di Gian Carlo Caselli - 7 settembre 2014
Gentile Direttore: vi sono alcune considerazioni, a margine del film La trattativa di
Sabina Guzzanti, presentato a Venezia e ieri alla festa del Fatto, che ritengo necessario fare. Dopo le stragi mafiose del 1992 ho chiesto – per dovere e spirito di servizio – di essere trasferito dalla “comoda” Torino a Palermo, ancora insanguinata e sconvolta dall’assassinio di
Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e di quanti erano con loro a Capaci e in via D’Amelio.
È cominciata così una difficile e rischiosa esperienza di quasi 7 anni a capo della travagliata Procura di quella città. Raccontare con tecnica da “cabaret” la pagina grave e oscura della mancata sorveglianza (certamente non addebitabile alla Procura) e della conseguente mancata perquisizione del “covo” di Riina è offensivo e non può cancellare né far dimenticare gli importanti positivi risultati ottenuti in quei 7 anni di duro e pericoloso lavoro dagli Uffici giudiziari palermitani, in stretta e preziosa collaborazione con le forze di Polizia.
Un mare di arresti, pentimenti, processi e condanne (650 ergastoli!); sequestri di arsenali di armi micidiali e di patrimoni illeciti (per 10 mila miliardi di vecchie lire); processi anche a imputati “eccellenti” collusi con la mafia (Contrada, Andreotti e Dell’Utri fra gli altri): questa la sintesi del bilancio di 7 anni, cui deve aggiungersi l’acquisizione della prima e decisiva confessione di uno degli autori materiali della strage di Capaci,
Santino Di Matteo, resa - su sua richiesta - proprio al sottoscritto.
QUESTI RISULTATI - ottenuti superando difficoltà e ostacoli a volte incredibili - hanno contribuito fortemente a salvare la democrazia italiana dal tracollo che le stragi mafiose volevano e sembravano aver reso inevitabile (“È tutto finito; non c’è più niente da fare”: sono le parole di Nino Caponnetto al funerale di Borsellino che nessuno può scordare...). Non tenere conto anche di questo incontestabile dato di fatto, limitandosi a un piglio di dileggio gratuito, equivale a rendere un pessimo servizio alla rigorosa e completa ricostruzione di quanto realmente accaduto che l’autrice del film ritiene essere rigorosa e completa. Grazie per avermi ospitato, consentendomi di scrivere parole semplici ma dovute: per rispetto alla verità, alla mia famiglia e a tutti coloro che a vario titolo (magistratura, amministrazione, polizia giudiziaria, cittadini) hanno fatto con me, condividendo tanti sacrifici, un pezzo di strada che, senza falsa modestia, possiamo rivendicare con orgoglio.
Giancarlo Caselli (tratto da: Il Fatto Quotidiano del 7 settembre 2014)