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Borsellino/quater. L’agente di scorta di Ayala: 'Il giornalista Cavallaro non c'era' PDF Stampa E-mail
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Scritto da Marta Genova   
Giovedì 02 Maggio 2013 11:23
di Marta Genova - 1 maggio 2013

Lunedì 29 aprile era stato ascoltato proprio il giornalista del Corriere della Sera Felice Cavallaro, ieri è stata la volta di Rosario Farinella a quel tempo caposcorta di Giuseppe Ayala che il 19 luglio 1992 era con l'ex magistrato. Fu Farinella a prendere la valigetta del giudice Borsellino dall'auto. "Siamo andati in via D'Amelio in auto – ha raccontato ai pm della procura di Caltanissetta – e quando è scoppiata la bomba, in casa il giudice era solo". Notizia che differisce da quanto raccontato da Cavallaro che ha detto di aver chiamato in casa di Ayala dopo avere sentito il botto e che al telefono rispose la sua compagna.
Ma non solo in questo differiscono le dichiarazioni. L'ex agente della scorta continua il suo racconto: "Eravamo vicini all'auto del dottore Borsellino; il giudice Ayala ha visto la borsa. Io l'ho presa e l'ho tenuta in mano per circa 5 minuti. Poi il giudice ha individuato un ufficiale in borghese e mi ha detto di darla a lui e così ho fatto. Quell'uomo era in abiti civili e non aveva distintivi". Poi ha aggiunto che Felice Cavallaro, in quel frangente, non era presente.
Altri scenari si sono aperti oggi. I pm hanno mostrato a Farinella delle foto dei momenti successivi alla strage e l'ex capo scorta, sorpreso, ha riconosciuto un uomo, che il giorno della strage, nella confusione, non aveva visto sul luogo: Roberto Campesi. Un uomo – spiega Farinella – che Ayala voleva "infiltrare" tra gli agenti della scorta e che non apparteneva all'arma. "Dopo la strage, tornato dalle ferie, appresi che Campesi era entrato a far parte della scorta – racconta – mi opposi immediatamente a questa cosa, soprattutto perché si trattava di un civile e chiesi informazioni. Mi dissero che addirittura era consuetudine che salisse sulla blindata con Ayala".
Farinella, in quanto capo scorta, si oppose con forza alla novità fino a rivolgersi al capo ufficio scorte ma senza esito positivo: "Mi rispose che Campesi era persona di fiducia di Ayala e che quindi avrebbe viaggiato con loro. Nacque dunque un contrasto sulla pretesa del giudice che si concluse però con l'allontanamento di Farinelli dalla scorta.
Poi è stata la volta di Giovanni Adinolfi a quei tempi capitano dei Ros a Palermo che ha raccontato di aver parlato con Borsellino pochi giorni prima della strage . Il giudice gli disse di aver saputo dell'arrivo del tritolo ma di essere preoccupato più per la sua famiglie e la sua scorta che non per la sua stessa vita. Il colonnello ha poi riferito di quando il pm De Francisci gli raccontò che il giudice Borsellino aveva saputo che il pentito Mutolo e Marchese avevano detto che Contrada e Signorino erano vicini ad ambienti mafiosi.
Sul pretorio è poi salito il colonnello Marco Minicucci, che allora comandava il nucleo operativo dei carabinieri di Palermo. Ha detto che il capitano Giovanni Arcangioli (l'uomo della foto con la valigetta in mano), la mattina dopo o le ore successive (non ricorda con precisione) gli disse di avere prelevato lui la borsa dalla macchina. Circostanza che ricorda solo nel 2005, interrogato dalla Dia di Caltanissetta. Il colonnello non si trovava vicino alla blindata quando fu presa la valigetta, che, infatti,  non vedrà mai.
Ad essere ascoltato poi è stato il caposquadra dei vigile del Fuoco Giovanni Farina, che ha dichiarato alla Corte di aver provato ad aprire la portiera dell'auto ma non vi riuscì. "Era impossibile. Mi sono accorto in seguito che era stata aperta da alcuni miei subordinati ma grazie all'intervento della Polizia – racconta – . A mio avviso l'hanno potuta aprire solo con la chiave".
La prossima udienza è fissata per il 6 maggio. Saranno ascoltati il maggiore Carmelo Canale e il magistrato Diego Cavaliero amico di Paolo Borsellino.

Marta Genova (
www.palermoreport, 1 maggio 2013)



 

Borsellino/quater. Il giornalista ''di mafia'' che non ricorda i volti e l’ex magistrato che consegna la valigetta ad un ufficiale ''sconosciuto''

di Marta Genova - 29 aprile 2013

L'attenzione oggi, al bunker del Malaspina di Caltanissetta era tutta su Felice Cavallaro, e la sua deposizione. Il giornalista del Corriere della Sera, giunto secondo quanto da lui raccontato, in via D'Amelio poco dopo la strage e trovatosi testimone di quei misteriosi momenti in cui la valigetta del giudice Borsellino viene prelevata dall'auto e poi consegnata ad un uomo che il giornalista suppone possa essere Giovanni Arcangioli, l'uomo con la valigetta in mano della ormai famosa foto scattata quel pomeriggio del 19 luglio 1992.

La prima ad essere ascoltata oggi dai pm della procura nissena, Lari, Paci e Gozzo è stata la sorella del giudice Borsellino, Rita, alla scorsa udienza assente per motivi istituzionali che l'avevano trattenuta a Bruxelles. Ha ripercorso i fatti, tante volte ricordati negli anni. Non è emerso nulla di nuovo. L'avvocato di parte civile Crescimanno le ha posto domande relative all'incontro avuto da Borsellino all'aeroporto
Poi domamde sui rapporti che il giudice aveva con il maresciallo Canale, considerato l'uomo ombra di Borsellino ed un grande amico. "Si avevano rapporti stretti, nel senso che si vedevano anche conn le famiglie". La sorella del giudice non ha potuto confermare la stessa cosa su un altro uomo della scorta di Borsellino, Salvatore Martorana, "So che avevano dei rapporti cordiali, ma nulla più"
L'avvocato di parte civile Fabio Repici chiede: "E' da escludere che il giudice possa essersi sentito tradito dal carabiniere Martorana?". " Non lo so – ha detto Rita Borsellino – non posso escluderlo, ma non ne abbiamo mai parlato"
In merito all'agenda, ha ricordato che il fratello ne possedeva un'altra scura, ma quella che ricorda con certezza è quella rossa: "La poggiava sul tavolo. Quando lui veniva la mattina, o anche il pomeriggio, l'agenda era sul tavolo su cui io poggiavo la tazzina del caffè".

La deposizione di Felice Cavallaro: "Nel momento della strage mi trovavo in via Villafranca, era la mia abitazione, stavo lavorando alla stesura di un libro sulla strage di Capaci. Attendevo a casa mia Ayala che avrebbe fatto la prefazione del libro. Verso 16, 55 sentì un rumore sordo. Mi alzai, vidi il fumo. Attendevo Ayala e la prima cosa che feci fu chiamare lui, al residenze Barbera a 300 metri da via D'Amelio, in cui alloggiavo. Ero molto preoccupato. Mi rispose la moglie e mi disse che era sceso giù con gli uomini della scorta. E allora io presi la mia moto e arrivai sul posto pochi minuti dopo il fatto. Una scena infernale. Ancora non c'erano controlli, era appena successo e quindi chiunque poteva muoversi liberamente. Io arrivai e percorsi il marciapiede rasente gli edifici di via D'Amelio e capì improvvisamente, mi resi conto che c'erano della parti di corpi per terra e scansandoli arrivai al cratere. E lì vidi Ayala al quale mi avvicinai. Vederlo fu una grande emozione. Gli feci un cenno. C'erano già agenti in divisa, ufficiali dei carabinieri, una via vai di gente. Non credo che la zona fosse ancora perimetrata quando arrivai io.
Ci ritrovammo sul lato sinistro della vettura di Borsellino. Quando arrivai la portiera sul lato posteriore era aperta e a terra c'era una borsa di cuoio, alla quale ho fatto caso quando un uomo, che presumo fosse un agente di polizia o carabiniere, la prese e quasi sembrava volerla dare a me quale assistente di Ayala. Le storie sull'agenda vennero dopo, quindi sul momento non feci alcun collegamento all'agenda. L'agente vedendomi accanto ad Ayala, pensò di dover dare a me quella valigia. Io guardavioAyala come per dire "cosa ne dobbiamo fare?".
Cavallaro non riuscirà mai ad identificarlo quell'uomo, non lo ricorda, come non ricorda il personaggio che arriva dopo: "A quel punto si materializza un ufficiale dei carabinieri in divisa che non sono mai riuscito a riconoscere in tante foto che ho visto – dice – . Ayala scambiò con lui una battuta e poi gli consegnò la valigetta".
Non ricorda né il ragazzo che dà la borsa ad Ayala, né l'ufficiale in divisa. "Il giovane però aveva intorno ai trent'anni, e aveva abiti civili". La borsa fu presa per un attimo da Ayala - racconta il giornalista - e poi venne data subito all'ufficiale che non si qualifica. " In seguito ne abbiamo parlato di quella circostanza e Ayala ha sempre detto di non conoscerlo. Per noi era lo Stato, rappresentava lo Stato in quel momento  e quindi l'ancora a cui aggrapparsi".

E dunque,  in quel frangente così delicato, a pochi minuti da una strage in cui muore un giudice con la sua scorta e a soli due mesi dall'altra strage, quella di Capaci, succede che la valigetta del magistrato appena ammazzato, venga considerata solo un dettaglio non rilevante. Succede che un ex magistrato la consegni ad un ufficiale che non conosce e che un giornalista che di mafia si occupa da quarant'anni, testimone oculare di tutto questo "movimento" attorno a quella valigetta, non si ricordi i suoi interlocutori, né il primo agente in borghese che voleva affidargli la valigetta né l'uomo in divisa che la prenderà dopo. Non ricorda nemmeno Arcangioli,  l'uomo della foto e dice che scoprirà solo dopo chi è. Non ricorda nemmeno uno degli uomini che si trovavano nello stesso punto in cui c'era Ayala. Forse gli uomini della scorta, ma non li riconobbe.
Si stenta a crederlo, ma è così che i testi la raccontano (Ayala cambierà addirittura versione 4 volte).

"Dopo quei momenti, il tema della borsa fu poi eliminato. E solo dopo aver visto il fotogramma che ritrae Arcangioli con la borsa in mano – dice Cavallaro – pensai che l'ufficiale in divisa poi avesse consegnato la borsa ad un suo sottoposto, ovvero Arcangioli". ha dichiarato Cavallaro.
Oltre al dottore Ayala c'erano altre persone vicino al cratere, ma non ricordo chi. Mi era stato detto dalla moglie che era accompagnato dalla scorta ma io non li ho riconosciuti.

L'avvocato Repici allora chiede: "Poteva essere un agente della scorta che prese la borsa?" " Lo escludo categoricamente - risponde Cavallaro – perché altrimenti non l'avrebbe data a me, ma direttamente ad Ayala credo".

Il pm Nico Gozzo ha poi chiesto se ci fosse anche il magistrato Lo Forte, presente in quel momento. Cavallaro non lo ricorda e non ricorda infatti nemmeno dell'abbraccio che dovrebbe esserci stato tra Ayala e lo stesso Lo Forte. Ricorda però l'arrivo successivo di diversi magistrati. "C'era Giammanco che ai tempi era procuratore capo - dice -  vidi Lo Forte ma non ricordo quando arrivò. Fra i primi magistrati che ricordo di aver visto c'era Teresi. Ricordo Gioacchino Natoli."

L' avvocato Repici chiede al giornalista se ricorda la presenza di alcuni uomini delle forze dell'ordine. "Il maggiore dei carabinieri Minicucci, comandante nucleo operativo di Palermo in quel periodo, lo ricorda?"

"No non lo ricordo".

"Il Comandante della sezione anticrimine Ros di Palermo a quel tempo, Adinolfi, lo ricorda?"

"No"

Repici mette inoltre in evidenza un articolo del 26 luglio del 1992 in cui Cavallaro scrisse di un "buco nero sulla sparizione dell'agenda". "Non ricordavo questa chiusa" ha detto il giornalista".

Dunque dell'agenda rossa e della sua sparizione se ne parla ben prima del 1995, anno in cui ne parlerà Agnese Borsellino, moglie del magistrato ucciso.
Cavallaro ha poi ricordato che Ayala si allontanò dal luogo della strage per un certo tempo: "Forse per andare a Mondello dai figli o per chiamarli, non lo so, comunque si allontanò e poi ritornò".
Le domande a Cavallaro terminano poi con un'altra indicazione dell'avvocato Repici relativa ad un articolo appareso sul quotidiano on line Live Siclia il 19 luglio 2009, in cui il giornalista ricorda quella giornata.  "Disse mai ad Ayala della sua disponibilità a presentarsi alla Procura di Caltanissetta per riferire quanto aveva visto quel giorno?"  "Non ricordo" risponde Cavallaro.
"I pm Messineo e Di Natale l'ascoltarono il 26 febbario nel 2006, a Caltanissetta. Era mai stato contattato da Ayala in relazione all'audizione che lo stesso aveva avuto precedentemente sempre a Cl?" "No non mi pare ne parlammo mai."


Marta Genova (www.palermoreport.it, 29 aprile 2013)












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