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Bergamo non lascia soli i magistrati minacciati dalle mafie PDF Stampa E-mail
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Scritto da Movimento Agende Rosse, il collettivo Bee3, la Tavola della Pace Valle Brembana   
Domenica 09 Marzo 2014 10:27

di Movimento Agende Rosse, il collettivo Bee3, la Tavola della Pace Valle Brembana - 9 marzo 2014

Perché “si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande.” (G. Falcone).

Nella certezza di quanto sia importante che i cittadini di Bergamo si affianchino ai cittadini che in tante città d’Italia animano le manifestazioni, i presìdi, le “scorte civiche” che hanno fatto eco alla scorta civica di Palermo, presente ogni mattina davanti al Palazzo di Giustizia, il Movimento Agende Rosse, il collettivo Bee3 e la Tavola della Pace Valle Brembana hanno esposto su un edificio comunale lo striscione “Bergamo non lascia soli i Magistrati minacciati dalle mafie” e proporranno volantinaggio e incontri di informazione e sensibilizzazione durante il mese di marzo.                        

Scrivono i giudici della Corte d’Assise di Firenze, i quali nel marzo 2012 hanno depositato le motivazioni della condanna all’ergastolo di Francesco Tagliavia per le stragi del ’93 a Firenze, Roma e Milano, che lo Stato avviò una trattativa con Cosa nostra, una trattativa che “indubbiamente ci fu e venne quantomeno inizialmente impostata su un do ut des” per interrompere la strategia stragista di Cosa nostra. E “l’iniziativa - scrivono - fu assunta da rappresentanti dello Stato e non dagli uomini di mafia.” 

Ancora oggi ci sono Uomini giusti a Palermo, che cercano la verità su quella stagione, quella della trattativa Stato-mafia, nella quale altri Uomini giusti sono stati uccisi per quella stessa ricerca di verità. 

La storia si sta ripetendo, scandita da un passato che non vuole passare, da un indicibile che deve rimanere tale: da due anni un crescendo di pesanti minacce e di notizie - provenienti da più fonti - di attentati in preparazione ai danni del dottor Nino di Matteo e degli altri magistrati del pool trattativa Stato-mafia di Palermo Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e Vittorio Teresi e del dottor Roberto Scarpinato; recentemente le esternazioni di Totò Riina, capo di Cosa nostra - messaggi lanciati a chi di dovere perché esegua i suoi ordini di morte - e, proprio pochi giorni fa, la lettera indirizzata a Riina dalla cosiddetta “Falange Armata”, sigla che evoca passate rivendicazioni di stragi e sulla quale sappiamo che Nino Di Matteo e la Procura di Palermo stanno indagando. 

Contro di loro anche la congiura del silenzio da parte dei media e delle istituzioni, che a volte pongono in essere veri e propri ostacoli al loro lavoro, e contro di loro i poteri osceni: Stato deviato, servizi segreti, massoneria, criminalità finanziaria, tutti coalizzati nell’utilizzare l’ala militare di Cosa nostra per eseguire le loro condanne a morte che vengono così coperte da motivazioni prettamente mafiose.  

Sono invano trascorsi più di tre mesi da quel 3 dicembre 2013 quando il ministro Angelino Alfano, sollecitato sia dai cittadini che dai parlamentari, prometteva tutti i provvedimenti per la massima sicurezza del dottor Di Matteo, compreso il bomb jammer. Questa volta nessuno, soprattutto all’interno delle istituzioni, avrebbe alibi dietro cui nascondersi per non aver messo in campo tutte le misure possibili per evitare che nuovo sangue bagni l’asfalto di Palermo. 

Consapevoli che non possiamo girarci dall’altra parte, noi cittadini non vogliamo più piangere altri eroi morti “semplicemente” per aver compiuto il loro dovere e che lo Stato non ha saputo e voluto proteggere. Non è più il tempo di esitare, è il tempo di parteggiare, per affiancare i nostri Magistrati vivi, perché possano continuare il lavoro che stanno svolgendo con dignità ed onore dopo aver giurato sulla Costituzione del nostro Paese, ora sempre più svuotata secondo il piano piduista. 

Noi cittadini siamo chiamati ad agire, a promuovere e partecipare alle manifestazioni e ai presìdi di solidarietà che stanno fiorendo in tutto il nostro Paese per prevenire una strage di cui sentiamo già l’odore nell’aria di Palermo. Perché vogliamo difendere il diritto alla vita non solo di quei Magistrati, Testimoni e Agenti delle scorte che sono in prima linea per fare luce sulle nefandezze del sistema Stato-mafia ma anche difendere il diritto di tutti noi a vivere in un Paese finalmente libero da ricatti incrociati che lo rendono una democrazia finta. 

Lo dobbiamo ai nostri morti, che hanno vissuto spendendosi per donarci un Paese libero dal puzzo del compromesso mafioso, e lo dobbiamo ai nostri figli, che devono poter assaporare l’ebbrezza di respirare il fresco profumo di libertà cui aspirava Paolo Borsellino. 

Ma soprattutto lo dobbiamo a noi stessi perché siamo vivi e, per questo, non permetteremo altri morti.

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