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Questione giustizia : riforme o rivalse? PDF Stampa E-mail
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Scritto da Enzo Guidotto   
Mercoledì 27 Agosto 2008 22:59
 Nell’autunno del 1997, mentre il Governo francese, in nome di una maggiore indipendenza della magistratura, proponeva all’Assemblea Nazionale di ridisegnare l’ordinamento giudiziario secondo l’attuale modello italiano, la nostra Commissione Bicamerale varava un progetto di riforma costituzionale all’insegna dell’ ambiguità che prevedeva, tra l’altro, il controllo politico della funzione del Pubblico Ministero.
 In quell’occasione, il dottor Vittorio Borraccetti, segretario di “Magistratura democratica”, in un articolo pubblicato sul settimanale “Avvenimenti” (12 novembre 1997) effettuò questa serena analisi nella quale, oltre a richiamare gli addetti ai lavori alla coerenza, mise in evidenza i rischi che una prospettiva del genere poteva comportare in Italia, un Paese in cui il mondo è caratterizzato da un preoccupante tasso di inquinamento da mafia e corruzione alimentato da gruppi di pressione e poteri criminali e occulti che continuano a minacciare seriamente la legalità e la democrazia. Non a caso le riforme previste dal progetto erano analoghe a quelle auspicate negli anni Settanta dalla P2 nel settore giustizia, ampiamente illustrate nel “Piano di rinascita”, per l’attuazione del quale gli affiliati - alcuni dei quali hanno ancora ruoli di primo piano nelle istituzioni - avrebbero potuto contare su vari personaggi della cosiddetta “prima Repubblica”, quasi tutti inquisiti per mafia e corruzione. I nomi più significativi che figurano nel documento sono quelli di Giulio Andreotti e Bettino Craxi.
 La ripubblicazione di questo articolo ha lo scopo non di dare una mano al ministro Alfano ed allo schieramento politico che rappresenta, ma di far capire che sul tema giustizia la posizione del centrodestra di oggi, sotto vari aspetti, non è molto diversa da quella del centrosinistra di ieri (1996-2001).
 
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“AVVENIMENTI” 12 novembre 1997
Giustizia in Bicamerale : riforme o rivalse?
«COSI’, PER COSTITUZIONE E DI FATTO, SI SEPARANO I PM DAI GIUDICI»
Due CSM? “Il senso di quelle proposte è la separazione delle carriere e il controllo politico della funzione di PM”
 
    Passata la breve euforia del favore, apparentemente generale, per Tangentopoli da una parte e la altrettanto breve stagione di indignazione generale seguita alle stragi siciliane, che avevano accompagnato e sostenuto le iniziative della magistratura contro la corruzione e la mafia, hanno paino piano ripreso vigore le vecchie posizioni ostili ad un intervento giudiziario che non abbia riguardi per gli assetti e gli equilibri del potere dei partiti e degli affari.
 Non si può certo negare che esistessero questioni gravi riguardanti la giustizia : dalla crisi ormai decennale di funzionalità ed efficienza, riguardante soprattutto il settore civile, ai problemi di un processo penale che, riformato nel 1989, aveva subìto una serie di interventi di modifica ad opera della Corte costituzionale e del legislatore, che ne avevano mutato l’originario impianto tendenzialmente accusatorio, e si caratterizzava ormai per un forte equilibrio a favore del pubblico ministero.
 Così come esisteva il problema di riformare l’accesso in magistratura, di disciplinare in modo più incisivo le modalità di valutazione e le progressioni in carriera del magistrati per fronteggiare le sacche di inefficienza, di ignavia, di vera e propria corruzione. Dunque, tante ed incisive riforme erano - e restano - necessarie per rendere il sistema giudiziario in grado di assicurare ai cittadini un servizio di qualità, di garantire in altre parole presto e bene la tutela dei diritti. Ma quando è giunto il momento in cui la politica ha voluto riformare la giustizia, non ha affrontato questi problemi, non ha posto mano a queste riforme. Si è occupata invece di modificare l’assetto della magistratura nell’ordinamento costituzionale, in una direzione che è quella della limitazione dell’indipendenza.
 In tale direzione si muovevano da anni alcuni determinati settori politici ostili alla magistratura, che avevano da tempo colto nei giudici e nei pubblici ministeri un ostacolo ai progetti di “governabilità”, intesa quest’ultima come esercizio di potere libero da controlli di legalità. L’occasione della riforma della Costituzione è stata dunque colta da quei settori, che se pure momentaneamente sconfitti non avevano rinunciato ai loro progetti, per operare interventi che impedissero o quanto meno rendessero molto più difficile per il futuro l’estensione di indagini, come quelle del pool di Milano o come quelle delle Procure antimafia, a protagonisti di primo piano della vita politica ed economica.
 Quella volontà di rivincita è stata purtroppo accompagnata da posizioni se non di condiscendenza almeno di non netta opposizione da parte di altri settori politici, anche di sinistra, troppo sensibili al fastidio provocato da innegabili fenomeni di protagonismo negativo da parte di magistrati. È anche vero che vi sono stati comportamenti di magistrati arroganti e vessatori, di cui anche politici di sinistra hanno fatto le spese ; ma alla politica e alla cultura democratica e progressista si deve chiedere di essere capace di distinguere aspetti sgradevoli e ingiusti del comportamento di determinati uffici e singoli magistrati, dall’azione complessiva svolta dalla magistratura penale in questi ultimi anni con effetti benefici per la collettività. In tema di riforma è soprattutto a quest’ultimo aspetto che si doveva e si deve guardare impegnandosi a salvaguardare le condizioni istituzionali che quell’azione avevano reso possibile.
 Soprattutto se si è consapevoli del grado intollerabile dell’illegalità e della criminalità organizzata nel nostro Paese. Così non è stato. Si è diffusa come luogo comune l’idea che la magistratura dovesse fare un passo indietro, mentre semmai era la politica a dover fare un passo avanti nell’impegno anticorruzione e antimafia. Nessun passo indietro era infatti possibile per perseguire gravi delitti che continuavano a venire commessi. Che non vi fosse bisogno di alcuna riforma costituzionale per la giustizia era stato scritto dall’Ulivo nel proprio programma elettorale ed era stato più volte ripetuto dal segretario e da altri autorevoli leader del Pds. Ma alla fine la giustizia è diventata tema centrale delle discussioni in Bicamerale, la materia su cui più difficile è stato trovare un accordo, quella che più ha impegnato il leader dell’opposizione.
 Ne è uscito un progetto di revisione costituzionale il cui segno innegabile è quello della limitazione dell’indipendenza della magistratura. Come è stato osservato da altri, la magistratura è stata trattata dai nuovi costituenti non come un organo di garanzia, del quale ci si occupa per assicurarne l’indipendenza, sottraendolo ai possibili condizionamenti delle maggioranze di governo e dall’influenza degli altri poteri, ma come un corpo di funzionari potenzialmente pericolosi, la cui indipendenza deve essere limitata e sorvegliata.
 Il senso completo delle proposte di riforma inserite nel progetto - che prevedevano il ridimensionamento del ruolo del CSM, la modifica della giurisdizione disciplinare e la separazione delle carriere dei magistrati, ndr - è il controllo della funzione di Pubblico Ministero da parte del potere politico. Il vero obiettivo enunciato decenni fa da chi rifiuta il primato della legge quando si tratta di politica ed economia.
 
 Dottor Vittorio Borraccetti
Sostituto procuratore presso la Direzione Nazionale Antimafia
 
 (Ora procuratore capo a Venezia ndr)
 
 
 

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