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Chi uccise Borsellino? PDF Stampa E-mail
Documenti - I mandanti occulti
Scritto da Alfio Caruso   
Sabato 27 Settembre 2008 13:51


foto: lastampa.it

ALFIO CARUSO - La Stampa 27 settembre 2008

Palermo - Le dichiarazioni rese da Massimo Ciancimino alla procura di Palermo gettano una nuova luce sulla trattativa segreta sviluppatasi fra lo Stato e l’Antistato nella primavera-estate del 1992. E già: finora la versione ufficiale raccontava che soltanto all’indomani della strage di via D’Amelio (19 luglio, massacro di Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Agostino Catalano, Eddie Walter Cosina, Claudio Traina) i carabinieri contattarono Vito Ciancimino, l’ex sindaco di Palermo già condannato per reati di mafia. L’allora colonnello del Ros Mario Mori ha sempre affermato di aver incontrato Ciancimino ai primi di agosto nella sua abitazione romana di via San Sebastianello.

Massimo Ciancimino è stato un testimone molto attento di quel periodo: era diventato l’ombra del padre, l’esecutore di alcuni suoi disegni al punto che nel 2007 è stato condannato a oltre cinque anni di galera per averne riciclato il tesoro con la complicità d’insospettabili professionisti. Gli investigatori lo ritengono assai attendibile e per di più niente di quanto ha affermato è servito ad alleggerire la sua posizione processuale o ad allontanare la condanna a morte pronunciata sedici anni addietro da Riina. Ebbene Ciancimino ha messo a verbale che gli incontri con il capitano De Donno, il tramite iniziale, e il colonnello Mori incominciarono all’inizio di giugno e ben tre avvennero prima della mattanza di Borsellino e della scorta. Ma sono numerosi gli episodi rievocati da Ciancimino e ciascuno di essi contraddice quanto affermato fin qui dai rappresentanti delle istituzioni.

Il primo appuntamento
Ai primi di giugno del 1992, sul volo Palermo-Roma, Ciancimino jr s’imbatte nel capitano De Donno, conosciuto durante gli interrogatori di Falcone al genitore. Ottenuti dalla hostess due posti contigui, De Donno domanda a Massimo se al padre può interessare una chiacchierata con lui. Il vecchio Ciancimino chiede di conoscerne in anticipo il contenuto. De Donno rivela a Massimo che si punta alla cattura dei boss latitanti: naturalmente, avrebbe aggiunto il capitano, se tuo padre ci aiuta, noi vedremo di fargli trarre qualche beneficio.

Appreso di che cosa si tratta, Vito Ciancimino rientra di corsa a Palermo. Contatta qualcuno? Cerca un'autorizzazione? Massimo informa De Donno che l’aspetta a Roma. Lo Stato e l’Antistato s’incontrano nel salone dell’appartamento di via San Sebastianello seguendo una prassi battezzata nel 1950 allorché bisognò ingabbiare Salvatore Giuliano. Massimo viene relegato in un’altra stanza e convocato dopo un’ora e mezzo per accompagnare il capitano alla porta.

Tre giorni più tardi, intorno alla fine di giugno, De Donno si presenta con il colonnello Mori. Stavolta il colloquio dura un paio di ore. Alla fine Mori raccomanda a Massimo di essere prudente nei suoi spostamenti siciliani, mentre il padre gli svela che il colonnello ha chiesto la cattura dei superlatitanti. Si può fare, è il suo giudizio lapidario. E il pensiero corre a Totò Riina, con il quale Ciancimino mai si è inteso, non certo a Provenzano, di cui è il principale consigliere politico. Un’amicizia cominciata a Corleone quando Vito impartiva lezioni di matematica al piccolo Binnu con l’aggiunta dello scappellotto in caso di errori o disattenzioni.

Ciancimino torna a Palermo e nella casa sulla curva di Monte Pellegrino riceve una persona distinta, coperta da omissis, che gli consegna la busta contenente il foglio con le dodici richieste di Cosa Nostra per non compiere più attentati. È il famoso papello scritto a penna. Leggendolo, a Ciancimino sfugge un’imprecazione: è il solito testa di minchia, riferendosi all’autore. Secondo Massimo il padre aveva subito riconosciuto che si trattava di Riina. Davanti alle insistenze dei sostituti procuratori, Massimo chiarisce che al padre bastava leggere una frase per capire se l’aveva scritta Riina o Provenzano.

Ciancimino spiega al figlio che di quelle dodici richieste, tre-quattro sono trattabili, ma le altre proprio no. Anzi, sospetta che siano state inserite per mandare a gambe all’aria ogni possibilità d’intesa. Comunque spiega di dover avvisare Mori, benché preveda di essere spedito a quel paese.

Dodici richieste
Con il papello in tasca Ciancimino risale a Roma. Massimo convoca di nuovo De Donno, che spunta assieme a Mori. Al colonnello viene mostrato il foglio con le dodici richieste, circostanza sempre negata da Mori, il quale avrebbe ribattuto domandando la consegna di Riina. A questo punto si conclude la prima parte della trattativa, la quale riparte dopo il macello di via D’Amelio. Alla ripresa avviene però un cambiamento importante: esce di scena il dottor Nino Cinà - indicato con il nome in codice di dottor Iolanda, il neurologo al servizio della mafia costretto a barcamenarsi fra l’incudine (Provenzano) e il martello (Riina) - e vi subentra Binnu in persona. Massimo spiega che con l’eliminazione di Borsellino suo padre e Provenzano avevano capito che Riina andava neutralizzato. Addirittura Massimo sostiene che Provenzano abbandoni il rifugio sicuro in Germania e ricompaia in Sicilia.

Cambia anche la finalità della trattativa: anziché la resa di Cosa Nostra con la consegna dei superlatitanti, la cattura di Totò Riina.

Ciancimino riceve da Provenzano diversi pizzini scritti a penna: dopo averli letti li strappa minuziosamente. Allora si fa consegnare da De Donno alcune piantine topografiche gialle e verdi di Palermo e su una di queste segna la zona dov'è nascosto Totò u' curtu. Ciancimino jr dice ai magistrati che il padre raccolse quest’informazione in ventiquattr’ore prima di consegnare la mappa a De Donno nell’ultimo incontro in casa. Il 19 dicembre è arrestato Ciancimino, il 15 gennaio 1993 tocca a Riina. Ufficialmente grazie a Balduccio Di Maggio, che riconosce moglie e figlia del capo dei capi nelle riprese filmate di nascosto dai carabinieri del capitano Ultimo.

Quanto fin qui dichiarato da Massimo Ciancimino s’incastona alla perfezione con un vecchio verbale di Nino Giuffrè, boss di Cacciamo, uno dei bracci sinistri di Provenzano ammanettato nel 2002 e immediatamente divenuto collaboratore di giustizia. Giuffrè rammentò che nel gennaio ’93 zu Binnu gli aveva detto di non preoccuparsi delle confidenze di Ciancimino ai carabinieri: era in missione per conto di Cosa Nostra. E sulla cattura di Riina pronunciò frasi che oggi assumono un valore particolare: Provenzano aveva le spalle coperte da una divinità e ogni tanto a questa divinità doveva offrire sacrifici umani. Nelle parole di Giuffrè pure la mancata perquisizione della villa di via Bernini faceva parte dell’accordo: acchiapparono Totò in strada - è la sua tesi - per lasciare il tempo a noi altri di far sparire dalla casa documenti, lettere, bigliettini.

Così Provenzano, garante di una mafia che non sfiderà più lo Stato, s'incammina verso il potere assoluto. All’interno delle famiglie si diffonde la voce che sia un confidente degli sbirri cu’ giummu (i carabinieri), lui mostra di riderci sopra. Cadono Bagarella e Brusca, gli ultimi alleati di Riina; Messina Denaro s’isola nel suo feudo trapanese; Provenzano assicura gli accoliti che in dieci anni la situazione cambierà, promette di trovare nuovi interlocutori nella politica. Fa sua la famosa battuta di Badalamenti: Cosa Nostra per prosperare dev’essere governativa come
la Fiat.

Ma
le rievocazioni di Ciancimino jr riaprono anche il lato oscuro dell’assassinio di Borsellino. Dopo sedici anni sono ancora ignoti il movente preciso, l’esecutore, il luogo da dove fu azionato il timer. E se Borsellino avesse avuto sentore della trattativa in corso fra lo Stato e l’Antistato? E se l’Antistato avesse deciso di eliminare un ostacolo a questa trattativa?


ALFIO CARUSO
IN LA STAMPA, 27 SETTEMBRE 2008




Comments:

Commenti
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Federico   |2008-09-27 17:30:58
Meno male che c'è ancora qualche giornalista che fa il suo lavoro e fa
comparire su una testata nazionale argomenti di cui nessuno vuole parlare.
Una
piccola speranza allora c'è ancora.
Luana   |2008-10-01 19:33:40
Chissà se un giorno la verità verrà finalmente a galla!
MarcoPavia   |2008-10-12 18:42:13
ma la verità è già venuta a galla! questa è la verità!
Massimo86  - Paolo, un Uomo di cui parlare quotidianamente   |2008-12-15 19:54:08
Approfitto di questo spazio per inserire un mio pensiero sulla splendida
persona che fu Paolo Borsellino e che ancora vive nel cuore e
nei pensieri di moltissimi italiani.
Se Paolo Borsellino non fu un
giudice che si limitò a fare il "possibile" nel suo lavoro,
senza chiedere a se stesso degli enormi sacrifici, ma invece fu un
magistrato che ebbe come suo "faro" quello del DOVERE nel senso pieno e completo della parola, potè esserlo solo perchè
prima di essere un impeccabile professionista, fu un uomo di
elevata statura morale.
E' questo, cari lettori, che manca da tanto,
forse da sempre, alla nostra Italietta: uomini, cittadini che prima di
essere chissà chi, siano uomini con dei valori, dei principi.
Grazie
Paolo per il tuo lavoro, ed il tuo sacrificio: di certo vano non lo è
stato, perchè in qualunque caso, la tua esperienza ha destato le
menti e i sentimenti di migliaia di giovani.
Grazie a te ed anche alla tua
famiglia tutta, che mai ti ostacolò nelle tue idee, ma sempre fu per
te un forte e amorevole sostegno ad andare sempre avanti.
Grazie.
valexina   |2009-01-06 20:12:39
Quello che mi domando da un pò,ed il pensiero che in questi giorni mi
perseguita è se 19 Luglio si sarebbe potuto evitare. Paolo sapeva benissimo chi
era il signor Giammanco, la chiamata alle 7 di domenica mattina per comunicargli
la concessione di quella delega ( ma perchè tutta questa fretta, perchè di
domenica mattina ed alle 7 per di più doveva comunicarglielo?? Perchè?). E poi
quella frase che ancora oggi mi mette i brivi: "Così la partita è
chiusa" e Paolo che rispone urlando: "La partita è aperta".

E'
mai possibile che tale telefonata, nel complesso non abbia allarmato Paolo? Che
non abbia insinuato in lui un qualche dubbio, un qualche sospetto? Avrebbe
potuto stravolgere la sua giornata, i suoi piani in modo da spiazzarli, da
evitare l'inevitabile, avrebbe potuto??magari oggi sarebbe fisicamente tra
noi....magari.
Oppure aveva capitotutto, sapeva tutto ma nn ha voluto tirarsi
indietro? il dovere sempre e comunque?? xkè a pagar devon esser sempr i
migliori??
ercoleo  - stato di merda   |2009-01-23 00:09:56
Che dire...ennesima dimostrazione della
tesu sostenuta da Salvatore sulla
regia occulta dello Stato,se così lo vogliamo chiamare,dietro alla morte del
poverp Paolo.Guarda caso nessuna rete d'"elites"(nè la Rai nè
tantomeno Mediaset",la tv del Caimano Colluso)ha divulgato la notizia delle
dichiarazioni di Massimo Ciancimino...In questi giorni,seguendo quello che ha
detto Salvatore a Tolentino venerdì scorso,stò dicendo queste cose ai miei
amici,che hanno 18 anni come me,ma tranne poche eccezioni sembra CHE NON FREGHI
A NESSUNO SAPERE CHE PAOLO è STATO UCCISO DALLA REPUBBLICA OLIGARCHICA
D'ITALIA,UNA 2A REPUBLICA NATA COL SANGUE DI DUE DEI TANTI EROI MORTI PER
SERVIRE UNO STATO CHE INVECE LI HA UCCISI,IN CUI IL NOSTRO PREMIER STà
REALIZZANDO òE RICHIESTE FATTE DA RIINA NEL PAPELLO,E CHE A RIINA PAGAVA 200
MILIONI DI CONTRIBUTO!è DURISSIMA COMBATTERE NELL'INDIFFERENZA DI MOLTI,MA
BISOGNA CONTINUARE A FARLO PER FAR EMERGERE LA VERITà.E SE ANKE NON DOVESSE
EMERGERE,NN BDOBBIAMO FARCI SOPRAFFARRE DALL'INDIFFERENZA,MA LOTTARE PER NON FAR
MORIRE PAOLO E GIOVANNI 2 VOLTE!!!

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