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Alfano cronista scomodo all’ombra della trattativa PDF Stampa E-mail
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Scritto da Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza   
Mercoledì 09 Gennaio 2013 20:37
Questa è la storia di una Colt calibro 22, di un giornalista ficcanaso che ha pagato con la vita la sua passione civile, e di un territorio, Barcellona Pozzo di Gotto, luogo-simbolo dell’impotenza dello Stato di fronte allo strapotere mafioso. È una storia che parte dagli scrupoli di un avvocato penalista, Fabio Repici, rimbalza a Milano tra i fumi delle bische clandestine frequentate negli anni 80 da Emilio Fede e Flavio Briatore, e si insinua nei misteri della mancata cattura del boss Nitto Santapaola, a Barcellona. Per finire tra le manovre sotterranee della trattativa Stato-mafia svelate di recente da un altro avvocato, in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, e ora “gola profonda” del dialogo sommerso tra boss e istituzioni: Rosario Pio Cattafi, ritenuto l’uomo ‘cerniera’ dei rapporti tra mafiosi, massoni, politici e servizi segreti. L’uomo che giura di esser stato inviato dal vicedirettore del Dap, Francesco Di Maggio, a dialogare con il boss Santapaola, promettendo benefici carcerari in cambio dello stop alle stragi.   

DUE VERBALI DIMENTICATI 

È una storia che inizia da due verbali, dimenticati nel fascicolo dell’omicidio di Beppe Alfano, il giornalista ficcanaso, convinto che Santapaola, il numero due dei latitanti dopo Totò Riina nella stagione delle stragi, si nascondesse a Barcellona. Tanto convinto da informarne il pm Olindo Canali, come quest’ultimo ha successivamente ammesso
. È a Barcellona che Alfano viene ucciso la sera dell’8 gennaio 1993 con tre colpi di rivoltella calibro 22. Un’arma che non è mai stata trovata. Eppure, le tracce di una Colt 22 sono nel processo: le scopre l’avvocato Repici, difensore di parte civile della famiglia Alfano, in un verbale del 28 gennaio 1993. A 20 giorni dal delitto, il pm Canali, titolare dell’inchiesta (oggi condannato a due anni per falsa testimonianza), si accorge che l’imprenditore Mario Imbesi, molto noto nella zona, possiede una calibro 22, e se la fa consegnare a Tindari, dentro il Santuario della Madonna Nera. Con una procedura singolare: il pm non sequestra l’arma, attende un’ora e mezza che l’imprenditore vada a casa a prelevare la pistola, poi la prende in consegna. Otto giorni dopo, il 5 febbraio, il revolver viene restituito all’imprenditore. È stata compiuta una perizia balistica? Agli atti del processo non ce n’è traccia. Quel revolver è l’arma del delitto Alfano? Il quesito sembra non interessare nessuno, nè il pm, nè i difensori dei due imputati, il boss Giuseppe Gullotti e il killer Nino Merlino, poi condannati rispettivamente a 30 e 21 anni con il bollo della Cassazione.   

UN POSSIBILE MOVENTE   
Imbesi potrebbe avere un movente per uccidere Alfano: gli articoli del giornalista hanno fatto saltare la vendita di un immobile dell’imprenditore (a prezzi ritenuti esorbitanti) all’Aias di Milazzo, ente del quale Alfano aveva più volte denunciato gli imbrogli. Per capire se quella è l’arma che ha ucciso il giornalista bisogna aspettare 17 anni: solo all’inizio del 2011 la Scientifica attesta che con l’omicidio Alfano non c’entra nulla. Fine della storia? Nient’affatto. Quell’arma accende la curiosità di Repici che nel 2011 chiede l’elenco di tutte le pistole possedute da Imbesi. Così salta fuori una sorpresa: un’altra calibro 22 a tamburo, matricola n. 21897, che viene ceduta nel 1979 da Imbesi all’ingegnere milanese Franco Carlo Mariani, proprietario della Crm motori, industriale che nel 1984 viene arrestato nell’ambito di un’indagine sulle bische clandestine nata dalle dichiarazioni di Angelo Epaminonda. Chi finisce in manette con lui? Rosario Pio Cattafi, imputato di mafia, traffico di droga, e del sequestro dell’ industriale Giuseppe Agrati. Ad accusarlo è un pm barcellonese, Francesco Di Maggio, lo stesso che negli anni della trattativa sarà il numero due del Dap. Uditore al suo fianco, in quel periodo, il pm
dell’omicidio Alfano, Olindo Canali. Repici chiede al commissariato Garibaldi-Venezia di Milano notizie della Colt calibro 22. Ma la pistola è sparita. Mariani ne denuncia lo smarrimento il 30 settembre 1999, precisando di “non avere mai subito alcun furto, ma di avere cambiato due residenze”. Quel Mariani che, come scopre Repici, continua a frequentare Cattafi fino al ‘91. Saro Cattafi, teste a sorpresa della trattativa, entra ed esce da questa storia come un’abile illusionista. Perché 15 giorni dopo aver restituito a Imbesi la prima Colt 22, senza aver disposto alcuna perizia, il pm Olindo Canali vola a Roma per ascoltare Di Maggio. Incontra anche Mori? Canali nega, ma nell’agenda del generale, il suo nome, storpiato in ‘Canari’, è segnato il giorno 27 febbraio accanto a quello di Di Maggio e della sezione anticrimine di Messina, “per omicidio giornalista a Barcellona P.G.”. A che titolo Di Maggio, in quel momento funzionario dell’Onu a Vienna, partecipa a riunioni investigative su un omicidio di Barcellona? Ufficialmente, il motivo è l’attività d’indagine che Di Maggio aveva compiuto su “soggetti barcellonesi trasferiti a Milano e coinvolti in traffici di armi”. Una descrizione – sottolinea Repici – che sembra attagliarsi perfettamente a Cattafi.   

LE RICERCHE DEL LATITANTE SANTAPAOLA   
Ma che c’entra Cattafi con il delitto Alfano? E perché a Roma Canali ascolta anche i vertici dello Sco, che sull’omicidio Alfano non compiono alcun’indagine, ma che tre mesi dopo, a maggio ’93, catturano Santapaola in un casolare del catanese? Di certo c’è che, da questo momento, le due vicende appaiono intersercarsi. Il 15 marzo il Ros attiva intercettazioni negli uffici della ditta Orifici, a Terme Vigliatore, a due passi dalla villa di Mario Imbesi, per trovare tracce di Santapaola. Il 1° aprile il titolare parla con un non meglio identificato “zio Filippo”. Il 5 aprile, il Ros ha la
conferma che lo zio Filippo è don Nitto. Ma le energie non sembrano concentrate sulla cattura del boss. Il 6 aprile il capitano Ultimo intercetta un fuoristrada con a bordo il figlio di Mario Imbesi, Fortunato, e gli spara nel corso di un forsennato inseguimento concluso sui binari della ferrovia. Dirà Ultimo di averlo scambiato per Pietro Aglieri, altro (allora) superlatitante. Il 29 aprile, intercettando una conversazione di Orifici, il Ros ha la conferma che Santapaola ha appena lasciato Barcellona, e disattiva le microspie. Il 3 maggio i carabinieri depositano a Canali i brogliacci delle intercettazioni. E il pm stralcia: dall’inchiesta Alfano scompare la pista Santapaola, si dissolve l’interesse per i “soggetti barcellonesi trasferiti a Milano”. Senza accertamento balistico, era evaporata la Colt calibro 22 smarrita da Mariani che oggi Repici considera centrale per le indagini, chiedendo alla Procura di Messina di verificare la possibilità che quell’arma “in epoca precedente all’omicidio Alfano, sia in qualche modo entrata in possesso di Cattafi.


Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza (Il Fatto Quotidiano, 8 gennaio 2013)












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