sede del Msi-Dn. Vicereggente provinciale del Fuan, l’organizzazione universitaria del partito di Almirante, era al tempo Rosario Cattafi. “Questo personaggio ha origini ordinoviste”, spiegò nel 1995 l’allora Procuratore della Repubblica di Firenze Pierluigi Vigna ai membri della Commissione parlamentare antimafia presieduta dall’onorevole Parenti. Ancora più netti i militari del Gruppo Investigativo Criminalità Organizzata (GICO) della Guardia di finanza di Firenze. “Prima di far parte di Cosa Nostra, al tempo in cui frequentava l’Università di Messina, Cattafi era un terrorista”, scrissero il 3 aprile 1996 in un’informativa su un presunto traffico di armi a livello internazionale.

Trasferitosi in Lombardia a metà degli anni ’70, Cattafi fu sospettato di essere stato uno dei capi di una presunta associazione operante a Milano, responsabile del sequestro, nel gennaio 1975, dell’imprenditore Giuseppe Agrati, rilasciato dopo il pagamento di un riscatto miliardario. All’organizzazione fu anche contestata la compartecipazione nei traffici di stupefacenti e nella gestione delle case da gioco per conto delle famiglie mafiose siciliane. Nei primi anni ’80, il barcellonese si sarebbe attivato in vista del trasferimento di una partita di cannoni “Oerlikon” a favore dell’emirato di Abu Dhabi. I documenti sulla transazione di materiale bellico furono scoperti nel corso di un’inchiesta della procura meneghina interessata a verificare se dietro un suo viaggio a Saint Raffael c’era l’obiettivo di “stipulare per conto della famiglia Santapaola un accordo con i Greco per la distribuzione internazionale di stupefacenti”. Le indagini consentirono di accertare che il Cattafi aveva avuto accesso a numerosi e cospicui conti correnti in Svizzera e che aveva tenuto “non meglio chiariti rapporti” con presunti appartenenti ai servizi segreti.

Nell’agosto del 1993 fu indicato in una nota della Squadra Mobile di Messina quale fornitore di materiale esplodente e di armi ai sicari della cosca barcellonese ed “uno dei maggiori esponenti del clan”. L’1 settembre dello stesso anno la sua abitazione fu oggetto di perquisizione su decreto emesso dalla Procura di Messina nell’ambito di un procedimento penale per traffico internazionale di armi, associazione per delinquere, truffa e corruzione, nel quale egli risultava coindagato unitamente al re dei casinò delle Antille olandesi Saro Spadaro e al faccendiere italo-peruviano Filippo Battaglia. Il procedimento fu avocato dalla Procura di Catania che rinviò a giudizio il solo Battaglia (poi assolto). Rosario Cattafi fu invece tratto in arresto il 9 ottobre 1993 in esecuzione di un ordine di cattura emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze, nell’ambito dell’inchiesta sull’autoparco della mafia di via Salomone a Milano. Dopo una condanna in primo grado a 11 anni e 8 mesi per associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti (4 anni scontati nel carcere di Opera), la sentenza fu annullata per un vizio procedurale. Rifatto il processo, Cattafi venne assolto perché in sede dibattimentale furono dichiarate inutilizzabili le intercettazioni ambientali che avevano documentato le sue frequentazioni dell’autoparco. In una delle intercettazioni, il 16 settembre 1992, Cattafi si vantava di avere avuto modo di assistere ad un importantissimo summit mafioso, tenutosi probabilmente ad Erice, durante il quale venne deliberato un patto chiamato accordo delle cinque monete. “Sembra che il Cattafi voglia riferirsi a quanto raccontato a suo tempo anche a Franco Carlo Mariani e cioè di aver assistito ad un convegno a cui avevano partecipato gli esponenti di cinque mafie mondiali (siciliana, marsigliese, nordamericana, sudamericana e cinese)”, spiegano gli uomini del GICO.

Del barcellonese si occupò poi la Procura di La Spezia nell’ambito dell’inchiesta su un grosso traffico di armi delle società Oto Melara, Breda ed Augusta con paesi sottoposti ad embargo. Nel 1998 fu invece sottoposto ad indagini (anch’esse poi archiviate) da parte delle Procure di Caltanissetta e Palermo sui cosiddetti “mandanti occulti” della strategia stragista del 1992-93. Nel procedimento (Sistemi Criminali), il nome di Cattafi comparve accanto ai boss mafiosi Salvatore Riina e Nitto Santapaola, al patron della P2 Licio Gelli, all’ordinovista Stefano Delle Chiaie e a Filippo Battaglia. Sugli indagati, il sospetto di “avere, con condotte causali diverse ma convergenti, promosso, costituito, organizzato, diretto e/o partecipato ad un’associazione avente ad oggetto il compimento di atti di violenza con fini di eversione dell’ordine costituzionale, allo scopo - tra l’altro - di determinare le condizioni per la secessione politica della Sicilia e di altre regioni meridionali dal resto d’Italia…”. Un rapporto della D.I.A. (1994) aveva segnalato contatti telefonici fra le utenze utilizzate dal Cattafi “con soggetti riconducibili a Licio Gelli e Stefano Delle Chiaie, fra la fine del 1991 e gli inizi del 1992”.

A rafforzare l’immagine e il potere del presunto “capo dei capi” della mafia messinese, le amicizie con politici, parlamentari, giudici e imprenditori. È stato ancora il GICO di Firenze ad abbozzare la lista dei contatti “eccellenti”. “Sulla base degli elementi desumibili dalla documentazione sequestrata, Cattafi frequentava circoli e club sia a Milano che a Barcellona, potendo così incrementare il numero delle conoscenze utili... Risultava interessato in particolare all’attività del “Circolo Corda Fratres” di Barcellona, il cui rappresentante, Antonio Franco Cassata, risulta rappresentante anche della “Ouverture–Associazione Italia-Benelux” e del “Comitato Organizzativo Premio Letterario Nazionale Bartolo Cattafi”. “In merito all’attività di tali associazioni e circoli – aggiungevano gli inquirenti - apparirebbe opportuno maggiormente indagare essendo tali attività, sovente, mezzo di copertura a congreghe massoniche coperte, atteso anche che notizie informative indicano il Cattafi appartenere a tali consorterie”.

Venivano inoltre segnalati i legami con l’on. Dino Madaudo (Psdi), al tempo sottosegretario al Ministero delle Finanze e successivamente sottosegretario alla Difesa con delega all’Arma dei Carabinieri. “Rapporti del Cattafi con amministratori pubblici sono evidenziati dai contatti telefonici peraltro frequenti con utenze intestate all’Assemblea Regionale Siciliana alla Presidenza della Regione Sicilia e Assessorato Industria. Persone legate al Cattafi sono Domenico Caliri, antiquario di Barcellona Pozzo di Gotto, l’attore Gianfranco Jannuzzo e l’avvocato Francesco Sciotto, all’epoca assessore all’Industria e appartenente allo stesso partito del Madaudo (…) Conoscenze e rapporti del Cattafi non si limitano a ciò ma spaziano da un viceprefetto di Messina (Giuseppe Rizzo) con scambi augurali attestanti fraterna amicizia, a non meglio definite conoscenze all’interno della Questura di Messina che gli avevano addirittura consentito di locare un immobile di sua proprietà in Barcellona al Ministero della Pubblica Sicurezza: difatti nell’immobile si era insediato il locale Commissariato di P.S.”.

Nella sua informativa, il GICO annotava che sulle agende del Cattafi comparivano le voci “Franco Cassata”, “Dott. Franco Cassata A.–Procura”; “Corda Fratres–Circolo”. “La prima utenza corrisponde a quella dell’abitazione del dottor Antonio Franco Cassata; la seconda agli Uffici Giudiziari di Messina e la terza all’associazione culturale di cui il Cassata risulta rappresentante legale…”. Anch’egli barcellonese, Cassata è l’odierno Procuratore generale di Messina. Secondo Il Fatto Quotidiano del 21 settembre 2011, sarebbe finito sotto indagine a Reggio Calabria per concorso esterno in associazione mafiosa. A dicembre, il Tribunale di Reggio ne ha invece ordinato il rinvio a giudizio per “diffamazione aggravata in concorso con ignoti”. Vittima, il professore Adolfo Parmaliana, morto suicida l’1 ottobre 2008 dopo aver inutilmente lottato, in solitudine, contro le tante illegalità nella vita politico-amministrativa del Comune di Terme Vigliatore.

Articolo pubblicato da Antonio Mazzeo su I Siciliani giovani, n. 1, gennaio 2012










 

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