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Renato Olino si racconta: 'L'Arma era il mio sogno, poi è diventato il mio incubo' PDF Stampa E-mail
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Scritto da Lorenzo Lamperti   
Venerdì 25 Aprile 2014 22:17
di Lorenzo Lamperti - 24 aprile 2014

Dal terrorismo alla mafia, dall'omicidio Moro all'omicidio Impastato, fino alla strage di Alkamar. Tutto vissuto all'interno dell'Arma dei Carabinieri. Renato Olino (in foto), ex membro della sezione speciale anticrimine di Napoli e testimone chiave per la revisione del processo a Gulotta, si racconta in una lunga intervista ad Affaritaliani.it.

Renato Olino, come è arrivato a far parte dell'Arma dei Carabinieri?
Sono entrato nei Carabinieri come ci entrano centinaia di migliaia di ragazzi, alcuni in cerca di lavoro altri di un'identità propria. Sono entrato nell'Arma a 20 anni con la sola intenzione di fare il carabiniere. Era un sogno che avevo sin da piccolo. All'epoca non ero disoccupato, facevo l'operaio metalmeccanico quindi è stata una mia precisa scelta.

Dunque più che da un bisogno era spinto da un ideale?
Avevo degli ideali e desideravo formarmi. Quello che c'era da scoprire l'avrei visto in seguito.

Di che cosa si è occupato durante la sua carriera?
In ultimo ho prestato servizio presso la sezione speciale anticrimine di Napoli che era una diramazione dell'ex nucleo di Torino del generale Dalla Chiesa che era stato sciolto subito dopo l'arresto di Curcio e Franceschini. Ma quel patrimonio di conoscenze elevato non poteva essere disperso e così nelle varie regioni d'Italia furono costituite queste sezioni speciali anticrimine che in teoria dovevano occuparsi di criminalità organizzata ma che poi nella pratica avevano lo scopo di mettere a disposizione dei comandi territoriali l'esperienza che si era accumulata con gli anni della lotta al vero terrorismo, quello prima dell'arresto di Curcio.

Di che cosa si occupava nel concreto questa sezione speciale?
Inizialmente facevamo un'attività di analisi approfondita per capire come erano organizzate le Br e come affrontare le formazioni armate che all'epoca erano ancora in fase di aggregazione e di propaganda armata.

Era un livello più "alto", quasi di intelligence, insomma...
Erano dei nuclei che ricalcavano la logica e il comportamento di reparti riservati. Non potevamo comparire ufficialmente agli occhi della magistratura per quanto riguarda attività investigative e qualora venivamo a conoscenza di fatti clamorosi noi dovevamno informare solo i comandi territoriali che si sostituivano poi a noi nei rapporti con le altre figure istituzionali e giudiziarie. Facevamo un'attività coperta, tentavamo l'infiltrazione e cercavamo di capire come affrontare il fenomeno terroristico.

Crede che il fenomeno terroristico sia stato affrontato nella maniera giusta?
Finché è stato gestito tutto dal generale Dalla Chiesa le cose sono andate nella maniera giusta. Poi c'è stato qualche episodio che mi ha lasciato molte perplessità e che mi ha fatto venire i dubbi su quali fossero i nostri reali obiettivi. Mi sono chiesto tante volte se era giusto quello che facevamo oppure no.

Che opinione ha sulla gestione del caso Moro?
Sulla vicenda Moro io ho un'esperienza diretta. Molto prima del sequestro un soggetto ne aveva dato notizia al mio responsabile di sezione, il capitano Gustavo Pignero che poi ebbe un ruolo anche nel sequestro di Abu Omar. Questo soggetto era Roland Stark, un italoamericano invischiato in tante vicende ma che ancora oggi in pochi riconoscono come confidente dei Carabinieri. Fu messo in carcere insieme a Curcio e Franceschini nel 1975. Stark si incontrava settimanalmente con il capitano Pignero e riferiva quali potevano essere i progetti e l'organigramma delle Br che all'epoca era completamente sconosciuto. Stark ci aveva avvertito che aveva saputo che stavano preparando un sequestro politico di grande portata a Roma e che gli obiettivi potevano essere o Andreotti o Moro. Ci aveva detto che un militante era riuscito a entrare in Chiesa e per dare un segnale che l'avvicinamento era possibile aveva segnato con un gesso bianco il cappotto di questo politico. La notizia ci sembrava di una gravità enorme e informammo con le veline la Procura di Roma che ci rispose chiedendo qual era la fonte.

Come avete risposto a questa richiesta dei pm?
Ci sembrava una richiesta assurda. Io e i miei colleghi ci siamo scambiati una risata. Invece di attivare procedure a protezione sia della scorta sia del soggetto indicato ci chiedevano la fonte. Indicare la fonte avrebbe significato condannare a morte Stark.

Dunque sta dicendo che non è stato fatto abbastanza per evitare il sequestro Moro?
Non è stato fatto niente e questo ha portato a quello che è successo a Moro e alla sua scorta. Hanno parlato di precisione geometrica e tante stupidate ma la mia impressione è che o li hanno lasciati fare o già c'era un progetto già pronto che doveva andare in quel modo e basta.

Secondo l'ex giudice istruttore del caso, Ferdinando Imposimato, intorno all'omicidio Moro ruotano interessi anche stranieri. E' d'accordo?
C'era un miscuglio di interessi. Purtroppo tante cose le apprendiamo solo ora grazie a persone che hanno trovato il coraggio di parlare, come Antonino Arconte, e che per questo hanno subìto o continuano a subire gravi conseguenze. Sono sicuro che siamo stati tutti vittime dell'omicidio di Moro.

Nel corso della sua carriera lei si ritrovò a perquisire l'abitazione di Peppino Impastato. Perché?
Perquisimmo l'abitazione di Impastato nell'ambito dell'indagine sulla strage della caserma di Alcamo Marina. Cercavamo a casa di Impastato il libro "In caso di golpe", pubblicato dalla casa editrice Savelli. Questo libro spiegava che cosa significava Gladio e conteneva documenti segreti della Nato. Nessuno doveva sapere che esisteva questa struttura segreta, capillare su tutto il territorio nazionale. Era un libro che girava solo tra alcuni militanti dell'ultrasinistra ma era il terrore dell'Arma.

Ma come si collegava un libro alla strage di Alcamo Marina?
Il punto è proprio questo. Ma su quel libro c'era un grande allarme. Quel libro era il documento di base di contrasto a un'eventuale presa di potere del comunismo. Il contenuto di quel libro non doveva essere conosciuto da nessuno. Si parlava anche di un "allegato B", contenente documenti che non dovevano assolutamente circolare. Per lo stesso libro fui mandato a perquisire una cella di sicurezza sotterranea dove era detenuto un presunto Br, Giuseppe Sansone.

Lo avete trovato poi quel libro?
No, quel libro non c'era a casa di Impastato. Vede, secondo me su tanti fatti non c'è molto da scoprire perché tante cose sono state dette, solo che non trovano la luce giusta.

Renzi ha annunciato la revoca del segreto sulle stragi. Che cosa ne pensa di questa iniziativa?
Ma quella è una grande presa in giro. Ma di che cosa stiamo parlando? Parliamo di documenti che magari sono stati documenti 20 o 30 anni fa solo che nessuno se lo ricorda. E magari si prenderà anche il merito di non so che cosa. Di segreto non c'è niente, c'è solo il disinteresse da parte di molti verso la verità. Ci sono tante persone che hanno parlato, o vorrebbero parlare, ma che non vengono ascoltate e nemmeno prese in considerazione. Le stesse cose che magari tra qualche mese ci "rivelerà" Renzi le aveva dette anni fa qualcuno che è stato massacrato per averlo fatto.

Quando lei ha deciso di raccontare le vicende controverse alle quali aveva assistito le è sembrato ci fosse poca voglia di ascoltarla?
Sicuramente c'era poca voglia di ascoltarmi. Nel dicembre del 1989 venni ascoltato da dei magistrati romani a proposito della figura di Stark. Avevo paura di essere stato usato, durante il mio servizio nell'Arma, per qualche attività illegittima o illegale. Ho segnalato tutto a giudici della commissione stragi ma la mia testimonianza non ha avuto nessun seguito. Io sentivo la presenza di una struttura diversa dall'Arma, un modo di ragionare particolare, che mi faceva stare sempre con una certa apprensione.

Quindi le sembrava di essere usato per obiettivi nascosti?
Io stavo frequentando il corso per allievi sottufficiali a Velletri e mi portarono alla cittadella militare della Cecchignola in assetto da guerra. Dopo due giorni tornammo indietro e non se ne seppe più niente. Io da militare ho eseguito gli ordini ma poi mi sono sempre chiesto il motivo del perché stavamo lei. E poi sono venuto a sapere che proprio in quei giorni c'era stato il Piano Solo. Io ho raccontato tutti questi fatti ma non è mai stato preso nessun provvedimento.

Perché ha deciso di lasciare l'Arma?
Ho lasciato l'Arma nel novembre del 1976 dopo le torture alle quali avevo assistito ad Alcamo Marina. Temevo di trovarmi dentro qualcosa di più complicato. Già facevo parte di una sezione speciale, chissà che cosa mi avrebbero fatto fare se fossi rimasto... Ho fatto due anni di scuola militare prima di diventare brigadiere. Per due anni ho fatto l'alzabandiera alle 5 del mattino, ho imparato a usare il signorsì, a rispettare l'impossibilità di discutere. La definiscono disciplina militare ma in realtà è un lavaggio del cervello.

A quei tempi un carabiniere chi identificava come proprio nemico?
Tutti coloro che erano di sinistra.

Che cosa è successo ad Alcamo Marina?
Avevo visto ufficiali dei Carabinieri fare cose allucinante. Quegli ufficiali erano i miei angeli custodi dai quali io cercavo di prendere esempio e io me li sono trovati improvvisamente incappucciati a torturare un ragazzo di 20 anni. Per me è stata una caduta vericale di tutti i valori nei quali avevo creduto fino ad allora.

Secondo lei le torture erano una prassi?
A quell'epoca lo era. Io fino a quel momento avevo sentito voci di corridoio di torture. Per esempio, nell'ambito di indagine sul sequestro Corleo mi sono trovato a sentire urla inumane durante una notte trascorsa alla caserma Carini di Palermo. Un mio collega mi disse che erano le urla di Giuseppe Filippi, la persona che io avevo contribuito a catturare. Mi disse che gli era stata fatta "la cassetta". Così chiamavano le scariche elettriche. Già quella volta chiesi le dimissioni dall'Arma, senza spiegare niente anche perché mi sarebbe stato difficile assumere un atteggiamento apertamente antagonista di fronte a questi fatti anche perché temevo per la mia incolumità. Ma solo in quel momento ad Alcamo Marina sono stato costretto a crederci perché l'ho visto coi miei occhi.

Perché furono uccisi Falcetta e Apuzzo?
Non ho nessun elemento per dirlo. Non so quale sia l'interesse a collegare questi fatti a servizi segreti o a tutto il resto. Non ci sono elementi di nessu tipo. L'unica cosa sicura è che era assurdo pensare che si trattasse di un sabato ribelle di quattro ragazzini. Ho partecipato personalmente alle indagini e sinceramente per me questo rimane un mistero. Mi sembra fuori dalla logica pensare che degli agenti segreti uccidano due carabinieri, militari italiani come loro, per coprire qualcosa. Credo che nemmeno con un ordine del governo avrebbero ucciso due commilitoni.

Vesco fu ucciso da Cosa Nostra?
Il pentito Vincenzo Calcara ha spiegato che Vesco non si era suicidato ma che fu ucciso e che la sua morte venne decisa dalla Cosa Nostra trapanese.

Quando raccontò ai magistrati i fatti di Alcamo Marina?
Ne parlai nel 1990 ma l'avevo già fatto molto tempo prima, nel 1977, ma prendendo la strada più sbagliata possibile. Ne parlai con la divisione Carabinieri di Napoli.

E perché ne parlò con i Carabinieri?
Volevo recuperare agli occhi di tutti la dignità dell'Arma. Rendere pubblico che il mio maestro professionale, il colonnello Giuseppe Russo, aveva diretto tutte le torture in mia presenza non era facile. Pensavo che l'Arma potesse risolvere dentro di sé una cosa come questa e invece mi venne consigliato di stare zitto e di lasciar perdere. Dopo sei mesi mi sono ritrovato la casa piena di poliziotti con l'accusa di essere un appartenente a Prima Linea. Per anni ho dovuto pensare a scagionarmi.

Gulotta è stato definitivamente assolto solo nel 2012. Che cosa è successo dal 1990 al 2012?
In Italia nessuno voleva parlare di torture e nessuno mi voleva ascoltare. Ho provato con i giornali poi ho iniziato a parlare dei fatti ai quali avevo assistito tramite un nickname su un sito internet di Alcamo Marina. Io ho vissuto con la convinzione che non c'erano persone in galera per quella strage. Poi attraverso il sito della trasmissione televisiva Blu Notte di Carlo Lucarelli sono entrato in contatto con una ragazza che si è rivelata poi essere la nipote di Giuseppe Gulotta. È stata lei a dirmi che lo zio stava facendo l'ergastolo. Per me è stato come un trauma, per 10 minuti non riuscivo neanche a parlare. Per me era come se avesse avuto l'ergastolo in quel momento. Da quel momento ho lottato solo per togliergli le catene dai polsi.

Che cosa ha fatto dopo aver lasciato l'Arma?
Per anni nessuno credeva davvero che avessi lasciato i Carabinieri. Addirittura i miei fratelli erano convinti fosse una messinscena e che io fossi uomo dei Servizi. E invece 24 ore dopo l'abbandono dell'Arma gestivo già un negozio di salumiere nel quartiere di Napoli dove ero nato, un quartiere di camorra. Per 10 anni ho fatto il salumiere dalla mattina alla sera.

Ritiene che, secondo la sua esperienza, "trattativa Stato-mafia" sia una definizione corretta di quello che è accaduto nel 1992-1993?
Sì, nel modo più assoluto e più convinto. Soltanto che qualche volta penso che qualche ufficiale dei Carabinieri ha fatto cattivo uso della sua figura perché magari qualcuno voleva fare la bella indagine, la brillante operazione di servizio. A volte bisogna considerare anche l'ambizione di molti ufficiali dell'Arma. Entrando in collisione col nemico se ne entra in simbiosi. Alcuni ufficiali usano il mafioso per fare belle relazioni di servizio e fare carriera. Io ho fatto il carabiniere a Palermo e un mio amico è stato ucciso come un cane solo perché frequentava me e perché un giorno ho avuto l'ingenuità di scambiare la moto con lui.

Non si è mai pentito di aver deciso di raccontare tutto?
Anche se sono cose che fanno male penso di avere il dovere di raccontare queste esperienze. Bisogna stimolare anche altri a farlo dando l'esempio. Dopo gli esempi di Falcone e Borsellino come potrei io stare zitto?

Oggi qual è la cosa che più le fa male?
La cosa che più oggi mi ferisce è l'atteggiamento ostile dei legali di Gulotta. Io volevo semplicemente portare un contributo di giustizia e verità su questa faccenda senza nessun altro interesse anche perché io il prezzo l'avevo pagato altissimo e avevo lasciato l'Arma. La vicenda di Alcamo Marina è stata traumatica per me. Sono intervenuto più volte per provare a fermare e prendere le distanze da un ufficiale che stimavo e amavo. Quando il mio maestro l'ho visto trasformato in un macellaio mi è caduto il mondo addosso. Io avevo chiesto solo di fare il carabiniere nel modo più onesto possibile, nient'altro. Su questa storia io mi sono preso le mie responsabilità solo con la speranza di ricevere un "grazie". Mi hanno ringraziato in tanti ma non i Gulotta. Purtroppo questo non è avvenuto.


Lorenzo Lamperti
Tratto da: affaritaliani.it
 






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