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Falso e tentata truffa, per Masi la Cassazione conferma la condanna PDF Stampa E-mail
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Scritto da Sara Donatelli ed Aaron Pettinari   
Lunedì 27 Aprile 2015 21:15
di Sara Donatelli ed Aaron Pettinari - 26 aprile 2015

La notizia del pronunciamento del presidente della Quinta sezione penale della Cassazione è arrivata in tarda serata. Il maresciallo Saverio Masi, caposcorta del pm di Palermo Antonino Di Matteo, è stato condannato a sei mesi per falso materiale e tentata truffa. Una sentenza che arriva dopo che venerdì la difesa, rappresentata dal legale Giorgio Carta, aveva richiesto l'annullamento senza rinvio per entrambi i reati, perché il fatto non sussiste, dopo che in appello era caduta l'accusa per falso ideologico. La vicenda processuale trae origine da una contravvenzione di 106 euro, elevata dalla Polizia Stradale a Saverio Masi il 19 gennaio 2008. In quella data il maresciallo si trovava in servizio con un’autovettura privata per svolgere attività di polizia giudiziaria ed era intento a raggiungere un informatore che lo aveva contattato sollecitando un incontro urgente. E' in data 26 maggio 2008 che Masi ha presentato l'istanza di annullamento della contravvenzione presso gli uffici della Sezione di Polizia Stradale di Palermo corredandola con una relazione di servizio a sua firma, attestante che il giorno della violazione stava svolgendo un servizio di polizia giudiziaria dalle 8 alle 14 utilizzando l’autovettura privata, accompagnandola da una nota intestata al Reparto Operativo- Nucleo Investigativo del Comando Provinciale dei Carabinieri di Palermo del 4 aprile 2008, indirizzata alla Prefettura di Palermo. In questa seconda nota la dicitura del nominativo del superiore appare sbarrata con un tratto trasversale dove accanto appare la sigla a.p.s. “assente per servizio”.
Attendendo di leggere le motivazioni della sentenza della Cassazione, appare paradossale la conferma del reato di tentata truffa. “Essendo stato provato che il Masi si trovava in servizio e costituendo una prassi dei militari quella di redigere autocertificazioni sulla presenza in servizio, in caso di assenza del superiore, non si ravvisano l’artificio e il raggiro della truffa” aveva spiegato lo stesso legale di Masi nel ricorso in Cassazione. Persino la pubblica accusa aveva chiesto l'annullamento senza rinvio limitatamente per il reato di tentata truffa (mentre per il reato di falso materiale aveva chiesto una condanna di cinque mesi e dieci giorni di reclusione). Ciò, purtroppo, non è bastato a convincere i giudici sulla non colpevolezza del maresciallo. Una condanna che arriva quattro anni dopo la prima sentenza, datata 2011, che potrebbe portare anche ad ulteriori conseguenze se si considera che l'Arma dei carabinieri potrebbe intervenire degradando Masi, o addirittura espellendolo. “Il maresciallo capo dei Carabinieri, Masi – aveva spiegato l’avvocato Carta già prima della sentenza d'appello–, non rischia di fare neanche un giorno di galera. Una volta giunta la sentenza definitiva l'Arma, discrezionalmente, potrebbe decidere di intervenire arrivando anche alla destituzione che comporterebbe la perdita del lavoro, l’unica fonte di sostentamento sua e della sua famiglia”. Masi, oltre ad aver denunciato nel 2013 i propri superiori per aver in qualche maniera ostacolato le indagini per la cattura di Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro (su questo capitolo sta indagando la Procura di Palermo), è anche teste al processo trattativa Stato-mafia. In questo caso il carabiniere, che nel 2010 fu già testimone al processo Mori-Obinu, dovrà riferire quanto avvenuto nel 2005, durante una perquisizione in casa di Massimo Ciancimino (imputato e teste al processo Stato-mafia). Masi raccontò che un capitano dei carabinieri individuò il papello di Totò Riina contenente le 12 richieste di Cosa nostra allo Stato. Il documento venne però escluso dal rapporto perché i superiori sostennero di esserne già in possesso. Ed è un dato di fatto, però, che il documento di Riina fu consegnato ai magistrati da Massimo Ciancimino solo nel 2009. Un'inchiesta scomoda, quella sulla trattativa, su cui in pochi vogliono andare fino in fondo a cercare la verità. E, c'è da scommetterci, questa sentenza di condanna, verrà utilizzata per gettare ombre proprio su questi fatti raccontati e su cui sono ancora in corso le dovute verifiche. Guardando a quel provvedimento disciplinare, che pende come una “spada di damocle” sopra la testa del Maresciallo Masi, e all'esito della sentenza resta un profondo senso di amarezza e rabbia. Allo stesso tempo, però, resta la grande dignità di chi, nonostante tutto, ha il coraggio di non restare inerme.


Sara Donatelli ed Aaron Pettinari (AntimafiaDuemila)












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