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Il male oscuro dell'illegalità che trascina indietro il Paese PDF Stampa E-mail
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Scritto da Giorgio Ruffolo   
Martedì 19 Agosto 2008 11:23

"Il potere sta altrove" diceva Leonardo Sciascia. In una analisi spietata, Roberto Scarpinato, interrogato da Saverio Lodato (Il ritorno del Principe, ed. chiarelettere) lo ravvisa, in Italia, nel Principe, non quello di Gramsci (essenzialmente, il partito-guida della società, espressione suprema di una sostanziale democrazia) ma quello dei Borgia, espressione suprema della degradazione politica e civile.


Attraverso la storia d´Italia, dal Cinquecento in poi, quel Principe oscuro, che sta fuori della scena politica visibile (letteralmente, nell´oscenità) è all´opera, potenza sostanzialmente egemone, contrastata con alterna fortuna da minoranze illuminate in episodi felici di quella storia. Nel nostro tempo stiamo assistendo a un suo prepotente ritorno. Quel ritorno è segnato dall´intreccio di tre forze eversive: la corruzione, la mafia e lo stragismo. Esso trascina l´Italia fuori dall´Europa, dalla modernità e dalla democrazia.
Non si tratta affatto di una imprecazione fanatica alla Savonarola. Si tratta, purtroppo, di una analisi che poggia su una documentazione ineccepibile, tratta dall´esperienza di un magistrato di prima linea, spettatore-attore di uno scenario da cui egli, per primo, è stato sorpreso e terrificato.
In estrema sintesi, il libro-intervista denuncia il declino, anche economico, ma soprattutto civile del nostro paese, in un trionfo dell´illegalità dovuto a quell´intreccio fatale. Lo specifico italico di quell´intreccio rispetto agli altri Stati democratici moderni dell´Occidente è il coinvolgimento dello Stato nella criminalità della corruzione della mafia e dello stragismo: sicché esso finisce per svolgere un doppio ruolo: di repressione e di promozione della criminalità.
Non c´è quasi nulla, in questo libro che sia del tutto nuovo e ignoto. Di nuovo c´è la intenzione manifesta di sorvolare sulla descrizione degli episodi per coglierne la connessione; di allontanarsi dal quadro per abbracciarlo in uno sguardo d´insieme.
L´analisi è condotta, con rigore e passione politica al tempo stesso, su quelle tre correnti pesanti: la corruzione, la mafia e lo stragismo, risalendo ogni volta alle possibili cause remote, senza farsi invischiare dalle tentazioni impressionistiche dell´attualità; e soprattutto sollevando il riflettore, per quanto si può, dall´osservazione dei personaggi più evidenti e truculenti, che soggiogano l´attenzione, sviandola dalla ricerca dei livelli più elevati e decisivi; là dove si ha la sorpresa di incontrare frequentatori abituali e insospettabili della "società civile".
Impossibile e inutile riassumere. Del resto, il libro, ben scritto, si legge d´un fiato. Vorrei invece esprimere qualche riserva,
La prima riguarda proprio il Principe. È sempre fuorviante personalizzare formazioni storiche oggettive in entità soggettive. L´esempio più ovvio è il capitalismo. Si rischia di prestare alla storia una intenzionalità che può tradursi, nei casi più ingenui, in complottismo. Forse per questa ragione Marx, che era più marxista di quanto volesse far credere, non usò mai quella parola.
È vero però che in qualche occasione il complotto non fu solo sfiorato, ma concretamente progettato. Questo è avvenuto con il golpe Borghese del 1970. Questo con il cosiddetto papello, e cioè con il piano elaborato dall´ala dura della mafia tra il 1991 e il 1992, in una fase tragica per le sorti della Repubblica investita contemporaneamente dalla crisi politica di Tangentopoli e da quella economica che stava travolgendo la lira.
In quel momento terribile si discusse ai vertici di Cosa Nostra, con la partecipazione di qualche eminente personaggio dell´establishment, nientemeno che la costituzione di una Lega meridionale, parallela alla Lega Nord, disarticolando l´Italia in tre macroregioni e facendo della Sicilia "una sorta di Singapore del Mediterraneo": un paradiso off shore defiscalizzato, porto franco, capitale di tutti i capitali del mondo. In una intervista pubblicata sul "Giornale" del 20 marzo 1992, il professor Miglio, allora autorevole suggeritore della Lega Nord, dichiarò letteralmente: «Io sono per il mantenimento anche della mafia e della ‘ndrangheta... io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un´assurdità. C´è anche un clientelismo buono che determina crescita economica...». Insomma, forse non c´era un Principe. Ma molti aspiranti, sì.
La seconda riserva riguarda il ruolo che si assegna alla magistratura. Quando si afferma che lo scopo della magistratura trascende la pur ovvia funzione di «accertare la responsabilità penale di determinati imputati per specifici reati», per svolgere «anche una straordinaria opera di disvelamento al pubblico dell´oscenità del potere in Italia», si finisce per cadere nell´abuso di potere e nella illegalità che si denuncia. Non tocca ai magistrati di disvelare la politica ma di far osservare la legge.
Non mi persuade neppure il rimpianto per il venir meno di un comunismo che rappresentava, si dice, almeno una alternativa aperta. Che razza di alternativa! Ci si dimentica che l´alternativa non era il virtuoso Berlinguer, ma i cinici occupanti del Kremlino.
Queste riserve non intaccano una essenziale solidarietà con la coraggiosa denuncia di questo libro, che tanti italiani farebbero bene a leggere per scrutare nel fondo questo loro paese.
Al riguardo, bisogna reagire con forza a quella deriva tipica del trasformismo italiano, di fare di ogni erba un fascio (che è la parola giusta). Mettere sullo stesso piano la riforma e la controriforma, la rivoluzione e il termidoro, i fascisti e i partigiani perché ciascuna delle due parti si è macchiata di delitti è un posizione pilatesca che non rivela sete di giustizia ma vocazione al tartufismo.
No, tra riforma e controriforma, rivoluzione e termidoro, fascismo e Resistenza, bisogna scegliere. E tra la denuncia della corruzione dello stragismo e della mafia e quella della illegalità dei suoi eccessi, io sto decisamente per la prima. L´illegalità la prepotenza e il sopruso, e soprattutto la vile acquiescenza con cui queste nequizie sono tollerate da tanta parte della pubblica opinione italiana sono un macigno che pesa sul nostro destino.
Resta la domanda decisiva, Potrà questo paese liberarsi di questo macigno? Se rispondessi di no, tradirei le ragioni della mia appartenenza alle mie idee e al mio Paese.

GIORGIO RUFFOLO

 

In la Repubblica, 19 agosto 2008


 

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pcampoli  - Chi e' il Principe Oscuro?   |2008-08-19 14:41:01
E' molto semplice chi sia il Principe Oscuro, basta non avere i paraocchi o non
farsi condizionare da convinzioni preconcette ed essere onesti intellettualmente
: chi dirige la P2, tuttora viva e vegeta e chi a 'Sinistra' finge di combattere
la P2 ma in realta' ne e' complice e colluso.

Come faccio a fare una simile
affermazione?

Basta leggersi le 12 pagine di Introduzione del libro
"Berlusconi, inchiesta sul signor TV" Ruggeri-Guarino ed. Kaos 1994 e
porsi alcune domande ovvie come ho fatto io nel 1994, dopo aver letto quel
libro :

1- perche' durante la campana elettorale del 1994 agli elettori non
e' stato detto che fin dal 1986 non doveva essere stampato il libro
sopramenzionato, pubblicato nel marzo 1987 dagli Editori Riuniti?

2- perche'
non e' stato detto ad esempio, sempre durante quella campagna elettorale che la
tessera P2 1816 aveva offerto un assegno in bianco a Ruggeri e Guarino,
affinche' non pubblicassero il libro?

3 - perche' non si dice apertamente
cio' che Gelli ha candidamente confessato in un libro intervista (2007) e che
nessun erede del PCI-PDS-DS ha smentito : ovvero che il Migliore nel 1944 offri'
la tessera del PCI all'ex-reduce della Guerra di Spagna, poi capo della Loggia
P2.

Pietro Campoli e' stanco di sentir dire delle balle, che ad esempio
Montanelli, Biagi, Santoro, Travaglio ect,ect, sono vittime della censura
attuata dal criminale tessera P2 1816.

Chi ha messo il bavaglio ai
giornalisti sopramenzionati nel 1994?
Finiamola di offendere almeno la
dignita' delle persone e finiamola di prenderci in giro.
indio  - per nn dimenticare:   |2008-08-19 20:34:01
Bombe del 1992 e del 1993 (concorso in strage)
Le inchieste delle Procure di
Firenze e Caltanissetta sui presunti "mandanti a volto coperto" delle
stragi del 1992 (Falcone e Borsellino) e del 1993 (Milano, Firenze e Roma) sono
state archiviate per scadenza dei termini d'indagine. A Firenze, il 14 novembre
1998, il gip Giuseppe Soresina ha però rilevato come Berlusconi e Dell'Utri
abbiano "intrattenuto rapporti non meramente episodici con i soggetti
criminali cui è riferibile il programma stragista realizzato". Cioè con il
clan corleonese che da vent'anni guida Cosa Nostra, con centinaia di omicidi e
una mezza dozzina di stragi. Aggiunge il giudice fiorentino che esiste "una
obiettiva convergenza degli interessi politici di Cosa Nostra rispetto ad alcune
qualificate linee programmatiche della nuova formazione [Forza Italia]: articolo
41 bis, legislazione sui collaboratori di giustizia, recupero del garantismo
processuale asseritamente trascurato dalla legislazione dei primi anni 90".
Poi aggiunge che, nel corso delle indagini, addirittura "l'ipotesi iniziale
[di un coinvolgi- mento di Berlusconi e dell'Utri nelle stragi] ha mantenuto e
semmai incrementato la sua plausibilità". Ma purtroppo è scaduto "il
termine massimo delle indagini preliminari" prima di poter raccogliere
ulteriori elementi. Il gip di Caltanissetta Giovanni Battista Tona ha scritto:
"Gli atti del fascicolo hanno ampiamente dimostrato la sussistenza di varie
possibilità di contatto tra uomini appartenenti a Cosa Nostra ed esponenti e
gruppi societari controllati in vario modo dagli odierni indagati [Berlusconi e
Dell'Utri]. Ciò di per sé legittima l'ipotesi che, in considera- zione del
prestigio di Berlusconi e Dell'Utri, essi possano essere stati individuati dagli
uomini dell'organizzazione quali eventuali nuovi interlocutori". Ma "la
friabilità del quadro indiziario impone l'archiviazione". C'è, infine, la
sentenza della Corte di Assise di Appello di Caltanissetta, che il 23 giugno
2001 ha condannato 37 boss mafiosi per la strage di Capaci: nel 14 capitolo
intitolato esplicitamente "I contatti tra Salvatore Riina e gli on.
Dell'Utri e Berlusconi", si legge che è provato che la mafia intrecciò con
i due "un rapporto fruttuoso quanto meno sotto il profilo economico".
Talmente fruttuoso che poi, nel 1992, "il progetto politico di Cosa Nostra
sul versante istituzionale mirava a realizzare nuovi equilibri e nuove alleanze
con nuovi referenti della politica e dell'economia". Cioè a "indurre
nella trattativa lo Stato ovvero a consentire un ricambio politico che,
attraverso nuovi rapporti, assicurasse come nel passato le complicità di cui
Cosa Nostra aveva beneficiato".
indio   |2008-08-19 20:38:36
Ma "la friabilità del quadro indiziario impone l'archiviazione". C'è,
infine, la sentenza della Corte di Assise di Appello di Caltanissetta, che il 23
giugno 2001 ha condannato 37 boss mafiosi per la strage di Capaci: nel 14
capitolo intitolato esplicitamente "I contatti tra Salvatore Riina e gli on.
Dell'Utri e Berlusconi", si legge che è provato che la mafia intrecciò con
i due "un rapporto fruttuoso quanto meno sotto il profilo economico".
Talmente fruttuoso che poi, nel 1992, "il progetto politico di Cosa Nostra
sul versante istituzionale mirava a realizzare nuovi equilibri e nuove alleanze
con nuovi referenti della politica e dell'economia". Cioè a "indurre
nella trattativa lo Stato ovvero a consentire un ricambio politico che,
attraverso nuovi rapporti, assicurasse come nel passato le complicità di cui
Cosa Nostra aveva beneficiato".

IL LODO ALFANO HA FATTO IL RESTO
indio  - re:   |2008-08-19 20:48:05
Ma "la friabilità del quadro indiziario impone l'archiviazione".
C'è, infine, la sentenza della Corte di Assise di Appello
di Caltanissetta, che il 23 giugno 2001 ha condannato 37 boss mafiosi
per la strage di Capaci: nel 14 capitolo intitolato esplicitamente "I
contatti tra Salvatore Riina e gli on. Dell'Utri e Berlusconi", si
legge che è provato che la mafia intrecciò con i due "un
rapporto fruttuoso quanto meno sotto il profilo economico".
Talmente fruttuoso che poi, nel 1992, "il progetto politico di Cosa
Nostra sul versante istituzionale mirava a realizzare nuovi equilibri
e nuove alleanze con nuovi referenti della politica e dell'economia".
Cioè a "indurre nella trattativa lo Stato ovvero a consentire un
ricambio politico che, attraverso nuovi rapporti, assicurasse come nel
passato le complicità di cui Cosa Nostra aveva beneficiato".

IL
LODO ALFANO HA FATTO IL RESTO

Fonte:
" BERLUSCONI "
di
Marco Travaglio e Peter Gomez
Antonietta  - mafia e politica   |2008-08-20 19:50:15
se un ministro del penultimo governo Berlusconi affermava che con la mafia
bisogna convivere,è chiaro che le stragi furono fatte non solo per interessi
mafiosi quant'anche perchè erano in pericolo poteri superiori a cui stavano
arrivando con le loro indagini Falcone e Borsellino.

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