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Scritto da Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza   
Mercoledì 19 Febbraio 2014 23:08
di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza- 19 febbraio 2014

 Il reato di violenza e minaccia a un corpo dello Stato? “Pone nuovi problemi giuridici al giudice”. L’assoluzione di Mori e Obinu? “Non puo’ non destare oggettivi motivi di preoccupazione in relazione all’impostazione del processo della trattativa”. Nella relazione annuale diffusa ieri dalle agenzie, la Direzione Nazionale Antimafia di Franco Roberti prende le distanze dai pm di Palermo esprimendo apertamente la sua “perplessità” sull’impostazione giuridica del dibattimento in corso nell’aula bunker dell’Ucciardone.   
E LA REPLICA è immediata: “Se il dato corrispondesse alla realtà – ha detto Nino Di Matteo, scorrendo le agenzie – non potrei che manifestare il mio profondo stupore per il fatto che si esprimano giudizi di merito di questo tipo su procedimenti ancora in corso”.
 
Ancora più amareggiato il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, che dal 3 febbraio sarebbe oggetto di un procedimento disciplinare, aperto su richiesta del Pg di Cassazione Gianfranco Ciani, proprio per aver espresso giudizi sulla sentenza di assoluzione di Mori e Obinu: “Mi chiedo – ha detto Teresi – che competenza istituzionale abbia un semplice sostituto procuratore nazionale antimafia per esprimere così taglienti giudizi su un processo in corso di cui credo non conosca pressochè nulla”. Teresi si riferisce all’autore della parte della relazione che riguarda il processo, e cioè il sostituto della Dna Maurizio De Lucia, molto vicino all’ex capo dell’ufficio Piero Grasso. Applicato da qualche anno a Palermo, De Lucia segnala che la Dda di Francesco Messineo “ha ritenuto di dover inquadrare alcune delle condotte da provare nei confronti di alcuni degli imputati nella fattispecie astratta di cui all’art. 338 codice penale (violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario, ndr), ponendo in tal modo nuovi problemi di natura giuridica e fattuale al giudice che dovrà decidere sulla corretta ricostruzione dei fatti operata nell’inchiesta”.   
FRASI CHE SUONANO come una bocciatura se lette insieme alle considerazioni successive sul processo che ha assolto gli ufficiali dei
carabinieri Mori e Obinu per la mancata cattura di Provenzano: “Tale processo – si sottolinea – presenta significativi momenti di collegamento, sia probatorio che sostanziale, con quello in argomento ed il suo esito non può non destare oggettivi motivi di preoccupazione in relazione all’impostazione del processo cosiddetto trattativa”. Da quando Grasso respinse al mittente (il Pg Ciani, attivato dal Quirinale su sollecitazione di Mancino) le pressioni per intervenire nell’inchiesta di Palermo, la Dna non si era più occupata del processo sulla trattativa. Fino alla “preoccupazione” manifestata adesso da De Lucia. Che pare allinearsi alle posizioni del giurista Giovanni Fiandaca e dello storico Salvatore Lupo, coautori di un nuovo saggio (“La mafia non ha vinto”, in uscita il 20 febbraio per Laterza) che mette in dubbio i fondamenti giuridici del processo di Palermo e legittima il negoziato tra lo Stato e le cosche con la tesi che tra il ‘92 e il ‘93 far cessare le stragi era una necessità.   
DURO e sconfortato il commento di Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime della strage dei Georgofili: “É ovvio che non esiste il reato di trattativa”, dice, “ma esiste il delitto morale di chi difende l’indifendibile. Chiediamo quindi il cambio di imputazione, anche nel sentire comune, da ‘trattativa Stato–mafia’ a ’concorso in strage’ ”.



Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza (Il Fatto Quotidiano, 19 febbraio 2014)









 

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