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Passaparola - Non è un Paese per onesti - PM Nino Di Matteo PDF Stampa E-mail
Video - Interviste
Scritto da Nicola Biondo e Andrea Cottone   
Lunedì 07 Aprile 2014 15:37
di Nicola Biondo e Andrea Cottone - 7 aprile 2014

In un Paese in cui lo Stato processa se stesso, in cui il presidente della Repubblica finisce intercettato con un indagato e schiaccia una procura contro la “sua” Corte Costituzionale, chi porta avanti un’inchiesta per l’accertamento della verità viene isolato, minacciato, processato dai suoi stessi colleghi e poi, ovviamente, si fa di tutto per togliergli quelle carte di mano. Nino Di Matteo, pm di Palermo sotto scorta, non può più vivere come una persona libera. Sacrificio a cui non si contrappongono riconoscimenti istituzionali o l’appoggio delle più alte sfere dello Stato. Tutt’altro. Ma va bene così. (VIDEO ALL'INTERNO)







 


trascrizione:
Blog: Dott. Di Matteo, intanto buongiorno.
Di Matteo: Buongiorno a voi.
Blog: gli italiani hanno imparato a conoscerla come il Pubblico Ministero del processo sulla trattativa, sul Patto tra lo stato e la mafia, pochi però sanno che lei in questo momento è sottoposto a un procedimento disciplinare di fronte al Consiglio superiore della Magistratura, con la accusa durissima di avere leso le prerogative del capo dello stato.
E tutto questo sarebbe avvenuto nel corso di una intervista.
Prendiamo atto che in Italia per un magistrato è rischioso anche dare le interviste, e per questo intanto noi la ringraziamo di avere accettato questo colloquio, se lo aspettava intanto che per una intervista.. lei sarebbe finito sotto procedimento?
Di Matteo: No… Certamente non mi aspettavo di poter finire sotto procedimento disciplinare per una intervista nella quale mi limitavo a dire che le intercettazioni delle conversazioni tra Mancino e il capo dello stato non erano penalmente rilevanti e ciò facevo dopo che molti giornali e molte testate giornalistiche avevano riportato la notizia della esistenza di quelle intercettazioni.
Sono sotto procedimento disciplinare da più di un anno, basta leggere la richiesta di proscioglimento del dicembre scorso del procuratore generale della cassazione per arrivare a una conclusione: quel procedimento disciplinare ritengo non dovesse neanche essere iniziato.
Lo stesso procuratore generale dà conto che non vi fu nessuna rivelazione di notizia riservata né tanto meno nessuna volontà di ledere diritti e prerogative fondamentali del capo dello stato, ciò nonostante il procedimento disciplinare è iniziato, le indagini sono durate un anno per stabilire sostanzialmente che non doveva forse neanche essere iniziato, e ancora attendiamo la decisione del consiglio superiore della magistratura.
Blog: le chiedo una cosa che le vorrebbero chiedere moltissimi italiani, queste intercettazioni avevano d'avvero un grande valore? Perché non era la prima volta che un Presidente della Repubblica finiva intercettato, seppure ovviamente indirettamente, e allora ci si chiede per quale motivo il Quirinale ha sollevato il conflitto di attribuzioni contro la procura di Palermo e contro la vostra indagine? È possibile che dietro questa enorme inchiesta ci sia qualche cosa di assolutamente indicibile? Anche per voi che progredite nelle indagini, qualche cosa di cui paradossalmente ancora non vi siete resi conto, di questa enorme profondità.
Di Matteo: abbiamo fino dall’inizio rilevato e anche esternato che quelle intercettazioni non erano penalmente rilevanti, abbiamo un orgoglio, se mi consentite, io e i miei colleghi, che di quelle intercettazioni non è mai uscita una sola riga riguardo il contenuto, eppure è stato sollevato un conflitto di attribuzioni, anche se come lei poco fa ricordava situazioni analoghe, anzi identiche, si erano verificate nel corso di indagini condotte dalla Procura di Milano e di Firenze, non dovete chiedere a me o a noi magistrati perché in quei casi non venne sollevato il conflitto di attribuzioni, che invece è stato sollevato nei confronti dei magistrati di Palermo in relazione all’indagine sulla trattativa.
Blog: È vero che lei ha chiesto il trasferimento da Palermo? Di andare via da Palermo?
Di Matteo: Io non ho nessuna intenzione di abbandonare il mio lavoro, è stata eccessivamente enfatizzata la notizia della domanda di partecipazione a un concorso, quello per la Procura nazionale antimafia, ma io nei mesi scorsi avevo presentato anche altre domande, per esempio per procuratore aggiunto a Palermo e a Caltanissetta e giustamente nessuno aveva dato quella notizia.
Ritengo che la partecipazione a un concorso sia normale, sia fisiologica, tanto più che eventualmente nel caso in cui dovessi essere prescelto tra i magistrati designati per la direzione nazionale antimafia potrei chiedere di essere applicato a Palermo per continuare le indagini e i processi di cui mi occupo, qualcuno ha voluto probabilmente anche non perfettamente in buona fede eccessivamente enfatizzare la notizia, come annunciando una fuga dalle indagini e inchiesta da parte mia, non ho nessuna intenzione di fare ciò al momento.
Blog: Quindi nessuna fuga, anche se lei, mi perdoni, ha detto una frase molto molto forte, qualche tempo fa, “se mi guardo intorno e rifletto razionalmente mi dico che non è valsa la pena avere sacrificato tanti momenti importanti di libertà e di spensieratezza, poi per fortuna alla fine ha prevalso la passione”. Ma c’è stato d'avvero un momento in cui questa passione ha vacillato? È stata messa a dura prova?
Di Matteo: i momenti di perplessità e di scoramento sono tanti e non appartengono soltanto al passato, ovviamente rispetto a questi momenti, che sono dettati da una analisi razionale delle cose, delle vicende, per come si vanno evolvendo, c’è dall’altra parte un entusiasmo per il lavoro che faccio, che era quello che desideravo fare quando ho iniziato i miei studi di giurisprudenza, una passione per il lavoro che faccio, che è obiettivamente entusiasmante, là dove proceda per l’accertamento della verità.
E la passione per il mio lavoro fa prevalere in me, così come fa prevalere nei miei colleghi la forza di andare avanti nonostante tutto, nonostante la consapevolezza che questa inchiesta, che questo tipo di lavoro, certamente non pagi ai fini della carriera, ai fini del quieto vivere, ai fini della aspirazione a nomine per uffici direttivi o altri incarichi importanti, non ha importanza, noi facciamo i magistrati, abbiamo giurato sulla costituzione, e la cosa più bella e entusiasmante che ci possa capitare è quella di avere la consapevolezza di cercare con tutti i nostri limiti di fare il nostro lavoro senza condizionamenti, paure, tentennamenti.
Blog: lei è uno dei magistrati più protetti in questo paese, so che non ama parlarne molto di questo aspetto della sua vita, ma ci può dire che cosa le pesa veramente della sua vita blindata, di quella a cui ha costretto, ovviamente, le sue persone più care?
Di Matteo: mi pesa tutto, nel senso che da più di venti anni vivo questa condizione di magistrato scortato, la faccio indirettamente vivere anche ai miei famigliari, mi manca, veramente, certe volte in maniera pressante, la possibilità di farmi una passeggiata da solo, di uscire insieme con mio figlio, di fare quello che è scontato e giusto fare per tutti, e certe volte, quando ascolto o leggo delle polemiche sulle scorte, sulla inutilità delle scorte, sulle scorte come status symbol, penso che forse qualcuno dovrebbe riflettere di più e pensare che ci sono scorte e scorte e che certe volte, anzi nel caso dei magistrati o di altri soggetti veramente a rischio, la condizione di scortato è un peso e non un privilegio.
Blog: Vorrei entrare, utilizzare la sua esperienza per fissare dei punti su questo processo sulla trattativa, che è una sorta di unicum, forse, nella storia giudiziaria di tutto il mondo, lei è un uomo dello stato che sta processando un pezzo di stato, intanto la domanda secca è: si aspettava certe critiche, certe cattiverie, si aspettava maggiore o minore protezione? E soprattutto si aspettava, mi perdoni se ancora ritorniamo al Quirinale, ma si aspettava certe reazioni?
Di Matteo: Parto da una considerazione, lo stato per essere credibile non deve avere paura quando ne sussistano i presupposti di processare anche se stesso, se noi pensassimo di nascondere la polvere sotto il tappeto e non fossimo preliminarmente rigorosi e incisivi anche nell’accertamento delle responsabilità dei soggetti istituzionali non saremmo credibili nel momento in cui invece ci limitassimo a processare i mafiosi e i criminali comuni.
Detto questo razionalmente sono ben consapevole che questo tipo di indagini sono le più difficili, quelle che rischiano di isolare di più il magistrato che le conduce e che lo espongono non tanto alle critiche, che sono certamente sempre legittime e anche utili e necessarie, ma alle diffamazioni, all’isolamento, a quelle accuse che non potremo mai accettare, quelle di politicizzazione, di eversione, altre accuse che ci sono state mosse, che reputo profondamente ingiuste! Ci hanno detto pure che abbiamo agito nella vicenda delle intercettazioni famose con una volontà ricattatoria nei confronti del capo dello stato, una accusa assolutamente infamante, che mi ha colpito molto anche perché proveniente oltre che da autorevoli giornalisti anche da alcuni esponenti politici, così come mi ha colpito molto il silenzio che di fronte a queste accuse è stato generalizzato, non abbiamo udito molte istituzioni levarsi a difesa dell’operato della magistratura, anche quando come in questo caso delle intercettazioni nessuno, dico nessun, neanche la corte costituzionale con la sua sentenza, ha potuto rilevare una inadempienza, una violazione della legge da parte della procura di Palermo, ecco, allora in questi casi essere definiti eversivi, riattatori del capo dello stato o addirittura assassini, come responsabili morali della morte del consigliere D’Ambrosio, è stato molto doloroso per noi.
Blog: A chi fa paura Nino Di Matteo in questo momento?
Di Matteo: non lo so, io non credo di fare paura, non è questione di fare paura, io spero di restare sempre un… magistrato che non si fa condizionare, non si fa condizionare né dalle convenienze, dalle opportunità, di tipo politico o di carriera, né dalle minacce, né da quel diffuso clima per cui si vede nell’inchiesta della trattativa quasi una volontà di screditare le istituzioni o altre istituzioni.
Questo non è… non solo non è vero, ma è esattamente il contrario.
L’indagine sulla trattativa mira ad affermare.. fondamentalmente un principio, intanto giuridico, chi ha concorso nella violenza o minaccia, nel ricatto che lo stato ha voluto fare alle istituzioni nel periodo 92 – 94 e anche oltre, deve essere punito, se ha concorso, secondo le regole fondamentali del concorso di persona in reato, ma c’è anche un altro principio che non è strettamente giuridico, ma credo che sia importante ricordare, la storia ci ha insegnato che ogni volta lo stato o pezzi dello stato hanno voluto per qualsiasi finalità intavolare un dialogo, hanno accettato di intavolare un dialogo con la organizzazione mafiosa, ne hanno accresciuto enormemente, in quel momento e per il futuro, il peso e la potenza, il prestigio.
La attività dello stato e il percorso dei mafiosi sono due strade che credo non si debbano mai incontrare per trovare un punto di contatto, ma si debbano scontrare in quella che è la doverosa, giusta, attività repressiva dello stato.
Blog: lei parlava di minacce, allora negli ultimi tempi lei è stato fatto oggetto di pesantissime minacce, alcune arrivate su questa scrivania attraverso delle lettere, missive, le minacce in particolare sembravano avere anche un carattere molto politico, sia nei confronti della sua inchiesta sia, e in riferimento a quella famosa lettera in cui si diceva i froci e i comici non devono andare al governo, quindi questo potere di ricatto, intimidatorio enorme, è frutto di quella verità mancata del 92? Del 93, del 94, quella su cui voi indagate? La storia si può ripetere?
Di Matteo: io mi limito a fare una constatazione, io e il dottor Ingroia abbiamo riaperto le indagini sulla trattativa qualche anno fa, molto probabilmente c’era una aspettativa diffusa che quelle indagini si sarebbero chiuse con una ennesima richiesta di archiviazione, nel momento in cui non solo abbiamo esercitato la azione penale per fare un processo, ma poi è (inc.) il Dott. Ingroia, anche con i colleghi Teresi, Del Bene e Tartaglia, abbiamo iniziato a approfondire anche altri aspetti dell’indagine, quindi siamo andati anche avanti con le indagini, abbiamo assistito a un susseguirsi abbastanza classico e significativo di minacce e di intimidazioni, con lettere anonime, alcune delle quali addirittura pervenute proprio a casa mia e dal contenuto una volta minaccioso e una volta quasi di rassicurazione.
Una volta tipico del periodare, dello scrivere, del parlare del soggetto tipicamente mafioso, una volta invece caratterizzato da riferimenti che non potevano che provenire da ambienti istituzionali o para-istituzionali, fino alla vicenda dalle esternazioni di Salvatore Riina, che tecnicamente, perdonerete la precisione pignola, non solo delle minacce, perché fino a prova del contrario Riina non sapeva di essere ascoltato e quindi non sapeva che il minacciato, tra virgolette in questo caso io, lo stesse ascoltando, e allora non sono delle minacce, ma sono più che altro esternazioni, auspici, per non dire ordini di morte nei miei confronti.
Questo è stato il contesto in cui si sono sviluppati questi episodi, un contesto che si è fatto via via più chiaro con l’inizio del processo e con il progredire delle indagini.
Blog: che cosa è che manda davvero in bestia allora Salvatore Riina? Questo processo, che venga fuori attraverso il vostro lavoro alcuni suoi contatti che sminuirebbero il mito di questo capo mafia che ha deciso sempre tutto da solo, che ha sempre comandato o ha voluto fare sapere questo, darsi questa aria che ha sempre comandato da solo? Di che cosa può avere paura Riina delle vostre indagini? Che venga fuori dalle vostre indagini?
Di Matteo: Beh, sul punto mi consentirà di esprimermi con qualche limite, anche per delle indagini che ci sono in corso, ma posso dirvi questo, che a mio parere c’è un motivo contingente legato alla paura, al timore che Riina certamente ha sulla possibile emersione di suoi rapporti esterni nel periodo delle stragi, però credo che ci sia anche un aspetto di natura più generale da considerare, e cioè il Riina evidentemente auspica un ritorno a una strategia di violenta contrapposizione allo stato che invece da quando si è verificata la cessazione delle stragi del ‘93 Cosa Nostra ha abbandonato.
Riina ha nel sangue e rivendica, parlo delle intercettazioni depositate e quindi non svelo nessun segreto, rivendica con orgoglio il suo essere stato uno stragista, con orgoglio criminale, Riina è convinto che anche al fine di negoziare i propri, non soltanto propri, personali, ma i rapporti della mafia con l’organizzazione statuale, le bombe, gli omicidi eccellenti siano sempre il viatico migliore.
Blog: le chiedo questo, se la vostra inchiesta, perché da una parte c’è il processo in corso, dall’altra c’è una inchiesta che continua, questa inchiesta potrebbe rivoluzionare, per esempio facendo emergere questi rapporti cui lei accennava di Riina o di altri importanti capi mafia, l’idea che tutti noi abbiamo di quello che è avvenuto e di che cosa è stata veramente Cosa Nostra negli ultimi venti anni?
Di Matteo: non posso parlare delle inchieste in corso né di quello che potrebbe essere il risultato delle inchieste in corso, parlo solo della doverosità di queste inchieste, molti italiani pensano o a molti italiani vorrebbero fare credere che noi stiamo perdendo tempo su fatti vecchi, ormai superati, che stiamo sprecando il nostro tempo e risorse pubbliche.
Io dico che dovremmo tutti leggere le sentenze definitive, di Capaci, di Via D’Amelio, le sentenze per le bombe del 93 e renderci conto che il percorso della nostra inchiesta è già segnato in quelli atti e sentenze, quei giudici che condannano gli esecutori materiali, gli organizzatori di Cosa Nostra, nelle pagine delle loro motivazioni ci impongono di andare avanti, di capire per esempio perché evidentemente il progetto di uccidere il dottor Borsellino fu improvvisamente accelerato nel luglio del 92, ci impongono di capire perché per la prima volta Cosa Nostra abbandonando le sue abitudine e la sua tradizione sposta l’oggetto, il luogo e teatro degli attentati, nel continente con gli attentati di Roma, Firenze e Milano, ci impongono di sapere tante cose, ci impongono quelle sentenze di capire perché lo scandire delle bombe e delle minacce mafiose è accompagnata da rivendicazioni della falange armata, per esempio, proprio in quel periodo, che va dall’omicidio Lima fino all’ultimo degli attenti a Roma e Milano.
Blog: torniamo un attimo alle minacce, a quella famosa lettera che si dice essere scritta da un mafioso di peso della provincia di Trapani, quella che si riferiva al nuovo panorama politico.
Perché vengono scritte queste lettere? È un tentativo di depistaggio? Di alzare la tensione? E a chi può giovare una minaccia così chiara come quella, seppure sgangherata, scritta in un italiano un po’ Claudicante, però che ha colpito e colpisce, in effetti quelle sembravano quasi dei desiderata politici di cosa nostra.
Perché?
Di Matteo: ritengo intanto che ci sia stato in questi mesi e anni ormai un intento destabilizzante anche dalle indagini, della serenità dei magistrati che conducevano le indagini, della procura di Palermo in generale.
E quasi un avvertimento a non andare troppo in là con le inchieste, gli interrogatori, con la rivisitazione del passato, per il resto io mi posso limitare a dire che proprio la storia di quegli anni ce lo dimostra, le organizzazioni mafiose, e cosa nostra in particolare, è sempre, sempre, stata molto ma molto attenta alla evoluzione della politica.
L’organizzazione mafiosa vive del suo rapporto con la politica, l’organizzazione mafiosa non avrebbe mai assunto i caratteri di potenza e di tracotanza che ha assunto se non avesse avuto il rapporto con la politica, i mafiosi sono più attenti all’evoluzione della politica di quanto possa sembrare e considerano fondamentale poter continuare a avere rapporti con la politica.
Io spero che dall’altra parte, dalla parte dello stato, delle istituzioni, dalla parte della politica, si abbia analoga consapevolezza di quanto sia invece fondamentale recidere quei rapporti con la mafia.
I mafiosi hanno la consapevolezza della decisività del rapporto con la politica, perché la politica ancora non ha a mio parere la consapevolezza piena e diffusa della decisività per la nostra democrazia della recisione del rapporto con i mafiosi.
Blog: secondo lei quante persone ancora vive sanno come sono andate le cose in quelli anni? In fondo si dice, me lo può confermare o può smentire lei, che questi ultimi venti anni sono anche e soprattutto il frutto di quella trattativa, di quegli accordi, di quelle mani che si stringevano e che voi state cercando di ricostruire, tutti questi tasselli.
Di Matteo: A noi ha impressionato un dato, quando hanno iniziato a parlare il figlio di un mafioso, quindi Massimo Ciancimino, e un mafioso come Spatuzza, improvvisamente per un periodo tanti altri soggetti istituzionali hanno ricordato fatti e vicende che avevano vissuto venti anni prima e dei quali avevano taciuto l’esistenza alle autorità giudiziarie che li avevano anche interrogati.
E questo ci fa capire quanto potenzialmente diffusa fosse la conoscenza di determinati rapporti in quel periodo, purtroppo a un certo punto quella che sembrava una evoluzione molto frenetica dell’indagine è venuta meno, nel senso che probabilmente, anzi ne sono convinto.
Blog: Lei si è occupato di tantissime inchieste che riguardavano Salvatore Riina, i massimi esponenti di Cosa Nostra, allora la domanda che le faccio è questa: ma è possibile che voi non abbiate compreso tutto quello di cui vi state occupando? Che le sabbie mobili dove avete messo i piedi siano molto più profonde di quanto voi stessi vi possiate rendere conto? In fondo Falcone diceva che tante volte si entra in un gioco grande di cui non si conoscono d'avvero le regole.
Di Matteo: certe volte questa stessa domanda me la pongo anche io, ce la poniamo con i nostri colleghi, e obiettivamente non so risponderle, qualche volta abbiamo avuto la sensazione in esito a determinate reazioni che ci sono state al progredire delle nostre indagini anche di avere potuto magistrati senza averne piena consapevolezza sfiorare delle verità forse troppo scomode, è una domanda che ci poniamo, ma d’altra parte il dubbio, il porsi sempre delle domande, credo che possa aiutare a ragionare sulle investigazioni, certamente non ci limiterà nel… fare tutto quello che possiamo riuscire a fare per andare avanti.
Blog: l’inchiesta sulla trattativa è in corso, il processo è in aula e la percezione è quella che ci si allontani sempre di più dalle solite facce dei mafiosi brutti, sporchi e cattivi e che ci inoltri invece in territori d'avvero da romanzo.
Quante facce da mostro, quanti insospettabili, quanti uomini di confine, hanno calcato questa storia di decennali rapporti?
Di Matteo: mah, d’altra parte un processo che tenta di ricostruire le tappe di un ricatto allo stato… portato avanti anche, la nostra ipotesi, con il contributo di esponenti delle istituzioni e dello stato, non può che occuparsi di questi aspetti.
Più le indagini vanno avanti, ma non solo la nostra indagine Palermitana, ma penso a quelle di Caltanissetta, penso a quelle sfociate nei processi di Firenze, più ci si rende conto che… speso la storia della mafia si è intrecciata con la storia di complicità istituzionali, con la storia di apparati istituzionali che non sempre hanno agito rispettando la lettera e lo spirito della legge e dei poteri che la costituzione e le leggi attribuiscono a questi apparati.
E non so dirle quanti sono i soggetti che eventualmente conoscano delle verità che continuano a tenersi dentro, ho la sensazione che questi soggetti siano tanti e che però siano frenati dalla consapevolezza che questo tipo di accertamenti e di verità probabilmente non interessano tutti.
Blog: non le è mai venuto in mente, lei uomo di stato che processa un altro pezzo di stato, che in fondo i perdenti siete voi? Che voi siete quelli visti come i cospiratori, i ricattatori, quelli che vedono le cose che non ci sono? Cioè come fa un magistrato come lei a fare i conti con questa realtà?
Di Matteo: mah, vede noi abbiamo la consapevolezza che questo tipo di inchieste non giovano alla nostra carriera, immagine, ma in fondo fanno vivere anche spesso provocano una situazione di isolamento e di incomprensione purtroppo a volte anche all’interno della stessa magistratura e questo fa molto più male di qualsiasi altra cosa, però le ripeto quello che magari può sembrare retorico, in fondo se abbiamo scelto di fare i magistrati, di occuparci di determinate vicende, di fare i magistrati a Palermo, in questa città, in questo distretto, dove molti di noi hanno indossato per la prima volta la toga alla camera ardente della notte tra il 23 e 24 Maggio, dopo il botto di Capaci, se abbiamo scelto di fare questo credo che non dobbiamo guardare ai risultati a cui possiamo pervenire, ma dobbiamo guardare alla necessità di fare di tutto per accertare la verità, poi quello che verrà verrà.
D’altra parte credo che questo sia l’unico modo per cercare indossare dignitosamente, non dico per onorare, la stessa toga che era di Falcone, Borsellino, di tanti altri i nostri colleghi uccisi.
Blog: alcune volte ha avuto la sensazione proprio in questo palazzo di camminare negli stessi corridoi, frequentare le stesse stanze, di chi invece questa idea di giustizia non l’ha mai coltivata? In fondo forse non sarebbe anche il momento di aprire certe verità difficili da fare digerire anche all’interno della magistratura? Lei fa giustamente l’esempio di Falcone e Borsellino, ma lei sa per primo che certi legami innominabili in questa città sono stati resi possibili dal fatto che la giustizia girava la testa dall’altra parte e l’ha fatto per decenni.
Di Matteo: Negare quello che lei ha detto significherebbe non conoscere la storia di questo paese, di questa città, di questo palazzo e che invece abbiamo conosciuto anche attraverso le cronache e vicende processuali dei processi per le stragi, omicidio del giudice Saetta, della strage Chinnici e tanti altri processi, io credo che bisogna fare di tutto per evitare che si ritorni a quella situazione all’interno dei palazzi di giustizia, che era caratterizzante gli uffici giudiziari prima delle stragi.
Blog: c’è questo rischio ora?
Di Matteo: il fatto che venga meno la prossimità col dramma delle stragi, con il sangue dei colleghi uccisi, può fare obiettivamente calare la attenzione e la tensione morale, io credo che questo sia un rischio che dobbiamo evitare ora e in futuro.
Soprattutto noi magistrati di Palermo abbiamo il dovere morale di non dimenticare mai quello che è successo, di non dimenticare che tutti, dico tutti i giudici che sono stati uccisi, i nostri colleghi, prima di essere stati uccisi sono stati isolati, delegittimati, purtroppo anche, e questo li addolorò particolarmente, all’interno della nostra categoria dei magistrati.
Blog: mi perdoni dottore, perché ci stava sfuggendo un particolare importante di quello… uno dei tanti di cui lei ci sta rendendo noto, che in fondo quelle telefonate, quelle famose telefonate, tra il Presidente della Repubblica e un indagato, il senatore Mancino, lei se ho capito bene dice non rivestivano questa enorme importanza, ma allora quello che ci chiediamo è il perché di quella reazione! Lei giustamente ricordava altre volte i Presidenti della Repubblica del passato sono stati indirettamente intercettati e non è successo niente.
Ma allora perché quella reazione, lei sa che milioni di italiani vorrebbero che il Presidente della Repubblica venisse, diciamo, fosse ricevuto da voi, vi raccontasse tutto, se non ha nulla da temere, ma allora perché quella reazione così forte? Così dura? Che ha innescato un conflitto istituzionale mai visto fino a allora.
Questo lei se lo è chiesto?
Di Matteo: non ha importanza se me lo sono chiesto, le intercettazioni non avevano rilevanza penale, per il resto ribadisco l’orgoglio, come magistrato, di fare parte di un ufficio giudiziario che ha tutelato la segretezza di conversazioni che non avendo rilevanza penale non.. dovevano e non sono state depositate.
Nel caso che lei ricordava, delle inchieste di Firenze e di Milano, quelle intercettazioni che coinvolsero per l’inchiesta di Milano Scalfaro e per l’inchiesta di Firenze lo stesso Presidente Napolitano, invece erano state trascritte dalla polizia giudiziaria, cosa che non è avvenuta in questo caso, depositate agli atti del processo, cosa che non è avvenuta in questo caso, e finirono sulle pagine dei giornali, cosa che non è avvenuta in questo caso.
Ebbene, per gli altri casi non fu sollevato il conflitto di attribuzioni, in questo caso è stato sollevato, questo è il dato di fatto, per il resto quello che penso o che possiamo ipotizzare non ha nessuna importanza, e sarebbe gravemente scorretto se io rispondessi a questa parte della domanda, mi limito a ricordare i dati di fatto.
Blog: c’è una notizia che è stata molto trascurata in questi ultimi mesi, e cioè che il processo sulla trattativa potrebbe essere spostato da Palermo, secondo lei c’è questo rischio? E che cosa succederebbe in questo caso e soprattutto ci racconta perché questo processo così difficile, complesso, storico, potrebbe finire lontano da questo palazzo?
Di Matteo: è stata presentata da parte di tre degli imputati, il generale Mori, il generale Subbranni…
Blog: la domanda è venuta perfetta, lascio a lei la risposta ovviamente, quando vuole lei.. sì sì, lo sappiamo un quarto d’ora, stiamo in chiusura.
Di Matteo:
È stata presentata da parte di Tre degli imputati del processo, il generale Mori, il generale Subbranni e il colonnello Dedonno, una istanza di rimessione a altra sede giudiziaria, e motivata sotto il profilo del pericolo per l’ordine pubblico che deriverebbe dalla prosecuzione del processo a Palermo, e ciò anche in esito alle notizie delle esternazioni di Riina in particolare nei confronti appunto del Dott. Di Matteo, di me.
E…
Blog: che cosa succederebbe in questo caso?
Di Matteo: è stata fissata per la decisione l’udienza davanti alla sesta sezione penale della Cassazione per il prossimo 18 aprile, la Cassazione quindi deciderà se il processo può continuare qui o nel caso di accoglimento della richiesta essere spostato altrove.
In quel caso naturalmente retrocederebbe alla fase antecedente l’inizio del dibattimento, quindi dovrebbero gli uffici giudiziari divenuti competenti riformulare la lista dei testimoni si ripartirebbe sostanzialmente da zero, il tutto con i gravi rischi che deriverebbero anche per problemi eventuali di prescrizione dei reati e comunque con il rischio oggettivamente derivante dal fatto che a fare il processo, a rappresentare la pubblica accusa in un processo sarebbe un ufficio che quel processo non ha istruito e su quei fatti non ha indagato.
Blog: non più la procura di Palermo, vi verrebbe tolto il processo, questo è…
Di Matteo: non più la procura di Palermo, non più la corte di assise di Palermo e in questo caso si determinerebbe sostanzialmente la stessa situazione che si determinò quando il processo per la strage di Piazza Fontana venne spostato da Milano a Catanzaro, oggettivamente è un fatto, quello della presentazione dell’istanza di Rimessione, già il fatto della presentazione, è un fatto assolutamente importante e grave, mi stupisce, ma forse non troppo, considerata la disattenzione generale per il problema, per la vicenda della trattativa, constatare come gli organi di stampa non ne abbiano sostanzialmente dato notizia, se non nella prima battuta, nella prima fase, senza appunto chiedersi ciò che deriverebbe non soltanto dallo spostamento del processo, ma da un accoglimento che sancirebbe un principio devastante, e cioè che la violenza o la minaccia di un imputato nei confronti dei magistrati che hanno istruito il processo e che rappresentano la accusa nel processo può fare spostare il processo dalla sede naturale, cioè sostanzialmente nel caso di accoglimento si determinerebbe anche un precedente molto pericoloso, devastante per il futuro, per cui la violenza nei confronti dei magistrati che celebrano il processo potrebbe indurre a violare il principio costituzionale del giudice naturale.
Blog: certo.
Lei ha firmato… insieme con altri suoi colleghi della Procura di Palermo, un documento in cui si dava atto che Provenzano poteva uscire per gravissimi motivi di salute, perché non più in grado, quasi di intendere e di volere, dal 41 Bis, è così?
Di Matteo: la procura di Palermo non ha firmato un documento, tecnicamente ha espresso un parere e così come le procure di Caltanissetta e di Firenze ha ritenuto che in questo momento, e con queste condizioni di salute, certificate da… Più perizie, il Provenzano non sarebbe in grado di fare uscire ordini neanche se detenuto a un regime normale di alta sorveglianza e non di 41 bis, per questo avevamo ritenuto di esprimere un parere contrario all’ulteriore proroga del 41 bis allo stato.
Questo su un presupposto che però deve essere chiaro a tutti, 41 bis è regime assolutamente fondamentale, e noi auspichiamo che venga mantenuto nella sua vigenza e nella sua regola attuale anche in futuro, si è rivelato fondamentale per cercare di recidere i rapporti tra i capi detenuti e i mafiosi ancora in libertà, deve continuare a essere applicato con rigore, ma la ratio è proprio quella di recidere i possibili contatti, non è una ratio afflittiva nei confronti del detenuto, per questo avevamo ritenuto di dare un parere favorevole, proprio perché ritenevamo, sulla base delle perizie, che in questo momento il pericolo del rapporto con l’esterno fosse un pericolo astratto e non minimamente concreto.
Blog: C’è chi pensa che se Provenzano dovesse morire al 41 bis dopo che la magistratura, come lei raccontava, ha sostanziale dato il proprio parere perché potesse uscire in questo momento dal 41 bis, questo sarebbe la scusa perché qualcuno iniziasse a picconare, pesantemente, il 41 bis.
È una lettura molto politica e anche con qualche dietrologia, ma lei lo vede come un rischio possibile?
Di Matteo: Io non… voglio dare nessuna politica.. nessuna interpretazione politica o dietrologica della vicenda in questione, un dato però ne è assolutamente chiaro, che fino da quando il 41 Bis è stato introdotto la abolizione del 41 bis è uno degli scopi fondamentali dell’organizzazione mafiosa, quindi non mi stupirebbe se eventualmente qualcuno tentasse di utilizzare singole vicende legati a singoli detenuti per cercare una ulteriore e ennesima strumentalizzazione contro il 41 bis, che invece è necessario mantenere e mantenere nelle forme rigorose in cui oggi è previsto.
Blog: mi perdoni, adesso le faremo domande forse un po’ personali.
Lei ha processato e fatto condannare politici, amministratori, manager, uomini di successo, e mafiosi, mafiosi… Veri, quale è la persona che le ha fatto più paura? Da semplice cittadino e da magistrato…
Ovviamente il termine paura per uno come è diverso da quello che può avere lei, abbiamo d'avvero un’altra percezione…
Di Matteo: no, guardi, onestamente non so risponderle, io non credo di avere provato paura nei confronti dell’uno o altro soggetto, imputato, una cosa però la posso dire, avendo maturato l’esperienza di processi di tipo diverso so che gli ostacoli maggiori all’accertamento della verità, le insidie interne e esterne al processo, sono più forti quando si processano i soggetti esterni alla mafia, ma che con era mafia hanno intessuto rapporti, è più facile, lineare, agevole, nei limiti in cui si possa definire agevole un lavoro sempre molto delicato, importante e rischioso.
Arrestare e processare e fare condannare degli estorsori o degli appartenenti alla mafia militare, che si limitano, tra virgolette, a trafficare stupefacenti o chiedere il pizzo ai negozianti, rispetto a quelli che mafiosi non sono, ma che riciclano a soldi dei mafiosi, fanno affari con i mafiosi, o quei soggetti corretti della pubblica amministrazione, che hanno consentito e consentono alle mafie di penetrare le pubbliche amministrazioni e la politica.
La corruzione, la lotta la corruzione non può essere disgiunta dalla lotta alla mafia, sono due facce della stessa medaglia e questo ritengo da cittadino che ancora la politica non lo abbia compreso o finga di non averlo compreso.
Blog: in queste ore in Parlamento si vota la legge sullo scambio elettorale politico – mafioso, lei crede che l’attuale classe politica sia credibile della lotta alla mafia e che cosa dovrebbe fare se non lo fosse, per esserlo?
Di Matteo: beh, intanto da anni molti magistrati, e tra questi io, invochiamo una legge, una riforma del 416 Ter, che punisca l’accordo politico – mafioso, per il semplice fatto appunto del raggiungimento di un accordo tra il candidato che cerca i voti della mafia e la mafia che li concede in cambio della disponibilità futura a rendere favori all’organizzazione mafiosa..
Blog: chi è che cerca per primo l’altro, il politico o il mafioso? Come avviene questo contatto?
Di Matteo: non sempre il contatto e il rapporto si verifica e si dipana allo stesso modo, ma purtroppo non sono rari i casi che le inchieste ci hanno dimostrato di politici che per primi si muovono dimostrando la loro disponibilità a accogliere, a stimolare, anzi, il consesso mafioso.
Blog: succede anche oggi dopo venti anni di inchieste? O adesso è… minore questo.. l’incidenza di questo rapporto? Come è mutuato questo rapporto?
Di Matteo: io credo che nel tempo siano mutati gli approcci e le strategie di approccio, quello che prima… era il rapporto tra il politico e il mafioso quasi diretto oggi negli ultimi anni è diventato per motivi di prudenza riaspetto alla possibilità che quel rapporto venga scoperto dalla magistratura, è diventato un approccio mediato, intermediato spesso da professionisti, insospettabili.
Purtroppo però ancora e fino agli ultimi anni abbiamo.. registrato l’esistenza e la gravità del problema, ecco perché una riforma del 416 Ter nel senso che leggiamo dai giornali, è stato… dato anche attraverso l’ultima stesura che mi pare che sia uscita dal senato della Repubblica, è un approccio che noi non possiamo che cogliere con grande soddisfazione e speranza.
La punizione e la punibilità già della fattispecie dell’accordo tra il politico e il candidato, a prescindere da quello che poi sia il conseguimento del risultato elettorale per il candidato e di ritorno dei favori da parte dei mafiosi.
Più in generale: lei mi chiedeva la politica, credibile nella lotta alla mafia, ribadisco un concetto che poco fa avevo espresso, oggi la lotta alla mafia ha bisogno di un salto di qualità, io credo che sia… Sufficientemente efficace nei confronti e per la repressione della mafia militare.
Ma il salto di qualità ci deve essere per recidere i rapporti con la politica, l’imprenditoria, l’economia e le istituzioni, e allora per fare questo è assolutamente necessario procedere a una riforma seria e maggiormente incisiva in senso repressivo, dei reati contro la pubblica amministrazione.
Perché è proprio attraverso quelle condotte, di corruzione, di abuso di ufficio, di turbativa d’asta, condotte commesse da pubblici ufficiali o da soggetti che collaborano con i pubblici ufficiali, che le mafie riescono a penetrare il potere.
Blog: quanto è criminale questo paese? Sono state scritte decine di romanzi criminali su questo paese. Siamo che qui siamo dei geni nelle arti visive, ma soprattutto geni del crimine.
Di Matteo: non faccio il sociologo o lo storico, nel mio lavoro spesso constato come a vari livelli, naturalmente, sia purtroppo diffusa la condivisione che non rispettare la legge o eludere la legge paghi e purtroppo negli anni passati rispetto a questo fenomeno consentitemi di dirlo si è scaricata tutta la responsabilità della lotta al fenomeno criminale mafioso e non mafioso, soltanto sulle spalle della magistratura, io credo che accanto alla responsabilità penale e anche su piani diversi rispetto alla responsabilità politica, alla responsabilità penale, questo paese abbia bisogno di fare valere responsabilità di tipo diverso, di tipo politico, di tipo deontologico, di tipo disciplinare.
Non può esistere il disvalore di un atto e di una condotta soltanto quando quell’atto integri una fattispecie di reato.
Blog: questo è il paese dei furbi, in questo paese di furbi, dottore, il suo nome ha fatto capolino alcune volte, recentemente, come un possibile candidato alle elezioni europee che si terranno da qui a poco.
C’è di vero quel che cosa? Lei accetterebbe mai una candidatura?
Di Matteo: Non rispondo sulla domanda se c’è di vero qualche cosa ma io faccio il magistrato e credo che, soprattutto in questo momento, sia importante che possa dare anche un minimo contributo per continuare a fare bene il mio lavoro di magistrato.
Blog: ultima domanda: noi abbiamo parlato in tutta questa lunga intervista, di incubi, di paure, di personaggi e luoghi d'avvero oscuri, ma vorrei chiederle questo, che sogni coltiva Nino Di Matteo, quando esce da questa stanza, da questo palazzo, viene seguito dai suoi ragazzi, arriva a casa o in qualsiasi luogo in cui si sente mediamente riparato, quali sono i sogni di un uomo che vede costantemente delle cose terribili?
Di Matteo: mah, intanto un sogno se volete molto… diciamo terra terra, che è quello di riacquistare la libertà di movimento, la libertà di potermi.. Di poter vivere come è giusto che sia e poi un sogno un pochino più alto, quello di contribuire, anche un minimo, senza enfatizzare mai né il mio ruolo, il mio lavoro, il nostro lavoro, a cercare di fare vivere i miei figli, i nostri giovani, in un paese diverso.
Dove non ci siano la libertà e la democrazia condizionate e fortemente limitate dalla… illegalità, dalla corruzioni, nelle mafie.
Questo è il mio sogno, ma anche la mia speranza.
Io quando.. riesco a trovare il tempo di andare nelle scuole o a parlare ai giovani studenti universitari, colgo un interesse e un entusiasmo per il… tema della giustizia e una passione per la libertà, per la democrazia, che mi lascia veramente bene sperare, non è vero che le cose non cambiano mai, trenta o venti anni fa, quando eravamo giovani, certi argomenti erano tabù, ora molti giovani conoscono e lottano per questo, ecco, io spero che quei giovani, e questo è il sogno, non si lascino, poi, ingabbiare dal… dalla indifferenza, da… dalla convenienza, e dalle scelte di opportunità.
Una ultima cosa: il sogno di una magistratura che per prima coltivi al suo interno la autonomia e l’indipendenza, non soltanto difendendo dagli attacchi esterni, ma anche dagli attacchi interni, cioè dalla tentazione di mutuare dalla politica le peggiori logiche, per esempio quelle per cui l’autogoverno della magistratura è determinato dalle logiche delle correnti, una magistratura che all’interno di ciascun magistrato recuperi l’essenza fondamentale della consapevolezza di dovere rispondere soltanto alla legge e di non perseguire mai il risultato più opportuno, ma quello più conforme alla legge, alla giustizia e verità.
Blog: in tutto questo siamo oltre a un’ora qui e lei ancora è tecnicamente un magistrato sotto procedimento disciplinare, ancora non abbiamo notizie di quello che hanno deciso, però… è il migliore auspicio che lei poteva fare… anche ai suoi colleghi che la stanno… giudicando.
Di Matteo: qualsiasi cosa decidano io eventualmente continuerò a difendermi della sede istituzionale, ma a comportarmi come mi sono sempre comportato, nel senso che non ritengo mai di avere violato regole e soprattutto spero di essermi sempre comportato in maniera tale da conservare la autonomia e l’indipendenza.
Blog: rifarebbe tutto? Dall’inizio alla fine?
Di Matteo: Sì.
Blog: Grazie dottore, grazie..
Di Matteo: grazie a voi.

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