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Rubriche - Le vostre lettere
Scritto da Antonio Coviello   
Giovedì 20 Marzo 2014 12:20
di Antonio Coviello - 20 Marzo 2014

Giuseppe Di Matteo, Paolino Riccobono, Giuseppe Letizia, Simonetta Lamberti, Salvatore e Giuseppe Asta, Giuseppe Cotroneo, Rosario Montalto, Michele Fazio, Gaetano Marchitelli, Annalisa Durante… Sono nomi che sconfessano una favola per troppo tempo raccontata, una falsità pura tesa a sostenere una tesi assurda e inconsistente: che esista una mafia buona, e che questa mafia non tocchi i bambini. Niente di più falso. Questi sono solo alcuni dei nomi delle giovanissime vittime delle mafie; dietro questi nomi vi sono storie tristi, dettagli raccapriccianti, esecuzioni atroci, e vite che non saranno vissute, libertà che non verranno respirate, prati che non saranno calpestati, occhi che non vedranno la bellezza che diviene “un’arma contro la rassegnazione, la paura, l’omertà”, come ribadiva proprio un eroe di mafia, Peppino Impastato. Il piccolo Di Matteo, colpevole di essere figlio del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo, secondo le rivelazioni di Giovanni Brusca, (coinvolto negli omicidi di Falcone e Chinnici tra gli altri), fu sequestrato e disciolto nell’acido; per questo il suo corpo non verrà mai ritrovato. Secondo le deposizioni di Gaspare Spatuzza, membro anch’egli di Cosa Nostra, oggi collaboratore di giustizia, il bambino fu agilmente ingannato alla vista di “falsi” poliziotti che l’ avrebbero portato in visita dal padre, a quel tempo in regime di protezione, lontano dalla Sicilia. L’ingenuo ragazzino avrebbe gioito alla vista degli uomini, travestiti da forze dell’ ordine, impaziente di rivedere e riabbracciare il padre. Non sarà così. Sotto la divisa, l’inganno, il Male. Sotto la divisa, i criminali che avrebbero accompagnato il piccolo Di Matteo al baratro, ad una lunga prigionia e poi a una raccapricciante morte.

Nicola Campilongo, di Cassano allo Ionio, un’altra tenera vittima,  ucciso con un colpo alla testa, morto nel sedile posteriore di un’auto, data poi alle fiamme insieme al corpo.
E’ successo ancora. Due giorni fa la Puglia, l’Italia intera, si sono svegliate con una notizia altrettanto cruenta e triste. Un altro agguato, sembrerebbe di stampo mafioso, un’altra esecuzione, altre vittime. Tra queste, una di soli 4 anni. Sul sedile posteriore altri due bambini, di 6 e 7 anni,  miracolosamente illesi. Raccontano che questi siano stati trovati sotto choc, non riuscivano a parlare, gli occhi fissi, trincerati in un silenzio agghiacciante, il silenzio di chi ha visto la più violenta tragedia, di chi ha visto l’inferno precipitarsi nella propria auto. E’ accaduto alle porte di Taranto, città già funestata da un altro noto dramma. Città che ha già conosciuto bene la morte, città dove il tasso di inquinamento ambientale assume livelli da allarme rosso, dove il tumore aggredisce una persona ogni 18, e porre dei quesiti, degli interrogativi, delle legittime domande diventa “atto sgarbato e provocatorio”.
In questa città avviene un omicidio di mafia che coinvolge per l’ennesima volta un bambino, smentendo, qualora fosse ancora necessario, quella favola citata prima. Un fatto di cronaca da non sottovalutare, che deve scuoterci dal torpore e dall’ indifferenza che per troppo tempo ha segnato i nostri volti, le nostre espressioni, i nostri comportamenti e le nostre vite. Perché, per dirla come Martin Luther King “non è grave il clamore chiassoso dei violenti, bensì il silenzio spaventoso degli onesti”. Tra qualche giorno a Latina, si celebra la giornata in onore delle vittime innocenti di mafia. Con l’augurio che non sia solo una “giornata”, ma una marcia per un nuovo inizio, che possa inaugurare una nuova stagione, insieme alla primavera: quella della percezione, della consapevolezza e dell’azione per respirare il famoso “fresco profumo di libertà”.

Antonio Coviello




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