Increase Font Size Option 6 Reset Font Size Option 6 Decrease Font Size Option 6
Home Documenti I cento passi (dal Duomo)
I cento passi (dal Duomo) PDF Stampa E-mail
Documenti - Altri documenti
Scritto da Gianni Barbacetto   
Domenica 26 Ottobre 2008 18:42
Milano. I politici e i boss. Gomorra è già qui.

Gli affari, gli appalti, l'assalto all'Expo. Ecco i nomi degli uomini dei partiti che hanno stretto relazioni pericolose con i gruppi mafiosi. Che intanto sparano senza pietà alle porte della città. Ma nessuno sembra accorgersene

di Gianni Barbacetto (tratto da www.societacivile.it e pubblicato sul quotidiano "L`UNITÀ" del 9 ottobre 2008)


I boss stanno a cento passi da Palazzo Marino, dove il sindaco di Milano Letizia Moratti lavora e prepara l'Expo 2015. O li hanno già fatti, quei cento passi che li separano dal palazzo della politica e dell'amministrazione? Certo li hanno fatti nell'hinterland e in altri centri della Lombardia, dove sono già entrati nei municipi. E comunque, a Milano e fuori, hanno già stretto buoni rapporti con gli uomini dei partiti.

«Milano è la vera capitale della 'Ndrangheta», assicura uno che se ne intende, il magistrato calabrese Vincenzo Macrì, della Direzione nazionale antimafia. Ma anche Cosa nostra e Camorra si danno fare sotto la Madonnina. E la politica? Non crede, non vede, non sente. E quando parla, nega che la mafia ci sia, a Milano. Ha rifiutato, finora, di creare una commissione di controllo sugli appalti dell'Expo. Eppure le grandi manovre criminali sono già cominciate.

Ne sa qualcosa Vincenzo Giudice, Forza Italia, consigliere comunale di Milano, presidente della Zincar, società mista partecipata dal Comune, che è stato avvicinato da Giovanni Cinque, esponente di spicco della cosca calabrese degli Arena. Incontri, riunioni, brindisi, cene elettorali, in cui sono stati coinvolti anche Paolo Galli, Forza Italia, presidente dell'Aler, l'azienda per l'edilizia popolare di Varese. E Massimiliano Carioni, Forza Italia, assessore all'edilizia di Somma Lombardo, che il 14 aprile 2008 risulta eletto alla Provincia di Varese con oltre 4 mila voti: un successo che fa guadagnare a Carioni il posto di capogruppo del Pdl nell'assemblea provinciale. Ma è Cinque, il boss, che se ne assume (immotivatamente?) il merito, dopo aver mobilitato in campagna elettorale la comunità calabrese.

Ne sa qualcosa anche Loris Cereda, Forza Italia, sindaco di Buccinasco (detta Platì 2), che non trova niente di strano nell'ammettere che riceveva nel suo ufficio, in municipio, il figlio del boss Domenico Barbaro. Lui, detto l'Australiano, aveva cominciato la carriera negli anni Settanta con i sequestri di persona e il traffico di droga. I suoi figli, Salvatore e Rosario, sono trentenni efficienti e dinamici, si sono ripuliti un po', hanno studiato, sono diventati imprenditori, fanno affari, vincono appalti. Settore preferito: edilizia, movimento terra. Ma hanno alle spalle la 'ndrina del padre. Cercano di non usare più le armi, ma le tengono sempre pronte (come dimostrano alcuni bazooka trovati a Buccinasco). Non fanno sparare i killer, ma li allevano e li allenano, nel caso debbano servire.   Salvatore e Rosario, la seconda generazione, sono arrestati a Milano il 10 luglio 2008. Eppure il sindaco Cereda non prova alcun imbarazzo.

Ne sa qualcosa anche Alessandro Colucci, Forza Italia, consigliere regionale della Lombardia. «Abbiamo un amico in Regione», dicevano riferendosi a lui due mafiosi (intercettati) della cosca di Africo, guidata dal vecchio patriarca Giuseppe Morabito detto il Tiradritto. A guidare gli affari, però, è ormai il rampollo della famiglia, Salvatore Morabito, classe 1968, affari all'Ortomercato e night club ("For a King") aperto proprio dentro gli edifici della Sogemi, la società comunale che gestisce i mercati generali di Milano. È lui in persona a partecipare a una cena elettorale in onore dell'«amico» Colucci, grigliata mista e frittura, al Gianat, ristorante di pesce. Appena in tempo: nel maggio 2007 viene arrestato nel corso di un'operazione antimafia, undici le società coinvolte, 220 i chili di cocaina sequestrati.

Ne sa qualcosa anche Emilio Santomauro, An poi passato all'Udc, due volte consigliere comunale a Milano, ex presidente della commissione urbanistica di Palazzo Marino ed ex presidente della Sogemi: oggi è sotto processo con l'accusa di aver fatto da prestanome a uomini del clan Guida, camorristi con ottimi affari a Milano. Indagato per tentata corruzione nella stessa inchiesta è Francesco De Luca, Forza Italia poi passato alla Dc di Gianfranco Rotondi, oggi deputato della Repubblica: a lui un'avvocatessa milanese ha chiesto di darsi da fare per "aggiustare" in Cassazione un processo ai Guida.

Ne sa qualcosa, naturalmente, anche Marcello Dell'Utri, inventore di Forza Italia e senatore Pdl eletto a Milano. La condanna in primo grado a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa si riferisce ai suoi rapporti con Cosa nostra, presso cui era, secondo la sentenza, ambasciatore per conto di «un noto imprenditore milanese». Ma ora una nuova inchiesta indaga anche sui suoi rapporti con gli emissari della 'Ndrangheta: un altro imprenditore, Aldo Miccichè, trasferitosi in Venezuela dopo aver collezionato in Italia condanne a 25 anni per truffa e bancarotta, lo aveva messo in contatto con la famiglia Piromalli, che chiedeva aiuto per alleggerire il regime carcerario al patriarca della cosca, Giuseppe, in cella da anni. Alla vigilia delle elezioni, Miccichè prometteva a Dell'Utri un bel pacchetto di voti, ma chiedeva anche il conferimento di una funzione consolare, con rilascio di passaporto diplomatico, al figlio del boss, Antonio Piromalli, classe 1972, imprenditore nel settore ortofrutticolo con sede dell'azienda all'Ortomercato di Milano. Sentiva il fiato degli investigatori sul collo, Antonio. Infatti è arrestato a Milano il 23 luglio, di ritorno da un viaggio d'affari a New York. È accusato di essere uno dei protagonisti della faida tra i Piromalli e i Molè, in guerra per il controllo degli appalti nel porto di Gioia Tauro e dell'autostrada Salerno-Reggio.

Qualcuno si è allarmato per questa lunga serie di relazioni pericolose tra uomini della politica e uomini delle cosche? No. A Milano l'emergenza è quella dei rom. O dei furti e scippi (che pure le statistiche indicano in calo). La mafia a Milano non esiste, come diceva già negli anni Ottanta il sindaco Paolo Pillitteri. Che importa che la cronaca, nerissima, della regione più ricca d'Italia metta in fila scene degne di Gomorra?

A Besnate, nei pressi di Varese, a luglio il capo dell'ufficio tecnico del Comune è stato accoltellato davanti al municipio e si è trascinato, ferito, fin dentro l'ufficio dell'anagrafe, lasciando una scia di sangue sulle scale. Una settimana prima, una bottiglia molotov aveva incendiato l'auto del dirigente dell'ufficio tecnico di un Comune vicino, Lonate Pozzolo. Negli anni scorsi, proprio tra Lonate e Ferno, paesoni sospesi tra boschi, superstrade e centri commerciali, sono state ammazzate quattro persone di origine calabrese. Giuseppe Russo, 28 anni, è stato freddato mentre stava giocando a videopoker in un bar: un killer con il casco in testa, appena sceso da una moto, gli ha scaricato addosso quattro colpi di pistola. Alfonso Muraro è stato invece crivellato di colpi mentre passeggiava nella via principale del suo paese affollata di gente. Francesco Muraro, suo parente, un paio d'anni prima era stato ucciso e poi bruciato insieme alla sua auto.

L'ultimo cadavere è stato trovato la mattina di sabato 27 settembre in un prato di San Giorgio su Legnano, a nordovest di Milano: Cataldo Aloisio, 34 anni, aveva un foro di pistola che dalla bocca arrivava alla nuca. A 200 metri dal cadavere, la nebbiolina di primo autunno lasciava intravedere il cimitero del paese, in cui riposa finalmente in pace, benché con la faccia spappolata, Carmelo Novella, che il 15 luglio scorso era stato ammazzato in un bar di San Vittore Olona con tre colpi di pistola in pieno viso. 

Milano, Lombardia, Nord Italia. È solo cronaca nera? No, Gomorra è già qua. Ma i politici, gli imprenditori, la business community, gli intellettuali, i cittadini non se ne sono ancora accorti.




In seguito alla pubblicazione dell´articolo, il sindaco di Buccinasco ha mandato la seguente lettera che é stata pubblicata su L`UNITÀ del 13 ottobre con la risposta di Gianni Barbacetto:

Gentile Direttore, Egregio Signor Barbacetto,
Non intendo richiamarmi alle leggi sulla stampa o al diritto di difendere la mia immagine. Voglio invece richiamarmi al superiore interesse di fare un fronte comune contro l'illegalità ed evitare, al contrario, che le strumentalizzazioni politiche, siano sempre e comunque un motivo di divisione e di debolezza.Richiamandomi a ciò non posso che dispiacermi per l'evidente intento diffamatorio con cui lei, stravolgendo i fatti, o, perlomeno, riportandoli in modo volutamente sintetico, cerca di attribuirmi un qualsiasi tipo di contiguità con la criminalità organizzata.

Veniamo ai fatti: il Signor Barbaro Salvatore ha richiesto un appuntamento con me quando era nello stato di libero cittadino e, come tutti i cittadini che lo fanno, lo ha ottenuto, in modo pubblico ed ufficiale, dopo aver detto l'oggetto dell'incontro alla mia Segreteria. L'oggetto dell'incontro era un progetto avviato dall'Amministrazione precedente (di centro-sinistra) che prevedeva una mostra di poesie di un congiunto del Signor Barbaro, che, dovendo scontare la pena dell'ergastolo, avrebbe portato una testimonianza sui percorsi di recupero morale dei condannati. La mostra, progettata dalla precedente Giunta, era anche supportata dal parere positivo della Direttrice del carcere. Anch'io trovavo l'idea condivisibile, ma l'avevo congelata proprio a causa delle continue polemiche che la sinistra di Buccinasco alimentava sul tema della Legalità. Ritenevo quindi opportuno informare il Signor Barbaro, che mi chiedeva notizie, del perché il progetto fosse stato tenuto in sospeso.

Quindi non avevo niente da nascondere prima, e niente di cui vergognarmi dopo.Al contrario il modo in cui lei mischia i fatti, sembra non tener conto che gli eventi per i quali il Signor Barbaro è stato successivamente arrestato (gestione appalti movimento terra) fanno tutti riferimento ad attività che il Signor Barbaro (o le aziende a lui collegate) avrebbe effettuato con la precedente amministrazione di Buccinasco, cioè negli anni 2002-2006, quando io a Buccinasco ero un semplice cittadino.Per quanto mi riguarda invece posso assicurare che nessuna delle società coinvolte in tale inchiesta ha mai effettuato attività di alcun tipo per conto dell' amministrazione  di Buccinasco nel periodo in cui io ne sono il Sindaco.

E allora signor Barbacetto, perché buttarmi addosso fango? Per fini politici? Forse. Per vendere qualche copia in più? Magari. Ma non certo per difendere la vittoria della Legalità e/o il superiore diritto dell'onestà culturale, del rispetto, e di una morale che molte volte pare proprio scomparsa.

Loris Cereda, Sindaco di Buccinasco



Gianni Barbacetto ha così risposto:


Né fango, né strumentalizzazioni politiche. Nel mio articolo sono allineati solo fatti. Tra questi, il fatto (non smentito) che il sindaco di un grosso Comune dell'hinterland milanese ha ricevuto in municipio il figlio del boss locale, che in seguito ha raggiunto in carcere il padre. Non riesco a credere che il primo cittadino di Buccinasco non sappia che il suo paese è chiamato Platì 2. Non riesco a credere che non sappia che i Barbaro sono i boss della zona, dediti non soltanto alla poesia, ma anche all'edilizia e al movimento terra, di cui hanno il monopolio. Un sindaco più attento avrebbe dunque agito con maggiori cautele, magari facendo ricevere Salvatore Barbaro da un funzionario.

Perché la mafia vive anche di segnali e un sindaco che riceve in municipio il nuovo capo della 'ndrina locale lancia, magari inconsapevolmente, un segnale di disponibilità e d'apertura. Non era, purtroppo, il primo segnale, visto che Loris Cereda e il suo schieramento hanno vinto le elezioni (anche) accusando l'amministrazione precedente di "frenare lo sviluppo per paura della mafia"; e che, dopo la vittoria, hanno subito bloccato il progetto di aprire, in un locale confiscato alle cosche, una "pizzeria sociale" che avrebbe trasformato una proprietà mafiosa non solo in un luogo pubblico e visibile d'incontro, ma anche in un'attività economica che avrebbe dato lavoro e reddito alternativi a quelli della cosca.



LINK: Intervento di Gianni Barbacetto in occasione del dibattito tenutosi a Milano per il 30° anniversario della morte di Peppino Impastato (16 settembre 2008).

Comments:

Commenti
Cerca RSS
Solo gli utenti registrati possono inviare commenti!
blackhole   |2008-10-27 16:23:17
bella roba.
Peccato che sono tanti i Loris Cereda presenti nello stato italiano

3.26 Copyright (C) 2008 Compojoom.com / Copyright (C) 2007 Alain Georgette / Copyright (C) 2006 Frantisek Hliva. All rights reserved."