E' normale che esista la paura, in ogni uomo, l'importante è che sia accompagnata dal coraggio.
Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti.
«Ci sono elementi sufficienti perché il caso venga riaperto». Il presidente della Corte d’Appello di Torino Mario Barbuto sostiene la richiesta di Guido, Cristina e Paola, i figli del procuratore Bruno Caccia, ammazzato sotto casa da sicari della ’ndrangheta la sera del 26 giugno 1983. Nella ricorrenza dei 30 anni di quell’omicidio che ha impresso un’orma indelebile nel tessuto sociale e nella Giustizia torinesi, l’Associazione nazionale magistrati (nella persona di Giuseppe Marra) ha organizzato incontri per «mantenere vivo il ricordo di un magistrato che ha sacrificato la propria vita per la legalità» come ha detto lo stesso Marra, in apertura dell’incontro avvenuto ieri alle 12 al Palagiustizia torinese, intitolato all’ex procuratore. Un «capo carismatico, un esempio per i giovani colleghi» ha ricordato il presidente Barbuto. Tra loro c’era anche un giovane giudice istruttore, Marcello Maddalena. È stato proprio il carisma di Caccia a indurre il suo passaggio alla procura, avvenuto con l’entusiasmo di chi segue un esempio vivente. «Amava il lavoro, quello quotidiano, che si svolge regolarmente tutti i giorni nelle aule d’udienza, negli uffici, lontano dai riflettori, dai clamori, dalle risonanze mediatiche, secondo un inveterato stile di magistrati piemontesi di antico stampo che si limitavano a scrivere soltanto requisitorie e sentenze».