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Nastri Mancino-Quirinale, 24 ore alla distruzione PDF Stampa E-mail
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Scritto da Sandra Rizza e Giuseppe Lo Bianco   
Giovedì 07 Febbraio 2013 20:14
di Sandra Rizza e Giuseppe Lo Bianco - 7 febbraio 2013
Da una parte c’è un gip, Riccardo Ricciardi, pronto ad assumersi la responsabilità di “saltare” il contraddittorio tra le parti e di firmare (forse domani) il decreto di distruzione delle quattro telefonate “proibite” tra Giorgio Napolitano e Nicola Mancino, intercettate nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa mafia-Stato. Dall’altra ci sono due avvocati, Francesca Russo e Roberto D’Agostino, che invece vogliono a tutti i costi conoscere il contenuto di quelle telefonate, per verificare se vi siano elementi utili alla difesa del loro assistito, Massimo Ciancimino. Tra l’uno e gli altri, si spalanca la prateria inesplorata della giustizia “innovativa”, come l’ha definita il procuratore di Palermo Francesco Messineo, introdotta dalla Corte costituzionale con la sentenza del 4 dicembre scorso: un verdetto che, oltre a risolvere in favore di Napolitano il conflitto di attribuzione, ha di fatto trasformato la cancellazione delle telefonate presidenziali in un guazzabuglio giuridico senza precedenti.

LA CORTE, in sostanza, ha stabilito che il gip deve distruggere quelle intercettazioni senza attivare la procedura camerale, ovvero in solitudine, giudicando primario il principio della massima segretezza di tutte le esternazioni – anche private – del presidente della Repubblica. Per la Consulta, insomma, deve essere il solo giudice, dopo aver ascoltato le quattro intercettazioni, ad assumersi la responsabilità di valutare il loro contenuto: assicurandosi che all’interno delle conversazioni non vengano sacrificati “interessi riferibili a principi costituzionali supremi”, come la tutela della vita e della libertà personale. Sappiamo che Ricciardi ha già ascoltato i 18 minuti di conversazione tra Mancino e Napolitano. E che quasi certamente ha escluso il sacrificio dei principi supremi, visto che ha convocato per domani il perito informatico Fulvio Schimmenti perché proceda, subito dopo la firma del decreto, alla distruzione.

Ma l’avvocato D’Agostino non ci sta e denuncia, nel silenzio assordante degli organismi di categoria dell’avvocatura italiana, una palese lesione dei diritti della difesa: “Il ruolo del difensore, in questa procedura, è letteralmente sparito. Il codice attribuisce al solo difensore la capacità di valutare pienamente gli elementi che possano risultare utili all’imputato: per questo esiste l’udienza camerale che prevede il confronto tra le parti. Perché quello che al giudice terzo può apparire irrilevante, al difensore può invece sembrare rilevantissimo”.

In un caso il codice prevede la possibilità che alcune intercettazioni, ritenute inutilizzabili, vengano distrutte dal gip senza contraddittorio: è previsto dall’articolo 271 c. p. p., che difatti è proprio quello indicato dalla Consulta per arrivare alla distruzione “solitaria” delle chiacchierate di Napolitano. Ma questa norma, e qui sta l’inghippo, non contempla, tra i casi previsti, le conversazioni del capo dello Stato, perché si riferisce ai sacerdoti, ai medici e a coloro che possono opporre il segreto professionale.

Adesso gli avvocati di Ciancimino si dicono pronti a sollevare un’eccezione di incostituzionalità, qualora il gip dovesse rigettare la loro istanza, e successivamente a impugnare il provvedimento di distruzione davanti alla Cassazione, anche se questo non fermerà la cancellazione dei file. Come finirà? Tra 24 ore probabilmente su quelle quattro telefonate tra Mancino e Napolitano calerà la pietra tombale dell’eliminazione informatica, visto che il perito agirà contestualmente alla firma del decreto.

Ancora una volta, paradossalmente, l’unico a voler portare a galla i segreti della Repubblica è Massimo Ciancimino. E se la Suprema Corte alla fine gli desse ragione? “Sarebbe la conferma di una violazione del diritto alla difesa – risponde D’Agostino – per il quale dovremo chiedere il dovuto risarcimento”.


Sandra Rizza e Giuseppe Lo Bianco
(Il Fatto Quotidiano 7 febbraio 2013)










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