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Intervista ad Ingroia: 'Procura di Palermo mai divisa come ai tempi di Grasso' PDF Stampa E-mail
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Scritto da Simone Ferrali   
Martedì 02 Aprile 2013 17:57
di Simone Ferrali - 1 aprile 2013

Quando Pietro Grasso annunciò la sua entrata in politica (27 dicembre 2012), scrissi (29 dicembre 2012), fra le critiche e gli insulti di alcuni piddini, pidiellini, professoroni e trombati dalla politica, che la sua candidatura non rappresentava una cesura con il passato, e spiegai che nella sua carriera di magistrato ci sono diverse ombre.
Nelle scorse settimane l'ex Procuratore nazionale antimafia è stato eletto presidente del Senato, ed io ho riportato all'attenzione dei lettori l'articolo scritto tre mesi fa, ricevendo critiche molto più dure ("Diffamatore!”, “Calunniatore!”, “Non ti va bene nessuno? Allora beccati 'sta minchia”, “Tutte cavolate”, “Grasso ha fatto strada, vedremo dove arriverai tu nella vita, pivello”, "Spero che Grasso ti quereli, così dovrai dimostrare che hai detto il vero; e non ce la farai perché scrivi solo tante cavolate", "Ti rode il sedere perché lui è amato e tu no?") di quelle ricevute a dicembre, nonostante l'articolo fosse lo stesso (figuriamoci se avessi rincarato la dose).

Se televisioni e giornali omaggiano il nuovo presidentissimo del Senato, disegnandolo come un santo laico capace di fermare mafie (da magistrato) e crisi politiche (da "statista"), con la sola imposizione delle mani, il risultato non può che essere quello di un'opinione pubblica totalmente confusa, incapace di valutare obiettivamente  chi, in passato, ha fatto cosa.
Per far capire meglio ai lettori chi è Pietro Grasso, ho deciso di contattare una persona che lo conosce molto bene, sicuramente meglio di me: Antonio Ingroia.
Buona lettura!

Ringrazio di cuore Salvatore Borsellino e i ragazzi di 19 luglio 1992, senza i quali non sarei riuscito ad entrare direttamente in contatto con l'ex Procuratore aggiunto di Palermo.


Dottor Ingroia, partiamo dal processo Andreotti: é vero che Grasso fornì due versioni per giustificare la mancata firma dell'appello contro la Sentenza del Tribunale di Palermo, come sostiene Marco Travaglio?
Non mi sono occupato personalmente del processo Andreotti, ma conoscendo Travaglio sono certo che Travaglio ha chiesto a chi se ne é occupato in prima persona (Roberto Scarpinato, Gioacchino Natoli e Guido Lo Forte, ndr)...


Per quanto riguarda la gestione del pentito Antonino Giuffrè invece, le cose andarono come sappiamo? Sui sei mesi a disposizione per ascoltare un pentito, i primi tre furono buttati via (vista l'importanza del collaboratore di giustizia) per parlare di temi di minore rilevanza?

Beh, buttati via no. La situazione é nota. Fu fatta una scelta: i primi tre mesi sono stati impiegati per parlare della mafia militare e solo dopo la nostra protesta, e le dimissioni di Scarpinato e Lo Forte dal pool antimafia, sono iniziati gli interrogatori sui rapporti tra mafia e politica. Fu una situazione anomala, considerato che Giuffrè fu il primo pentito molto vicino a Bernardo Provenzano, ed inizialmente non gli fu chiesto nulla né sulla mancata perquisizione del covo di Riina, né sul rapporto Riina-Provenzano e Carabinieri, né sulla Trattativa...


Arriviamo alla perquisizione fatta a metà nelle abitazioni di Massimo Ciancimino: mettiamo caso che questo fatto fosse accaduto ai tempi della Procura retta da Giancarlo Caselli: cosa sarebbe successo? Quali sarebbero state le conseguenze nei confronti di Caselli? La faccenda sarebbe stata ugualmente minimizzata?

É una bella domanda... diciamo che a Caselli, come ad Ingroia, non è mai stato perdonato nulla. In più, sono sempre state sollevate accuse feroci, spesso fondate sul nulla, nei suoi confronti, nei nostri confronti.


Possiamo parlare di responsabilità, ovviamente non penali, nella condotta tenuta da Grasso nelle suddette perquisizioni? Anche tenendo in considerazione che fu ritrovata la famosa lettera con mittente Provenzano e destinatario Dell'Utri, scritta per conoscenza di Berlusconi, sequestrata e messa fra le scartoffie in uno scatolone, anziché essere acquisita agli atti dei processi in corso.

Lo stesso Procuratore Grasso lo ha detto nella sua intervista: il Procuratore della Repubblica, essendo a capo di un ufficio verticistico, deve avere la responsabilità di tutto quello che succede nel suo ufficio, e qualora accadano dei fatti gravi a sua insaputa, deve conseguentemente accertarsene ed intervenire con energia per punire eventuali responsabili.


Cosa che però non ha fatto?

In Italia il principio di responsabilità è a senso unico. Gli unici responsabili pare siano gli investigatori che cercano di scoprire anche le verità più imbarazzanti senza guardare in faccia a nessuno. E' come un messaggio subliminale che esorta a sopire e troncare, troncare e sopire......... E' così che si fa carriera...


Torniamo sulla lettera sequestrata.

Una documentazione sequestrata ad una persona che ha avuto un ruolo così importante, necessitava di un esame molto minuzioso, dettagliato. Ricordo bene quando scoprimmo questa documentazione: lo trovai io questo foglio di carta. Mi feci portare nella mia stanza degli scatoloni, nei quali, un po' alla rinfusa, a suo tempo, erano state custodite le documentazioni sequestrate. Gli scatoloni erano ancora sigillati: ho fatto desigillare le scatole e, insieme ai colleghi sostituti, ho iniziato a controllarle una ad una. Ecco che è venuto fuori questo foglio, secondo me, di grande rilevanza investigativa.


Passiamo adesso al livello di conflittualità all'interno della Procura retta da Grasso: c'erano solamente "normali divergenze" tra "orgogli feriti", come sostenuto dal presidente del Senato? Oppure c'era qualcosa di più, come possiamo percepire anche a distanza di anni?

Guardi, sono stato in quella Procura venti anni, e in questi venti anni non ho mai vissuto un periodo di così tali divisioni, conflitti, scontri interni, come negli anni in cui era Procuratore capo il Dottor Grasso. Ricordo molto bene riunioni lunghissime sino a tarda notte, proprio perché non si riusciva a realizzare una composizione, una condivisione, di linea. C'erano due uffici spaccati e si era ripristinata la spaccatura che Caselli aveva trovato quando era arrivato a Palermo nel '93... una spaccatura che era riuscito faticosamente a ricomporre, a ricucire. Questa spaccatura si è ripresentata negli anni in cui il Dottor Grasso divenne Procuratore capo, tra l'altro con i soliti protagonisti, perché tra i più stretti  collaboratori del Dottor Grasso, ci sono stati i magistrati che nel '92-'93 erano stati quelli più vicini al Procuratore capo Giammanco, colui che aveva isolato Paolo Borsellino.


Ciancimino, nell'intervista rilasciata a Panorama, spiegò che non aveva mai parlato di certi fatti perché nessuno gli aveva chiesto nulla. Le sue dichiarazioni dettero l'input all'apertura delle indagini sulla Trattativa.

É un caso che Massimo Ciancimino abbia iniziato a parlare della Trattativa solo quando a capo della Procura di Palermo é arrivato Francesco Messineo? O meglio: é un caso che fino ad allora, nessuno gli avesse chiesto nulla?
In effetti è vero, il primo interrogatorio nel quale Ciancimino apre questi scenari, nasce da quella intervista rilasciata a Panorama. Ciancimino era stato interrogato, inquisito, ma questi temi non risultano essere stati toccati, ed approfonditi, nei precedenti interrogatori.


Quindi c'è stato un cambio di passo, come si percepisce, da parte della nuova Procura, sulle indagini riguardanti i rapporti mafia-politica?

Io direi proprio di sì. Ovviamente, io non sono del tutto imparziale, visto che, ai tempi della Procura di Messineo, ero il coordinatore del pool. Ma è innegabile che c'è stata una differente attenzione da parte nostra. Credo sia stato particolarmente importante anche il lavoro che abbiamo fatto recuperando le antiche intercettazioni, che a suo tempo non erano state valorizzate, grazie alle quali abbiamo iscritto nel registro degli indagati uomini politici, come Cuffaro e Romano. A suo tempo, questi politici non erano stati neanche iscritti nel registro degli indagati, ma qualcuno di essi era stato sentito come testimone sul contenuto delle intercettazioni. Peccato che gli anni che distanziano il momento in cui le intercettazioni furono effettuate e quello in cui furono recuperate, siano stati fatali perché hanno determinato la prescrizione.


Quando Grasso annunciò la sua entrata in politica, Dell'Utri si complimentò pubblicamente con lui (ha ribadito la sua stima nei confronti dell'ex Pna anche negli ultimi giorni). Nell'articolo del 29 dicembre, scrissi:"Se fossi un magistrato antimafia e ricevessi i complimenti di Dell'Utri, inizierei a chiedermi se qualcosa nella mia carriera è andato storto, visto che per il Senatore del PdL gli eroi sono i Mangano e i pazzi gli Ingroia". Grasso invece esterna una fiducia incredibile nei confronti di Dell'Utri, affermando che non crede che l'ex Senatore pidiellino possa tagliare la corda, temendo la Sentenza della Cassazione. Che ne pensa di questo scambio di apprezzamenti, alquanto anomalo, tra un ex magistrato antimafia e Marcello Dell'Utri?

Effettivamente sono piuttosto inconsueti. La sua considerazione (mia, di chi scrive, ndr), ovvero il fatto che verrebbe da porsi delle domande, mi pare quantomai appropriata.


Sulla Trattativa Stato-Mafia, il nuovo presidente del Senato ha dichiarato: "Sino a quando non ho le prove, io non parlo e non ne parlerò neanche stasera. La Trattativa comporta una conclusione con un accordo. Questo, forse, deve essere ancora pienamente dimostrato". Sembra quasi che l'ex Procuratore nazionale antimafia né si sia letto le carte e né conosca l'italiano, visto che, nella nostra lingua, "trattare" non significa per forza concludere un accordo.

Il processo sulla cosiddetta Trattativa non è un processo per un avvenuto accordo, ma per un'avvenuta minaccia ai danni dello Stato. Non significa quindi che per la condanna penale occorra la prova dell'accordo. L'accordo, comunque, c'è stato e ci sono anche le prove nel processo. Al di là di questo, la Trattativa, come abbiamo spiegato nella nostra memoria conclusiva delle indagini, è sufficiente per far scattare il reato contestato (attentato a corpo politico dello Stato con l'aggravante di aver favorito Cosa Nostra, ndr), indipendentemente dalla chiusura dell'accordo: mi pare che questo sia stato tenuto ben presente dal giudice (il Gup di Palermo, Piergiorgio Morosini, ndr) che ha disposto il rinvio a giudizio di tutti gli imputati, dimostrando così che le tante accuse, di cui siamo stati destinatari, erano ingiuste.


Arriviamo alla perla: il premio per la lotta alla mafia da assegnare a Silvio Berlusconi. I commenti di Grasso (e l'assenso di Formigli) sembravano volti a dimostrare che quelle parole gli furono messe in bocca dai due "birboni" della Zanzara.

Dottor Ingroia, rifacciamo la scena: Berlusconi merita un premio per la lotta alla mafia?
No. Io penso che il governo Berlusconi sia quello che ha fatto maggiori favori alla mafia...


Bastava poco per non essere equivocati... E poi, la risposta di Grasso era del tutto inequivocabile.

C'è una domanda e poi c'è una risposta: nella risposta, non solo non venne detto quello che le ho detto io, ma venne confermato che era giusto dare un premio a Berlusconi per la lotta alla mafia.


Poi resta da capire quale sia la legge approvata dai governi Berlusconi, che ha permesso un'efficace lotta alla mafia...

Forse si riferiva alla legge che lo ha fatto diventare Procuratore nazionale antimafia. Ritenendosi il miglior magistrato antimafia, forse pensava che Berlusconi, dopo quelle leggi, si meritasse un premio... Questa è una cattiveria però (ride, ndr).


Detto tutto ciò, é facile capire che rischia di passare un messaggio che in una Democrazia che si rispetti non dovrebbe passare: chi tocca i potenti finisce in Valle d'Aosta ad "intercettare gli stambecchi", come ha detto quel signore piccolino, mentre chi si tiene alla larga da queste indagini (salvo dalle inchieste su Cuffaro e sul celeberrimo Mangialasagne), prima finisce a capo della Procura nazionale antimafia, poi alla presidenza del Senato. Che ne pensa?

Può darsi che queste circostanze non siano frutto di coincidenze e di fatalità. Dimostrano quanto siano ristretti i margini per una Magistratura che faccia fino in fondo il proprio dovere, con la schiena dritta, senza guardare in faccia nessuno, applicando la Legge nei confronti di tutti i cittadini in modo eguale. Questa è una delle ragioni che mi aveva indotto a pensare di trasformare il mio impegno di questi anni anche in impegno in politica, perché fintanto che avremo una politica nemica di un certo modo di fare il magistrato, nemica del Principio di eguaglianza di fronte alla Legge, i magistrati non potranno svolgere il loro ruolo con autonomia ed indipendenza. Bisogna cambiare la politica per rendere più autonomi e liberi i magistrati. Tuttora, non ho nessun rimpianto per aver intrapreso l'impegno in politica.


E ora? Che farà? Continuerà con Rivoluzione civile?

Rivoluzione civile deve continuare. Inizia una seconda fase. Questa seconda fase sarà una fase senza i partiti, anche se non contro i partiti. Cambierà nome, anche per dare un segno di cambiamento. L'importante è che il movimento sia un movimento politico dei cittadini, con ideali di Giustizia ed Eguaglianza.


Un movimento con Antonio Ingroia leader?

Antonio Ingroia, certamente, seguirà questo percorso. Per rispetto del Consiglio superiore della Magistratura, attendo la decisione definitiva, dopodiché comunicherò che cosa farò in futuro.




Simone Ferrali (
http://www.you-ng.it/, 1 aprile 2013)









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