Nel 1992, tra le stragi di Capaci e di via D'Amelio, il boss mafioso Bernardo Provenzano, allora latitante, sarebbe stato disponibile a collaborare con i carabinieri. A rivelarlo in aula è stato oggi il collaboratore di giustizia Filippo Malvagna, collegato in videoconferenza, al processo per la trattativa Stato-mafia. Rispondendo alle domande dei pm Roberto Tartaglia e Nino Di Matteo, l'ex boss del clan catanese dei Santapaola ha raccontato di avere fatto un incontro molto singolare in un ristorante di Palermo: "Si avvicinò il carabiniere Cosimo Bonaccorso, che era sul libro paga sia di Cosa nostra palermitana che di quella catanese, per consegnarci un biglietto".

Secondo il racconto del pentito, il militare avrebbe saputo che da lì a poco ci sarebbe stato un incontro tra la moglie di Bernardo Provenzano, Saveria Benedetta Palazzolo, e un capitano dei carabinieri, "in una località di campagna", per l'avvio di una collaborazione informale tra il boss latitante, poi arrestato nel 2006, e i carabinieri. Sul biglietto c'era scritto il nome del capitano con il quale il boss Provenzano avrebbe dovuto iniziare una collaborazione. "Ne parlai con Angelo Romano - racconta ancora il collaboratore di giustizia - mi disse che bisognava parlarne con Giovanni Brusca".

Anche Nitto Santapaola, capomafia di Catania, sarebbe venuto a conosenza del fatto. Un punto a favore dell'accusa perchè la Procura ha sempre ipotizzato l'esistenza di un accordo tra Bernardo Provenzano e rappresentanti dell'Arma dei carabinieri. Malvagna ne aveve già parlato in un interrogatorio del 1994, subito dopo la sua collaborazione con l'autorità giudiziaria. Ma quell'interrogatorio non ebbe mai un seguito.

In passato anche il collaboratore Antonino Giuffrè, considerato braccio destro del boss Provenzano, aveva parlato di un avvio di collaborazione tra Bernardo Provenzano e i carabinieri, sempre attraverso la moglie del capomafia, Saveria Palazzolo.

La falange armata
Malvagna racconta un altro retroscena importante per la ricostruzione della procura.
Sarebbe stato direttamente il capo di Cosa nostra Totò Riina a imporre la rivendicazione della sigla "Falange Armata" dopo gli attentati del 1992. "L'ordine fu dato nel corso del summit svolto a Enna, alla fine del 1991. In quell'occasione - spiega Malvagna - fu varato un piano di destabilizzazione della vita del Paese per obiettivi eversivo-separatisti". Fu durante quella riunione che Riina disse: "Bisogna prima fare la guerra per poi fare la pace".

Il voto a Forza Italia
Malvagna ripercorre i mesi drammatici della stragi. Poi spiega: "Fra la fine del 1992 e l'inizio del 1993, gli amici di Palermo fecero sapere che si sarebbe dovuto votare per Berlusconi, per un nuovo partito che stava per nascere. Dicevano che il partito di Berlusconi sarebbe stata la nostra salvezza, dicevano che nel giro di pochi anni sarebbe stato attenuato il carcere duro e sarebbe stata smantellata la legge sui collaboratori di giustizia".


da:
Palermo.repubblica.it